Soltanto due mesi fa, Lucas Pouille era in polemica con il presidente FFT Bernard Giudicelli, reo di averlo aspramente criticato al Roland Garros. Nella finale di Lille, a mezz'ora di treno da dove è cresciuto, ha confermato di avere un carattere d'acciaio, da vero campione. A 23 anni, la vittoria in Davis è soltanto un punto di partenza.

Un successo può avere tanti protagonisti, ma l'immaginario collettivo ricorda sempre l'ultimo punto. Nella finale di Lille, l'onore è toccato al più giovane. gli ultratrentenni Tsonga e Gasquet, senza dimenticare Mahut e Benneteau, saranno ricordati come gli eroi della decima Davis. Ma tra 10, 20, 50 anni, la simbologia cadrà soprattutto su Lucas Pouille. È lui ad aver vissuto la libidine psicologica di lasciarsi cadere per terra, sommerso dall'abbraccio dei compagni. Solo lui potrà raccontare cosa ha vissuto in questa matta domenica. Per esempio, che al termine del primo set di Goffin-Tsonga ha lasciato la panchina per attendere l'esito negli spogliatoi. Due ore e mezzo lì dentro, insieme al coach Emmanuel Planque. La sera prima, Noah lo aveva rassicurato: “Sul 2-2 scenderai in campo tu”. Segno di fiducia e gratitudine per aver sposato senza riserve il suo progetto, anche quando ci sono state forti tensioni con la FFT. Dopo la sconfitta al Roland Garros per mano di Albert Ramos, Pouille e Planque erano stati pesantemente criticati dal neopresidente Bernard Giudicelli. Quando si sono incrociati a Lille per la semifinale contro la Serbia, la tensione si tagliava a fette. “Ehi, Lucas, non si saluta più?” lo aveva provocato Giudicelli durante la cena ufficiale. “Sì, certo, buongiorno e arrivederci” gli aveva risposto. Ben più di un semplice incidente diplomatico. Fu un weekend complicato: Pouille perse da Dusan Lajovic, dando fiato ai detrattori che lo ritengono più fortunato che bravo. In effetti, la sua carriera ha vissuto un paio di situazioni che ne hanno facilitato la scalata. E quest'anno non ha effettuato il salto di qualità che ci si aspettava, nonostante abbia intascato tre titoli ATP (Budapest, Stoccarda e Vienna).

TRIONFO A DUE PASSI DA CASA
Ma ha la testa giusta: non si abbatte, non si deprime, ha fiducia in chi gli sta intorno. Planque, prima di tutto, e poi Noah. Fu proprio Planque, un paio d'anni fa, a chiedere a Noah di entrare nel team “con modalità a piacere”. Con il nuovo ruolo di capitano, la collaborazione si è diradata, ma l'intesa non è mai venuta meno. Nella polemica con Giudicelli, Noah si è schierato dalla sua parte. “La federazione non deve invelenire l'ambiente. L'ho detto a Giudicelli e il messaggio è arrivato a destinazione”. Assumendosi un rischio niente male, dopo le scorie psicologiche del venerdì, lo ha rispedito in campo contro un Darcis che aveva molta più esperienza. Lasciarlo fuori sarebbe stato uno sgarbo: lo Stade Pierre Mauroy si trova ad appena 80 km da Grande Synthe, la cittadina dove Pouille è cresciuto, nei pressi di Dunkerque. Col TGV ci vuole poco più di mezz'ora. In tribuna c'erano tanti amici, compresi quelli che sono cresciuti insieme a lui presso il Tennis Club Loon Plage, dove il primo maestro Christophe Zonnekynd capì molto presto di avere l'oro tra le mani. Nessuno si stupì quando Pouille fu convocato nel settore giovanile FFT, dando il via a una collaborazione durata nove anni e ridotta solo a fine 2014, quando ha scelto di spostarsi a Dubai. Miglior clima, buone infrastrutture e un regime fiscale (molto) agevolato lo hanno convinto a investire su se stesso. Inoltre ha assunto un preparatore atletico a tempo pieno, Pascal Valentini. Senza questa scelta di vita, difficilmente sarebbe diventato un punto fermo dei bleus. “Di solito non mi commuovo su un campo da tennis, ma stavolta era diverso – ha detto – i ragazzi se lo meritavano, sono fiero di quello che hanno fatto negli ultimi due anni” ha detto, consapevole che la sua carriera non sarà più la stessa. Fino al prossimo grande successo, sarà sempre “quello che ha regalato il punto decisivo alla Francia”.

FRANCIA SÌ, FINLANDIA NO
E pensare che avrebbe potuto rappresentare un altro paese, la Finlandia. Già, perché mamma Lena proviene da Narpes, cittadina sul mare a 360 km da Helsinki. Talmente vicino alla Svezia che buona parte della popolazione si esprime in svedese. Tuttavia, la signorina Stenlund conobbe Monsieur Pascal Pouille in Gran Bretagna. Fidanzamento, matrimonio, tre figli (prima di Nicolas sono arrivati Jonathan e Nicolas) e residenza in Francia. Per anni, in famiglia hanno comunicato in inglese e Lucas ha mantenuto il passaporto finlandese fino ai 18 anni. Ci andava un paio di volte all'anno, ma raggiunta la maggiore età avrebbe dovuto svolgere il servizio militare per mantenere la cittadinanza. Visto che il tennis è sempre stato la sua priorità. (“Col senno di poi, avrei dovuto interrompere prima gli studi” ripete spesso), ha lasciato perdere. Adesso, per lui, c'è una sola bandiera. C'è la Marsigliese da cantare a pieni polmoni, nonché una fidanzata che più francese non si può (la graziosa Clemence Bertrand, che lo segue quasi ovunque). “Contro Goffin non avevo avuto neanche una palla break, non mi era mai capitato in un match al meglio dei cinque set – ha detto, dopo i festeggiamenti – sapevo che con Darcis avrei avuto più chance: tira più piano e il suo rovescio in slice non mi dà alcun fastidio. Quindi ho messo subito molta intensità con il dritto: la tattica ha pagato”. Nella storia recente, è capitato in più di un'occasione che il successo in Coppa Davis abbia dato la svolta a una carriera: per informazioni, chiedere a Fernando Verdasco, Novak Djokovic ed Andy Murray. Dopo qualche sbronza di festeggiamento, le vacanze insieme a David Goffin (“Per ora non mi ha scritto per disdire” ha scherzato) e il ritorno a Dubai, Lucas Pouille inizierà a lavorare per imitarli. “Perché noi abbiamo sempre fame di vittorie” ha detto Planque, come a dire che l'appagamento non trova spazio nel loro vocabolario.