“Sono ancora più felice del 2013”, ha raccontato lo scozzese davanti ai giornalisti. Tanti i temi toccati in una conferenza stampa fiume: il primo Slam da padre, la pressione di Wimbledon, l’allenamento alla risposta (30 minuti al giorno!), e la figura di Ivan Lendl: “un leader”.

Secondo gli appassionati, non sempre il tennis è uno sport giusto. Ma è assolutamente meritocratico. Vince chi fa l’ultimo punto, chi riesce a giocare meglio più a lungo, chi evita tutti gli ostacoli che trova lungo la strada. Questa volta ce l’ha fatta Andy Murray, ed è sacrosanto sia così. Da Roma lo scozzese sta giocando il miglior tennis della sua carriera, e non appena Djokovic ha fatto un passo falso è stato bravissimo ad approfittarne. Prima al Foro, quindi nel suo Wimbledon, dove migliaia di appassionati non aspettavano altro che un bis del successo del 2013. Quello era stato più emozionale, più sentito dalla gente. Questo invece rappresenta la sua consacrazione, condita dalle lacrime post-match. Ha scaricato tutta la tensione e mostrato grande umanità. Il suo atteggiamento un po’ rude in campo la nasconde spesso, ma fra i “Fab Four” Murray rischia di essere il più normale, il più tranquillo, il classico bravo ragazzo. Ha vinto meno di quanto potrebbe perché è arrivato nel momento sbagliato, ed è per questo che vederlo sollevare un altro Slam non può che far piacere. Djokovic li vince da favorito, Federer li vinceva da dominatore, Nadal da cannibale, lui lo fa da (ex) quarto del gruppo, che poi è diventato terzo e ora secondo. Primo? Probabilmente non lo sarà mai: il dominio di Djokovic è tale da renderlo impensabile, tanto che non gliel’hanno nemmeno chiesto in conferenza stampa. Ma mai dire mai. Di seguito le sue risposte più interessanti davanti ai giornalisti.

SULLA DIFFERENZA FRA IL PRIMO E IL SECONDO TITOLO
“La sensazione è diversa, stavolta mi sento ancora più felice. Sento che questo titolo è principalmente per me e il mio team, più che per ogni altra cosa. Abbiamo lavorato veramente duro per essere qui. Nel 2013 era pura estati, non ho goduto così tanto del mondo. Stavolta sono certo lo farò molto di più”.

SULLA FINALE GIOCATA DA FAVORITO
“Non ho badato molto a quello, ho solo visto questo match come l’opportunità per vincere un altro titolo. Ero comunque tanto nervoso quanto prima di tutte le altre finali Slam. Però oggi il mio piano tattico ha funzionato alla perfezione, direi come nelle ultime tre o quattro settimane. Oggi ho servito molto bene, mi sono preso tanti punti diretti, e anche la seconda palla ha funzionato alla grande. Quando va così mi permette di provare a servire la prima con più rischi, e giocare in maniera più rilassata”.

SUL PRIMO TITOLO SLAM DA PADRE
“Come ho detto spesso, l’arrivo di mia figlia mi ha cambiato la vita. Un figlio aiuta a vedere il mondo da un’altra prospettiva. E ovviamente rappresenta una motivazione in più, per impegnarmi e lavorare duramente con l’obiettivo di vincere tornei come questo. Anche Roger dopo aver avuto dei figli ha giocato il suo miglior tennis, lo stesso per Novak. Ma la realtà è che comunque bisogno metterci lo stesso tanto lavoro e tanta dedizione. Mi sento motivazione come mai nella mia carriera”.

SULLA PRESSIONE EXTRA DI GIOCARE A WIMBLEDON
“Essere un britannico a Wimbledon è sinonimo di tante attese. Ricordo prima del titolo del 2013, chissà quante volte me l’aveva chiesto. Sono cosa a cui uno pensa, e si trasformano in pressione. È successo anche quest’anno, nelle ultime settimane il mio lavoro è stato anche quello di staccare da tutto ciò che mi ruotasse intorno, e ascoltare solo il mio team e mettere in pratica ciò che mi chiedevano”.

SULLE CHIAVI DEL SUCCESSO ODIERNO
“Sicuramente il servizio. Poi ogni volta che si entrava nello scambio riuscivo a colpire bene la palla, in maniera profonda, senza permettergli di comandare gli scambi. E quando li comandavo io non mi è capitato spesso di perdere il controllo. Ho messo bene la palla, e poi ho risposto molto bene per gran parte del match. Ho provato a mettergli pressione rispondendo il più possibile, e nei tie-break ha pagato”.

SULLE SUE QUALITÀ IN RISPOSTA
“Alleno molto la mia risposta. Non è qualcosa che arriva per caso, ci dedico molto tempo. Il mio stile di gioco parte da quello. Intorno ai 15-16 anni, quando sono andato in Spagna, non la allenavo particolarmente. Ma da quando sono nel Tour mi sono sempre impegnato molto. La alleno circa 30 minuti ogni giorno, non sono così tanti i giocatori che lo fanno, magari a fine allenamento. Ma servizio e risposta sono i due colpi più importanti del tennis, ed è per questo che li alleno particolarmente”.

SULL’AIUTO DI GIOCARE CONTRO UN AVVERSARIO ALLA PRIMA FINALE
“Non credo che mi sia stato d’aiuto per preparare il match, ma che aver già vissuto certi momenti nel corso della partita ha avuto importanza. Ero nella situazione per fare certe cose meglio di lui, perché ho più esperienza in match come questo e in situazioni così”.

SULLE TANTE FINALI SLAM PERSE
“Ovviamente avrei adorato vincerne di più, ma gli avversari che ho hanno vinto veramente tantissimo. Un sacco di gente dice siano potenzialmente i migliori tre di tutti i tempi. Ho vinto alcuni match negli Slam contro di loro, ma ne ho anche persi altri. Se voglio vincere altri Slam, devo trovare il modo per batterli, è molto raro vincere uno Slam senza affrontare né Djokovic né Federer né Nadal. Credo però che il mio miglior tennis debba ancora arrivare, e quindi di avere l’opportunità di vincere altri Slam”.

SUL CONTRIBUITO DI IVAN LENDL
“Penso sia un leader, ed è importante. Credo in quello che dice, specialmente grazie ai risultati che abbiamo ottenuto insieme. Sotto la sua guida ho giocato il mio miglior tennis. Mi ha sempre spinto a giocare in maniera più aggressiva. Entrambi crediamo nell’altro, e credo che Ivan sia una persona molto onesta, con me e con il mio team. Dice sempre esattamente ciò che pensa. Non sempre mi piace ascoltare quello che dice, ma è spesso quello che ho bisogno di sentirmi dire”.

SUGLI APPUNTI CHE LEGGE AI CAMBI DI CAMPO
“Sono cose abbastanza basilari, che tengo a ricordare a me stesso durante gli incontri. Ci sono degli appunti tattici, a molto nei momenti delicati è facile dimenticarsi quello che si sta provando a fare. Oppure ci sono alcune tattiche da utilizzare nel match, ma anche cose basilari. Come quella di continuare a muovere i piedi anche quando sono nervoso. La gente tende a usare meno le gambe quando le cose non vanno bene. Cose così, nulla di speciale.

SUL SUO OTTIMO PERIODO
“Credo che gli ultimi tre mesi, diciamo da Monte Carlo in avanti, in termini di consistenza sono stati fra i miei migliori di sempre. Sono arrivato in finale in tutti gli ultimi cinque tornei: Madrid, Roma, Parigi, il Queen’s e qui (vincendo in tre occasioni, ndr),  e non credo mi fosse mai successo prima. Ho giocato la mia miglior stagione di sempre sulla terra battuta. Il motivo? Sicuramente è anche una questione di fiducia. Ho fatto un po’ di fatica a Indian Wells e Miami, e così a Monte Carlo. Poi ho vinto un match quasi perso contro Paire, senza giocare particolarmente bene, e ho sentito che poteva diventare un punto di svolta. E infatti da quel momento ho iniziato a giocare molto molto meglio, ho battuto Raonic, ho giocato un buon match contro Nadal. Quella settimana mi ha dato un sacco di fiducia”.