Brian Baker si era arreso a cinque interventi chirurgici. Ma ha deciso di tornare dopo 6 anni di quasi totale inattività. Ha vinto il challenger di Savannah ed è sicuro: “Se il fisico regge posso fare bene. Non è una scommessa”.
Brian Baker ha vinto il challenger di Savannah

Di Riccardo Bisti – 1 maggio 2012

 
Dando un’occhiata alle classifiche junior si trova di tutto. Ci sono i Federer, i Roddick, i Murray. Ma ci sono anche giocatori come Kellen Damico, mai oltre la 1364esima posizione ATP. Circa il 40% dei giocatori che hanno chiuso una stagione tra i primi 10 junior non è mai entrato tra i top 200 ATP. Sono i famosi “bidoni”, storie di tennis morte ancor prima di nascere. Ma ci sono storie che sembrano finite e invece risorgono dalle loro ceneri. “Quando l’ho visto giocare a Savannah ho subito detto che era il migliore del torneo. Ma non l’avevo mai sentito nominare”. Parola di Augustin Gensse, francese, numero 155 ATP. Il soggetto in questione è Brian Baker, americano, classe 1985. Nel 2002 era numero 6 del mondo tra i giovani, in una classifica guidata da Richard Gasquet e Marcos Baghdatis. Tra i “grandi” non è mai andato oltre la 172esima posizione, conquistata nel novembre 2004. Aveva 19anni, sembrava pronto a esplodere. Invece, otto anni dopo, raccontiamo con stupore la sua vittoria al challenger di Savannah. Sulla terra verde della Georgia è partito dalle qualificazioni e ha vinto il torneo, battendo in finale proprio Gensse. Una vittoria che lo ha spinto, nel giorno del suo 27esimo compleanno, al numero 214 ATP. Dopo il successo era contento perchè pensava di poter giocare le qualificazioni al Roland Garros, dove nove anni fa giunse in finale tra i cuccioli (battè Baghdatis e Tsonga prima di perdere contro Wawrinka). Invece la USTA ha fatto di più: gli ha concesso la wild card "di scambio" con la federazione francese e gli consentirà di giocare nel tabellone principale. Mica male.

Ma è tempo di riavvolgere il nastro. Baker proviene da Nashville, capitale del Tennessee e “Città della Musica”. Al posto della chitarra ha scelto la racchetta e suonava benissimo, almeno fino al 2005. Ancora teenager, iniziò a sentire dolore all’anca durante il challenger di Binghampton, un paio di settimane prima dello Us Open. Si spinse ugualmente in semifinale e perse contro un 18enne Andy Murray, allora numero 145 ATP. Allo Us Open battè Gaston Gaudio prima di perdere da Xavier Malisse. Ma il dolore non andava via. Due mesi dopo si sottopose al primo intervento chirurgico. Poi ce ne fu un altro. Poi un altro ancora. Un calvario: Baker è finito sotto i ferri per cinque volte: tre a causa dell’anca (due volte la destra, una la sinitra), una al gomito e una per la pubalgia. Una specie di record mondiale. Dovette fermarsi per oltre un anno, poi nel 2007 provò a giocare due challenger casalinghi, a Nashville e Knoxville. Niente da fare. Bye bye tennis. Addio sogni, aspirazioni, tutto. Quando era diventato professionista, nel 2003, aveva un rovescio degno di nota. Un colpo che avrebbe potuto diventare di fama mondiale. “Giocavo un po’ come Novak Djokovic, solo che lui era un po’ più veloce di me” disse malinconicamente nel 2009 quando il New York Times lo andò a cercare. Ma aveva qualcosa di speciale: conosceva il gioco come pochi teenagers. Sapeva scegliere il colpo, costruirsi i punti, aveva pazienza…sembrava un predestinato. L’anca è una delle parti del corpo più sollecitate nel tennis di oggi. Tanti giocatori hanno avuto problemi di questo tipo: Magnus Norman, Gustavo Kuerten, Harel Levy, tutti operati dal dottor Richard Byrd. Anche Baker è stato operato da Byrd, che risiede proprio a Nashville ma è uno dei massimi esperti a livello mondiale. Norman, Kuerten e Levy non sono riusciti a riprendersi. Baker ha un’idea: “Io forse ce l’ho fatta perché quando mi sono operato avevo 20 anni e il mio corpo era ancora relativamente intatto dal logorio del tennis”. Ma com’è possibile che un ragazzo di 20 anni abbia problemi del genere? “Un po’ è dovuto alla genetica – sostiene Baker – I miei fianchi si sono formati in un modo che non si sposa con la mobilità di cui ha bisogno il tennis. Se avessi saputo certe cose, forse avrei potuto fare un po’ di prevenzione. Ma non mi piace guardarmi indietro”. Dopo 6 anni di stop (a parte i due tornei giocati nel novembre 2007), Brian ha deciso di riprovarci. In questi anni è tornato a scuola per studiare Economia all’Università, mentre continuava a giochicchiare facendo l’assistente allenatore presso la Belmont University di Nashville. Colpiva la palla tutti i giorni, stava sempre meglio…e allora ha deciso di provarci.

Lo scorso luglio è tornato a giocare nel circuito future, centrando la vittoria al primo tentativo. Ha poi chiuso l’anno raggiungendo la finale a Knoxville (partendo dalle qualificazioni). Nel 2012 ha continuato a giocare bene, vincendo due futures prima di presentarsi a Savannah, dove ha battuto uno dopo l’altro Russell, Kendrick, Ginepri, Strode e Gensse. “Quando ho deciso di tornare ho pensato ‘ora o mai più’. Ho 26 anni, ho ancora un anno di college ma c’è un affare in sospeso. Ho deciso di fare un tentativo”. L'anca gli impedisce di fare alcuni movimenti, ma si tratta di situazioni poco legate al tennis. “Devo migliorare sul piano della mobilità. Ma il dritto viaggia, il rovescio è sempre buono e credo di essere un giocatore intelligente”. Baker è un tipo tranquillo. Gli anni lontano dal tennis ne hanno forgiato il carattere. In campo ha l’atteggiamento giusto: iper-rilassato tra un punto e l’altro, carico come una molla durante i punti. E presta grande attenzione a quello che fa prima e dopo una partita. Forse perché pensa ai lunghi pomeriggi in cui non aveva la forza di guardare il tennis in TV. “Vedevo gente che di solito battevo entrare tra i primi 10 del mondo. Ci sono stati momenti in cui era dura guardare il tennis. Non ero dispiaciuto, piuttosto deluso. E’ brutto dedicare una vita a uno sport e poi restarne fuori per colpe non tue”. Attualmente è senza allenatore ma ha già fatto due chiacchiere con l’ex coach Ricardo Acuna, oggi impegnato con la USTA. Chissà che il sodalizio non possa ricomporsi. Brian è ben deciso: “Il mio ritorno non è una scommessa con me stesso. Non mi accontento di tornare dov’ero sette anni fa. Se il mio corpo collaborerà, sono sicuro di poter fare bene”. E dimostrare al mondo che nella lunga lista dei “bidoni” c’era un nome di troppo.