L'ADDIO – Una rocambolesca sconfitta contro Nicolas Almagro mette fine alla carriera di Jarkko Nieminen. Tra gli ultimi baluardi degli anni 90, comportamento impeccabile, oggi sogna di creare un campione finlandese. Alla fine, anche lui si è commosso.  

Jarkko immaginava un finale diverso, ma tutto sommato va bene così. Perdere uno o due giorni dopo non avrebbe cambiato l'addio di Jarkko Nieminen. L'aveva detto a giugno: a 34 anni, senza particolari acciacchi se non l'usura di quasi 20 anni in giro per il mondo, meglio dire basta. Per salutare tutti ha scelto il torneo di Stoccolma. La Svezia, per lui, è una seconda casa. Vuoi perché ci ha giocato tre finali (2001, 2006 e 2011), vuoi per la vicinanza geografica e culturale, vuoi perché si gioca su un campo indoor molto veloce, così simile a quelli dove aveva iniziato a giocare a Masku, una trentina d'anni fa. “Sono stato fortunato perché vengo da un piccolo paese – ha sempre raccontato – ma lì c'erano i migliori giocatori del paese, così ho avuto la possibilità di allenarmi a dovere”. Non è semplice scrivere un coccodrillo agonistico di Jarkko, mai protagonista di episodi clamorosi, faccende strane o partite indimenticabili (ok, il quarto dello Us Open 2005 perso in cinque set da Hewitt…). Si è costruito una carriera solida, con tanti piccoli tasselli ma senza il botto. A ben vedere, il botto è arrivato dopo il 3-6 7-6 6-4 che ha chiuso la sua carriera, almeno in singolare. Dopo la sconfitta con Nicolas Almagro (peraltro dopo aver sciupato due matchpoint) si è rifugiato sotto l'asciugamano e si è messo a piangere. Non gli era mai capitato, almeno in pubblico. Ha capito che era finita per davvero, anche se avrà un addio regale. Il prossimo 9 novembre, alle ore 18, a celebrare il suo addio ci sarà nientemeno che Roger Federer. L'appuntamento è alla Hartwall Arena di Helsinki e chissà se ci sarà spazio per le lacrime. Di sicuro vedremo tanti sorrisi, anche perché Jarkko (parte attiva nell'organizzazione) ha coinvolto anche Teemu Selanne e Peter Forsberg, grandi campioni di hockey su ghiaccio, che scenderanno in campo per un doppio insieme ai tennisti.




FINLANDIA DA COLTIVARE

L'addio di Jarkko Nieminen ha un forte sapore emotivo, E' uno degli ultimissimi esponenti degli anni 90. Ci sono alcuni giocatori più anziani di lui, però sono emersi dopo. Lui, nato 16 giorni prima di Roger Federer, è esploso agli sgoccioli del 20esimo secolo. In una finale tutta scandinava contro Kristian Pless, vinse lo Us Open junior nel 1999. Aveva i capelli a caschetto, tenuti fermi da un'enorme fascia, seconda solo a quella di Mark Philippoussis. Sarà per questo, forse, che hanno scelto proprio l'australiano (oltre a Hrbaty e Dolgopolov) per raccontare qualcosa di lui nella monografia su ATP World Tour Uncovered. Nella conferenza stampa post-vittoria gli chiesero che fine avesse fatto Veli Paloheimo, miglior finlandese prima di lui. “Gioca le gare a squadre in Germania e fa il coach in Finlandia” rispose, preparatissimo. 16 anni dopo, i due sono colleghi presso la Jarkko Nieminen Tennis Academy, fondata qualche anno fa e che si propone di diffondere un certo tipo di cultura tennistica in un paese che non ne mastica granché. “Non è facile giocare a tennis in Finlandia – diceva il Nieminen 18enne – la maggior parte degli investimenti vanno agli sport invernali. Inoltre abbiamo un inverno lungo e freddo, quindi dobbiamo rifugiarsi nei campi indoor”. Lui stesso ripiegava spesso in Svezia. “Ma se dovessi entrare tra i top-50, mio obiettivo di carriera, sono sicuro che le cose cambierebbero”. Jarkko è andato addirittura oltre, ma le cose non sono migliorate granché. Non ci si aspettava molto da Ville Liukko, figurarsi dal doppista Tuomas Ketola. Hanno un po' deluso i fratelli Kontinen, Henri e Micke. Oggi, nel giorno del ritiro, continua ad essere l'unico finlandese tra i top-500 ATP. L'assenza di connazIonali è l'unico fallimento di una bellissima carriera. Allora ha deciso di prendere in mano la situazione in prima persona. Nella sua accademia (peraltro guidata dal coach italiano Federico Ricci) ci sono tutti i migliori prospetti finlandesi. E l'erede ha già un nome e un cognome: Patrik Niklas-Salminen, classe 1997 e già top-20 ITF. Tra l'altro, porta i capelli proprio come Nieminen nel lontano 1999. Anche Eero Vasa non è male, ha una pettinatura simile e pure lui si allena in Accademia. E' un progetto serio, in cui Jarkko è coinvolto in prima persona. E lo sarà ancora di più dopo il ritiro, magari a fianco di Salminen.

 

 
NESSUN RIMPIANTO

Tutto il resto è una carriera solida, con tanti piccoli highlights e una condotta impeccabile. Ad esempio, l'eterna fedeltà al team di Coppa Davis. Pur senza avere compagni all'altezza ha sempre risposto alle convocazioni. Nel 1999, dopo il successo allo Us Open junior, volò dritto a Sassari per il suo esordio contro l'Italia. Perse da Andrea Gaudenzi, con onore. Dopo quella partita ne ha giocate altre 84, vincendone 59. Grazie a lui, la Finlandia ha veleggiato a lungo nel Gruppo I. Più di così non poteva fare. Rimpianti? Manco per idea. Ha vinto due titoli ATP, pochini per un giocatore forte come lui. Curiosamente sono arrivati entrambi nell'emisfero australe, dal clima così diverso rispetto alla Finlandia (Auckland 2006 e Sydney 2012). Ha perso parecchie finali, undici in tutto, ma non è un cruccio. “Almeno la metà le ho perse perché non c'era niente da fare. Un paio di volte ho pescato Federer, altre sono arrivato scoppiato in finale. No, davvero nessun problema”. Nei tornei del Grande Slam ha giocato per tre volte i quarti di finale: Us Open 2005, Wimbledon 2006 e Australian Open 2008. Vanta undici vittorie contro i top-10 ed è salito al numero 13 ATP. Solo a Parigi ha mancato i quarti, ma proprio al Roland Garros ha ottenuto la vittoria più affascinante, quando ha battuto Andre Agassi. Veloce (qualcuno l'h soprannominato "finlandese volante), preciso, resistente, corretto, lontano dagli scandali. Una decina d'anni fa si è sposato con Anu Weckstrom, migliore giocatrice finlandese di badminton, ha persino effettuato un breve servizio militare e dal 2010 al 2014 ha fatto parte del Player Council ATP. Difficile dire che ci mancherà, perché la sua presenza era silenziosa, quasi impalpabile. Di sicuro mancherà al tennis. Ma la buona notizia è che non lo perderà. La sua accademia lo attende a braccia aperte.