AMARCORD – Alberto Berasategui, l’uomo che tirava dritto e rovescio con la stessa faccia della racchetta. Colse una finale al Roland Garros e si qualificò per il Masters.
L’incredibile dritto di Alberto Berasategui
Di Riccardo Bisti – 14 febbraio 2013
Il compianto Roberto Lombardi lo chiamava “Il basco di ferro che ha cercato di cambiare il manuale del tennis a suon di dritti”. Alberto Berasategui era tutto lì. E' stato un ottimo giocatore, ma verrà ricordato solo per l'impugnatura così esasperata da impattare sia dritto che rovescio con la stessa faccia della racchetta. Non si era mai visto nulla del genere, non si sarebbe visto nemmeno dopo. Nato ad Arrigorriaga nel 1973, si è fatto notare nel 1994 quando ha raggiunto una clamorosa finale al Roland Garros. Un tipo simpatico, dai modi spicci e dal tennis inguardabile, almeno per i puristi. Eravamo in piena rivoluzione tecnica, con i maestri ancora indecisi se insegnarti il dritto in posizione affiancata con la classica eastern, oppure il colpo frontale con un’impugnatura esasperata, che da lì a poco avrebbe fatto capolino con le sembianze di Carlos Moya e la sua Babolat Pure Drive. Nel 1994, il tennis aveva conservato quel non-so-che di romantico. I personaggi strambi c’erano già, ma erano considerati – appunto – strambi. I capi di Andre Agassi erano l’eccezione, oggi nessuno fa caso ai colori. Anzi, c’è da stupirsi se qualcuno scende in campo vestito di bianco. Il pallettaro ispanico esisteva già, ma generalmente i top 10 erano riservati a Stich, Korda, Ivanisevic, Edberg…tutta gente che sapeva giocare a tennis. Anche Sergi Bruguera, a modo suo, aveva una buona tecnica. Papà Luis, col ghigno beffardo sotto la barba, gli aveva insegnato a fare il muro di gomma, ma lui sapeva fare tutto. Non a caso ha ottenuto buoni risultati anche sul cemento e indoor.
Berasategui no. Lui era un fenomeno da baraccone, come la racchetta-spaghetti degli anni 70, la Snauwaert Ergonom degli eighties e i quadrumani che di tanto in tanto si palesavano (Gene Mayer, Hans Gildemeister). Al Roland Garros 1994 scardinava gli avversari con un dritto osceno ma terribilmente efficace. Nelle scuole tennis, qualche bimbo temerario provava a imitarlo, fracassandosi polso e gomito. Della sua cavalcata al Roland Garros, più che la finale contro Bruguera, si ricordano alcune uscite memorabili. “La personalità più famosa del Roland Garros? La top model Ines Sastre”. Gli chiesero se preferiva vincere uno Slam o vedere la Spagna campione del mondo a Usa 94. “Mi piacerebbe molto se la Spagna vincesse i mondiali…ma io vorrei arrivare almeno in finale!”. Corridore instancabile, nel 1994 visse il suo anno d'oro, aggiudicandosi sette tornei. Annusata la possibilita di qualificarsi per le ATP Finals di Francoforte, andò a giocare i tornei più improbabili, vincendoli tutti. Si qualificò, prensentandosi alla Festhalle da brutto anatroccolo. Vinse due game contro Agassi, uno contro Chang e cinque contro Bruguera. La sua apparizione è stata una delle peggiori nella storia del Masters. Il suo stile pagava sulla terra rossa, ma era un disastro sulle superfici rapide. Vedere un match di Berasategui era una tortura. Per oltre 100 anni ci avevano spiegato che il tennis si giocava in un certo modo…poi sbuca uno così? La rivoluzione, per fortuna, ha avuto breve durata. E nessuno ha avuto l'ardire di imitarlo. Ma come ha potuto inventarsi un tennis così assurdo? Da piccolo, lo spedirono negli Stati Uniti a formarsi presso l’Accademia di Harry Hopman. I tecnici trasalirono, ma le saette che scagliava lo convinsero a lasciarlo stare. “Se il polso non gli dà fastidio, perchè cambiare?”
A 14 anni tornò in Spagna, aggregandosi al team di coach Javier Duarte, di cui faceva parte anche Alex Corretja. Anche stavolta pensarono di cambiargli il dritto, ma non se ne fece nulla. La palla viaggiava a meraviglia, con una velenosa rotazione in topspin che mandava gli avversari prima contro i teloni e poi al manicomio. I risultati gli hanno dato ragione, ma non poteva durare. Già nel 1995 ebbe un calo vertiginoso, e non sarebbe più tornato tra i primi 10. Si rifugiò nella terra battuta, evitando come la peste le altre superfici. Tuttavia, come ogni storia che si rispetti, Alberto ha avuto il suo momento di gloria anche sul cemento. Era il 1998 e si presentò senza ambizioni all'Australian Open. Battè Pat Rafter (che pochi mesi prima aveva vinto lo Us Open) e ingaggiò una furibonda battaglia contro Andre Agassi. Perse i primi due set ma poi vinse al quinto, prendendosi una grande soddisfazione contro lo stesso giocatore che aveva criticato la sua qualificazione al Masters “Perchè ha vinto solo su una superficie”. “Gli avrei tirato volentieri una pallata sulle…. – racconta oggi, esternando la sua antipatia per il Kid – il mio dritto era uno dei più strani, ma non potevo durare a lungo tra i primi 10, giocando solo su una superficie”.
La sua carriera è terminata nel 2001 a causa dei persistenti dolori al polso (ma va?), ma già nel 1998 aveva avvertito i primi problemi. Berasategui è rimasto nel tennis: prima ha fatto il commentatore televisivo, poi è diventato vicepresidente della federtennis basca (tanto da organizzare un Masters-Esibizione a Bilbao), salvo poi diventare coach di Feliciano Lopez. E’ tornato alla ribalta qualche mese fa, quando si è diffusa la voce della separazione con la moglie Arantxa, da cui ha avuto quattro figli. Pare che lei non disdegnasse il maestro di tennis dei Berasategui Junior…a parte questo, “Bera” è un ambasciatore di quegli anni 90 dove l’umanità non aveva ancora lasciato posto alla robotizzazione. Se gli chiedi i personaggi più strambi della sua epoca, non ha dubbi: Murphy Jensen e Joao Cunha Silva: “Il primo serviva con destra e sinistra alla stessa velocità, il secondo aveva un mucchio di tic, soprattutto prima di servire. L’episodio più strano? Una volta, a Nizza, mi hanno portato fuori dal campo sulla sedia a rotelle a causa dei crampi. Poi mi hanno steso su una barella e sono svenuto: Albert Costa e Alex Corretja pensavano che fossi morto!”. Fino a qualche mese fa ha allenato Feliciano Lopez: gli invidiava il servizio (“Se lo avessi avuto io, giocherei ancora”) e aveva fatto un fioretto: se il suo assistito avesse vinto Wimbledon, si sarebbe fatto un tatuaggio. Crediamo che possa stare tranquillo. Se poi evita di insegnare il suo dritto ai giovani spagnoli…gliene saremmo grati.
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