Prima che ci fosse l’invasione del colore, i tennisti vestivano esclusivamente di bianco. Scopriamo le origini di una tradizione che resiste solo a Wimbledon.
Suzanne Lenglen e Andre Agassi. Due immagini-simbolo del tempo che passa
Di Riccardo Bisti – 10 agosto 2012
Domandarsi perché i tennisti si vestono (anzi, si vestivano) di bianco è un po’ come chiedersi perché il cielo è azzurro, il sole è giallo o l’acqua è bagnata. La risposta ovvia, banale, è che il bianco riflette la luce e quindi assorbe poco calore e mantiene più fresco. Il tutto sin da prima che le aziende inventassero le magliette iper-tecnologiche di oggi. In realtà, la vicenda è più complessa e va di pari passo con le lunghissima storia del tennis. Il Maggiore Walter Clopton Wingfield ha brevettato il tennis moderno nella seconda metà dell'800, ma le origini risalgono addirittura al 12esimo secolo. Allora i monaci francesi – per gioco – giocavano a palla tirandosela uno contro l’altro con le mani. Nel 16esimo secolo, le aristocrazie inglesi e francesi inventarono il “Jeu de Paume”, in cui si giocava con una racchetta rudimentale. Risale ad allora l’immagine signorile del tennis, quando Enrico VIII fece costruire un campo in uno dei palazzi di sua proprietà. Allora non esistevano né le polo né i pantaloncini corti. Gli abiti “tennistici” fatti progettare da Enrico VIII non erano troppo diversi dal suo abbigliamento tradizionale. Generalmente, si giocava in collant e pantaloni. Il gioco si è poi diffuso negli Stati Uniti tra il 1700 e il 1800, e gli americani si limitavano a giocare con gli abiti di tutti i giorni. Un po’ scomodo. Dal 1877 in poi, anno della prima edizione di Wimbledon, il tennis è diventato uno sport a tutti gli effetti. Ma nei primi anni, tuttavia, le ragioni dell’immagine prevalevano ancora sulla comodità. La situazione era più “drammatica” per le donne, che per diversi anni hanno giocato con abiti, cappelli, gonnelloni e guanti. Ma poi il bisogno di comodità ha avuto la meglio. Il tennis ha avuto bisogno di un abbigliamento specifico…ed è nata la moda del bianco.
All’inizio del 20esimo secolo, i ricchi inglesi e americani lo adottarono come simbolo del loro tempo libero. Il motivo era semplice: il bianco si sporca facilmente, quindi gli operai e la povera gente non aveva convenienza a indossarlo in un’epoca in cui l’igiene era ancora in divenire e non esistevano ancora i lavaggi a secco. In altre parole, il bianco era adatto per chi non lavorava (a dava l’idea di non lavorare). Costava parecchio ed era il simbolo ideale per i ricchi che d’estate si dedicavano a uno sport così signorile. Ma la classe media, si sa, ama imitare i ricchi. E quando il tennis si è “democratizzato”, anche i lavoratori iniziarono a vestire di bianco per giocare a tennis. Lentamente è diventata una regola. Prima era una norma non scritta, poi nel 1890 Wimbledon ha imposto l’obbligo (valido ancora oggi) di giocare in bianco. Le divise intonse divennero lo standard sin dai primi anni del 900. La prima ad adottare qualche modifica all’abbigliamento tradizionale fu Suzanne Lenglen, la “Divina”, che giocava con le maniche corte e un gonnellone che arrivava al polpaccio. Gli americani si fecero meno problemi. Gussie Moran fu la prima ad indossare una gonna corta. Era l’edizione 1949 di Wimbledon e le scene che oggi sono la “normalità” (biancheria mostrata ad ogni movimento) fu una rivoluzione per l’epoca. E i fotografi si sdraiavano per terra con l’obiettivo di “catturare” qualche immagine osè. Per gli uomini, la rivoluzione fu meno cruenta: iniziarono a giocare coi pantaloni corti intorno alla metà degli anni 20, senza destare grosso scalpore.
La Moran fu particolarmente imbarazzata, ma i tempi erano ormai maturi. Bastarono 10 anni per far dimenticare lo scandalo. Le donne non si fecero più problemi a indossare i capi preferivano, pur passando da un estremo all’altro: per una Helen Jacobs che giocava con i pantaloncini, la nostra Lea Pericoli divenne famosa per gli abitini in pizzo che fecero scalpore negli anni 60. Ma sul colore non si è mai discusso: il bianco, salvo rare eccezioni, era un arredo del campo da tennis. Poi, negli anni 70-80, con l’arrivo degli sponsor e della TV a colori, l’abbigliamento dei tennisti è cambiato. La rivoluzione è partita con i completi di Andre Agassi. Un tripudio di colori (fucsia, giallo evidenziatore) e i pantaloncini jeans esaltarono i giovani e fecero disperare i tradizionalisti. Ma ormai eravamo entrati nella società dell’immagine. “Image in Everything” diceva un famoso spot. Agassi è stato lo spartiacque. Dopo di lui, nulla è stato più come prima. Il tennis si è aperto a qualsiasi variazione cromatica, tanto che oggi nulla fa notizia. Per scandalizzarci abbiamo bisogno di una Bethanie Mattek che scende in campo con abiti leopardati o di Venus Williams con il suo completo color carne. Per il resto, ci siamo abituati a tutto. Tranne a Wimbledon, dove la norma del 1890 è ancora in vigore. Con la “scusa” di non avere gli sponsor a bordocampo, gli organizzatori obbligano al bianco ancora oggi. Andre Agassi saltò addirittura alcune edizioni prima di tornare, nel 1991, con un plateale ingresso con tuta, pantaloni e divisa rigorosamente bianchi. L’anno dopo avrebbe vinto il torneo. La tradizione è stata violata la scorsa settimana, quando ai tennisti è stato concesso di indossare le divise nazionali anche nel sacro tempio di Church Road. Una rivoluzione che difficilmente troverà riscontro ai Championships veri e propri, ma qualche appassionato dei Gesti Bianchi, trasportato casualmente nel 2012, avrebbe potuto pensare: “Chi ha dato il permesso a questi pagliacci di vestirsi colorati a Wimbledon”. Sono i tempi che cambiano, bellezza.
Maestrale o ponentino
Dai successi di Berrettini a quelli dell’uragano Sinner, in attesa dell’anno che verrà: che aria tira nel tennis italiano?...