Harel Levy ha praticamente smesso e sogna di diventare un uomo d’affari, ma è ancora coinvolto nel tennis: “Adesso Israele deve impegnarsi a costruire buoni giocatori”.
Harel Levy portato in trionfo dopo un successo in Coppa Davis
Di Riccardo Bisti – 12 ottobre 2012
La carriera di Harel Levy è stata pesantemente condizionata. Tre anni sono andati perduti per svolgere il (tremendo) servizio militare israeliano, altri due se ne sono andati a causa di altrettanti interventi chirurgici: uno al ginocchio e uno all’anca. Una carriera a metà, in cui il talento non è bastato per andare oltre la 30esima posizione e qualche singolo exploit. Ci sarebbe da essere delusi, frustrati, invece il suo sorriso non tradisce. A 34 anni ha praticamente smesso (l'ultimo match risale al febbraio 2011, quest'anno ha giocato solo qualche doppio), ma nei giorni scorsi si è recato in Canada, a Toronto, dove ha partecipato a un evento per raccogliere fondi a favore dei centri tennis israeliani. Insieme a lui c’erano grandi ex come Brad Gilbert, Daniel Nestor (che non è un ex) e Dean Goldfine. Il talentuoso Harel fa parte di quelli che si ritengono fortunati. “Sono molto orgoglioso di aver rappresentato Israele, sia in campo militare che in Coppa Davis. Ho fatto parte del team per 14 anni, ottenendo belle vittorie e ricordi stupendi”. Su tutte, la storica semifinale del 2009, quando la Stella di David andò clamorosamente in semifinale prima di incappare nella corazzata spagnola. La presenza di Levy a Toronto è foriera di grandi ricordi. Dodici anni fa giocò il suo miglior torneo proprio in Ontario, giungendo in finale al Masters 1000 oggi denominato “Rogers Cup”. Era numero 144 ATP, partì dalle qualificazioni e si fece largo fino alla finale contro Marat Safin, che da lì a poco avrebbe vinto lo Us Open. Per lui fu una settimana doppiamente speciale: poche ore dopo la sconfitta gli comunicarono che aveva ufficialmente terminato il servizio militare. “Fu una settimana incredibile per tanti motivi – ricorda oggi – il tifo della gente di Toronto, la finale di un Masters 1000, e poi la chiamata dell’IDF (Israel Defense Forces) che mi ringraziava per il servizio svolto. Sicuramente è stato il punto più alto della mia carriera”.
Levy è convinto che il passaporto israeliano gli abbia dato una mano ad essere apprezzato dal pubblico canadese. “Si, in Nord America ci sono tanti appassionati ebrei. Per me ha significato molto, il loro tifo era importante. Di solito giocavo nei campi secondari, così ho potuto percepire ancora di più il loro affetto”. La sua carriera non è suggellata di successi. Non ha vinto tornei ATP (l’unico titolo è arrivato in doppio, sempre nel 2000, in coppia con Jonathan Erlich a Newport) ma si è consolato con qualche exploit. Ha superato Pete Sampras, Andy Roddick e Michael Chang. Piccoli gioielli incastonati in una collana fatta di sofferenza e tornei minori. La vittoria contro Roddick ha segnato lo spartiacque della sua carriera. Ottenne la sua seconda finale ATP (poi persa da Thomas Johansson), ma una scivolata sull’erba maledetta – ed era erba vera, non quella iperlenta di oggi – gli procurò un grave infortunio all’anca. Dovette operarsi e restare fermo per oltre sei mesi. Un periodo in cui passarono diversi treni, ma lui non potè afferrarli. E si rassegnò a una carriera da comprimario. Ma oggi se la ride ugualmente, ed è pronto per affrontare una nuova vita. Studia economia e management in Israele nella speranza di costruirsi un futuro come uomo d’affari. Ma il tennis lo coinvolge ancora: ha un ruolo informale presso Israel Tennis Association e dà una mano al team di Coppa Davis, che ha appena riconquistato il World Group al termine di una serie-thriller contro il Giappone. “Tornare nel Gruppo Mondiale è un grande risultato, ma in questo momento non abbiamo giocatori di grande livello (ci sono appena due top-100: Dudi Sela, n. 106, e Amir Weintraub, n. 214, ndr). Dobbiamo concentrarci sulla costruzione di tennisti d’elite, partendo dai giovani. Ci sono alcuni ragazzi dotati di un ottimo potenziale”. Con 14 anni di carriera alle spalle, la sua esperienza può essere una risorsa d’oro per i giovani israeliani.
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