Ernests Gulbis fa sempre parlare di sè. Fuori dai top 150, sta giocando bene a Winston Salem e dice di tutto: “Alcuni tennisti sono principesse. E ci sono alcuni top 100 che…”
Ernests Gulbis ha vinto due titoli ATP: Delray Beach 2010 e Los Angeles 2011
Di Riccardo Bisti – 23 agosto 2012
Qualche anno fa ha fatto rumore il libro autobiografico di Antonio Cassano, dall’eloquente titolo: “Dico tutto”. Difficile trovare qualcosa nel tennis, dove c'è il bavaglio delle conferenze stampa e dicono sempre le stesse cose, come se uscire dagli schemi fosse un disonore. Prendiamo la nostra Sara Errani, straordinaria sul campo e sincera fuori. La sua intervista a Vanity Fair, in cui ha ammesso di non amare Balotelli e ha dato (sia pure in un contesto più ampio e senza volerlo sminuire) del “fighetto” a Roger Federer, le ha creato un mucchio di problemi e gliela stanno facendo “scontare” ancora oggi. Risultato? Difficilmente vedremo le Errani sbilanciarsi di nuovo con pareri e opinioni (anche se speriamo che continui ad essere se stessa). Tra gli uomini, dopo aver avuto gioco facile a definire Bernard Tomic il “Balotelli del tennis” per i suoi atteggiamenti fuori dalle righe, chi è il Cassano della situazione? Chi è che parla senza problemi perché se ne frega (e perché – onestamente – se lo può permettere)? Ernests Gulbis è un vero “personaggio”, uno che fa parlare di sé, sempre. Non solo per il background familiare (papà, ex giocatore di basket, è uno degli uomini più ricchi della Lettonia, mamma è un’attrice di teatro che lo aveva fatto recitare in un film quando era un bambino), ma perché non ha paura di dire cosa gli passa per la testa. E’ l’unico che riesce a destare interesse se dice qualcosa a Delray Beach piuttosto che a Winston Salem. Sei mesi fa, durante il torneo in Florida, disse che si sarebbe ritirato entro un paio d’anni se non fossero arrivati risultati importanti. “Ho pensato spesso al ritiro, ma poi ci rifletto e penso che attualmente non ci sia niente di meglio di tennis per passare il tempo”. Ragionamento da bimbo viziato, baciato dal talento ma abituato a viaggiare con il jet privato sin da bambino (papà Ainars, per intenderci, è proprietario del più importante gasdotto del suo paese). Disse che si era messo a lavorare sul serio, che i risultati sarebbero arrivati.
Niente di tutto questo. Dopo Delray Beach ha continuato a giocare male. Si salva solo l’improvviso exploit di Wimbledon, dove ha sculacciato Tomas Berdych sul campo centrale. Ma sono bastati due giorni per tornare nell’anonimato e perdere da Jerzy Janowicz. Se escludiamo i quarti a Gstaad, ha combinato un pasticcio dopo l’altro. Il punto più basso è giunto in Coppa Davis, dove è riuscito a perdere in cinque set contro l’ungherese Marton Fucsovics, numero 544 ATP. E la classifica ha ricominciato a piangere. Oggi Gulbis è numero 153. Meno di due anni fa era a ridosso dei primi 20, e non era mai stato così in basso dal novembre 2006. Potrebbe scrivere il manuale perfetto su come “buttare via una tonnellata di talento”. Eppure è ancora in giro, e a Winston Salem promette l’ennesima resurrezione. Ha superato le qualificazioni e ha vinto due partite nel main draw contro Carlos Berlocq e l’ostico Kevin Anderson. Dopo il match col sudafricano lo hanno cercato e lui – come sempre – non ha deluso. “Non sto giocando il mio miglior tennis, ma adesso ho un po’ di fiducia. Chissà, magari posso vincere il torneo”. In merito alla vittoria contro Berdych, ha ribadito che la modestia non è la sua dote principale. “Ho provato a me stesso, ancora una volta, che se gioco bene posso battere chiunque ed è chiaro per tutti i giocatori. Quando Ernests Gulbis gioca bene, loro vanno in difficoltà”.
Il bello di Gulbis è che non nutre troppa stima per diversi colleghi. Si trova bene con Novak Djokovic, conosciuto tanti anni fa presso l’Accademia di Nikki Pilic, però dice: “I tennisti si preoccupano per la confusione di New York? Alcuni tennisti sono principesse. A me piace molto New York, meglio di Cincinnati dove a parte due hotel e un Applebee’s non c’è nulla. Ti viene la depressione”. Gulbis tiene per sé la cosa che preferisce fare a New York, e il pensiero corre all’episodio di Stoccolma di qualche anno fa, dove venne arrestato dalla polizia locale per favoreggiamento della prostituzione (si stava portando in camera due ragazze, lui non aveva idea che fossero prostitute. E’ talmente “personaggio” che potrebbe essere vero). Di certo non gode di una reputazione di guerriero, e quando gli si chiede della sua fama riflette prima di rispondere: “Sto cercando di bilanciare, con l’età si diventa più professionale. Avrò ancora i miei scatti comportamentali, ma cercherò di controllarli”. A dispetto della classifica, Gulbis non ha nessuna intenzione di giocare i tornei challenger. Dopo lo Us Open si farà tutta la stagione asiatica. “Preferisco giocare le qualificazioni dei grandi tornei. So che se gioco bene posso arrivare tranquillamente nei quarti o in semifinale. La classifica? E’ chiaro che io posso stare tra i primi 50, niente di meno”.
Secondo lui, dovrebbe essere premiata soprattutto la qualità delle vittorie piuttosto che la quantità (è un’allusione ai bonus point?) “Alcuni giocatori giocano un sacco di challenger e stanno tranquollamente tra i primi 100. Negli ultimi 4-5 anni, io avrò giocato un paio di challenger. Vado sempre ai grandi tornei, senza alcun problema. Potrei giocare un challenger perché ho bisogno di partite, ma mai per i punti in palio. So che ogni settimana posso ottenere un risultato importante. Ho bisogno di due settimane buone o qualcosa di più e so che tornerò tra i primi 50”. Per riuscirci, si è affidato a coach Gunther Bresnik, che possiede un’accademia in Austria. Gliel’hanno consigliato alcuni ex giocatori finlandesi (“Ma non vi dirò chi”. Perché, Ernests?). Da Barcellona è andato in macchina a Vienna, ha fatto 3 allenamenti e ha deciso di dargli fiducia. Noi non sappiamo se tornerà tra i primi 50, o se riavvicinerà il best ranking. Di sicuro speriamo che continui a giocare per dare un po’ di pepe all’ovattato circuito ATP. Sospettiamo che tra una ventina d’anni, quando si sarà ritirato e farà la bella vita, ci ricorderemo di lui per le occasioni sprecate. Ma anche per alcune dichiarazioni esilaranti, che hanno ricordato il miglior Goran Ivanisevic. “Pressione quando sono sceso in campo contro Berdych? No, niente, zero. Il punto è questo: se ti alleni, i risultati arrivano. Se non ti alleni, non arrivano. Qualcuno ama giocare un’ora e passarne cinque in palestra, qualcun altro vuole fare il contrario. Devi trovare il giusto bilancio. Se ce la fai, i risultati arriveranno”. In tanti anni di carriera, Ernesto da Riga non l’ha ancora trovato. Noi glielo auguriamo.
QUANDO GULBIS BATTE' FEDERER
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