Hans Redl perse un braccio durante la Seconda Guerra Mondiale, ma riprese a giocare per onorare i caduti. Il suo coraggio convinse a cambiare le regole del servizio.
Il team austriaco di Coppa Davis nel 1937. Hans Redl è il primo da sinistra. A destra, uno smash eseguito senza l'aiuto del braccio sinistro
Di Riccardo Bisti – 28 novembre 2013
Miguel de Cervantes Saavedra è ricordato per aver scritto il Don Chisciotte, ma pochi sanno che rischiò di non poterlo fare. Orgoglioso militare, nel 1571 partecipò alla battaglia di Lepanto e rimase ferito da un’archibugiata. Perse per sempre l’uso della mano sinistra. Nonostante tutto, la destra gli permise di produrre un capolavoro attuale ancora oggi. Lepanto è rimasto luogo di leggenda. Nel tennis, la leggenda è incarnata da Wimbledon. Prima di arrivare ai campi londinesi, tuttavia, questa linea immaginaria transita dalla Coppa Davis, creata nel 1900 da Dwight Filley Davis con lo scopo di “promuovere relazioni sane tra tutti i paesi del mondo”. L’8 maggio 1937, l’Austria si presentò a Monaco di Baviera con una grande squadra. Adam Baworowski, Georg Von Metaxa e Hans Redl. Era il secondo turno della zona europea e persero per 3-1. Dieci mesi dopo, il 12 marzo 1938, il mondo scoprì come si diceva “annessione” in tedesco. “Anschluss” fu una delle prime parole-simbolo della Seconda Guerra Mondiale. Quel giorno, l’Austria cessò di esistere. Divenne una provincia del Terzo Reich. La squadra di Coppa Davis si sfaldò: Von Metaxa e Redl furono costretti a giocare per la Germania, mentre l’orgoglioso Baworowski preferì andare in Polonia e rappresentare il paese d’origine. Il 20 maggio 1939 affrontò Von Metaxa, suo ex compagno di doppio. Fu l’ultima volta in cui si sarebbero visti. Tre mesi dopo, il 1 settembre, la Germania invase la Polonia e diede il via alle ostilità belliche. Contro la loro volontà, i tre tennisti tornarano a fare squadra. Ma al posto delle racchette c’erano i fucili. Le palline erano i proiettili, e il trofeo non era una coppa. Era la vita. Baworowski morì nel 1942 sul fronte russo. Proprio lui, fervente antifascista. Tre anni dopo, morì anche Von Metaxa, sul fronte orientale. Ironia della sorte, a pochi chilometri da casa. Nella lista dei sopravvissuti alla tragica Battaglia di Stalingrado, tuttavia, c'ra un nome familiare. Il cuore di Hans Redl continuava a battere. Ma un paio di proiettili russi gli avevano devastato il braccio. Non c’erano alternative: amputazione.
Redl tornò a casa. Negli anni difficili della ricostruzione, in cui i tedeschi erano visti come il diavolo (ma lui era austriaco, accidenti), aveva un solo obiettivo: riprendere a giocare a tennis per onorare la memoria dei compagni caduti. Baworowski e Von Metaxa, certo, ma anche dei tanti ragazzi tedeschi vittime della follia di Adolf Hitler. Ma ben presto si rese conto che la missione era un’utopia. Come poteva giocare a tennis con un solo braccio? Perdeva l’equilibrio, non c’era simmetria. Un tempo, i suoi colpi erano sonori schiaffoni. Erano diventati carezze. Ma continuò ad allenarsi. Giorno e notte. Voleva imparare di nuovo a giocare. Ce la fece. Colpo su colpo, si sentì pronto. Provò a iscriversi a diversi tornei, ma gli negarono l’accesso. Il motivo era tanto semplice quanto immorale: la sua condizione fisica gli impediva di rispettare la Regola 16 del tennis, quella sul servizio: “Il battitore lancia la palla in aria e la colpisce con la racchetta prima che tocchi il suolo. Il servizio si considera eseguito nel momento in cui il giocatore colpisce, sia che prenda la palla, sia che la manchi”. Hans Redl non poteva lanciare la palla in aria con la mano. Aveva imparato a farlo con la racchetta, con tanta fatica. Ma il regolamento non lo consentiva. Fu allora che non si arrese. Come un moderno Don Chisciotte, nel 1947 si presentò a Wimbledon due mesi prima del torneo. Andò in tribunale e chiese una modifica al regolamento. Disse che non voleva eliminare la regola 16, ma semplicemente aggiungere una postilla. La modifica non avrebbe coinvolto gli altri tennisti, ma gli avrebbe consentito di giocare. Tre giorni prima della chiusura delle iscrizioni, giunse l’agognata sentenza. Piccolo piccolo, c’era scritto: “Un giocatore che utilizza un solo braccio può utilizzare la racchetta per lanciare la pallina”. Hans Redl, l’uomo amputato, avrebbe potuto giocare a Wimbledon.
L’attesa era spasmodica. Le tribune erano piene di tifosi e giornalisti. Tanti curiosi, tanti ammiratori. Al primo turno battè il britannico Archer. Al secondo, fece fuori lo svizzero Ellmer. La sua abilità con la mano destra lasciava a bocca aperta. Al terzo turno pescò un altro britannico, Dick Slack. Andò in vantaggio due set a uno, ma era esausto. Non ne poteva più. Slack vinse otto giochi consecutivi e il finale sembrava scritto. Invece trovo le forze, chissà dove, e vinse 6-3 al quinto set. Una delle imprese più belle e sottovalutate del 20esimo secolo. La stampa di allora gli diede un grande risalto. Il primo ‘monco’ nella storia di Wimbledon era negli ottavi. La favola era compiuta, così come l’ovvia sconfitta con Bob Falkenburg, che l’anno dopo avrebbe vinto il torneo. Da allora, Redl giocò altre nove edizioni di Wimbledon. Singolare, doppio, doppio misto. In tutto giocò 45 partite, vincendone 21. Ebbe anche la gioia di tornare a rappresentare l’Austria in Coppa Davis, tra il 1948 e il 1955. Con Barowowski e Von Metaxa nel cuore. Amava il tennis. Lo sport gliaveva consentito di dimenticare quel maledetto giorno a Stalingrado. Giocò fino a 54 anni e morì poco dopo, nella sua Vienna. Libera e sempre più bella. Miguel de Cervantes ci ha lasciato il Don Chisciotte. Hans Redl, la Regola 16 del Tennis. Due amputati hanno saputo riscrivere la storia. Sevi capita di leggere le regole del tennis, e vi cade l'occhio a pagina 7, saprete a chi dare il merito.
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