Lettera per lettera, la penna ironica e divertente di Massimo Garlando ci fa rivivere il 2014 del tennis al maschile. Ci sono i grandi nomi, certo, ma è bello leggere anche di qualche carneade. Una lettura imperdibile.

Di Massimo Garlando – 23 dicembre 2014

 
E' tempo di festeggiare il Natale, ma i giocatori sono già a lavoro per preparare il 2015. Tuttavia, è bello voltarsi e vedere cosa ci ha lasciato la stagione appena trascorsa. Pochi possono farlo meglio di Massimo Garlando, che ci ha riproposto il suo 'format' ormai tradizionale, "Dalla A alla Z", stavolta proposto per tutto l'anno. Da Agassi a Zverev, 

A come AGASSI: la A mi mancava, quindi ho preso Open, che sarà il mio libro per le vacanze di Natale. Un po’ tardi, lo so, ma è una costante della mia vita: fuori moda, fuori posto, insomma sempre fuori, dai. (cit.)

B come BECKER: da quando allena Djokovic, è la rappresentazione perfetta di come si può invecchiare male.

C come CILIC: il vero intruso, molto più di Wawrinka, al banchetto dei vincitori Slam. Il rendimento altalenante di entrambi, dopo la clamorosa vittoria, fa riflettere sulla tremenda forza mentale necessaria per permettersi continuità ad alto livello nel tennis. Non ho mai provato molta simpatia per i vincitori seriali, ma giù il cappello di fronte ai Federer, Nadal e Djokovic.
 
D come DELBONIS: nel 2013 ha battuto Federer, quest’anno ha vinto il primo torneo ATP in carriera (San Paolo, in finale su Lorenzi). Missione compiuta, ora posso dimettermi da (unico) tifoso, buona vita.

E come EDBERG: da quando allena Federer, è la rappresentazione perfetta di come si può invecchiare bene (adesso basta però, se no sembra il 1994 dalla A alla Z).

F come FEDERER: cinque tornei vinti (due Masters 1000), solida classifica al numero due e, ciliegina sulla torta, trionfo in Davis nonostante l’infortunio. Niente male per chi, nell’estate 2013, sembrava prossimo a un declino fisico inesorabile, anche se il retrogusto della finale di Wimbledon è un po’ amaro.

G come GASQUET: ci voleva proprio, una bella batosta nel match decisivo della finale di Coppa Davis, per rafforzare la sua autostima e proiettarlo verso una scoppiettante ultima parte di carriera. Ora la sua collezione di disavventure fantozziane può considerarsi completa.

H come HERBERT: il 2015 sarà l’anno di Pierugo. Certo, certo…

I come ITALIANI: l’annata bifronte di Fognini (con troppi picchi negativi ed imbarazzanti), il ritorno di Bolelli, l’affare-scommesse e la mancata esplosione di Quinzi. E la semifinale Davis, naturalmente, il punto più alto del 2014 tricolore maschile, che ha riportato per un attimo la mente ai fasti di Milwaukee (per chi ha l’età giusta per ricordarlo).

K come KYRGIOS: la sua vittoria a Wimbledon con Nadal è la fotografia più indicata per descrivere la ribellione delle nuove leve al potere costituito. Seconda parte di stagione non all’altezza di cotanto splendore ma, insomma, avercene.

L come LOPEZ: zitto zitto, si affaccia per la prima volta in carriera nell’Olimpo dei primi 15 giocatori del mondo. Resta uno dei tennisti dal rendimento più altalenante a seconda della superficie. Alcune lacune tecniche sono davvero clamorose per una classifica del genere, ma gli highlights delle sue partite sull’erba sono, a tratti, di una bellezza accecante.

M come MURRAY: fatica terribilmente a tornare a livelli consoni al suo talento ma, in compenso, spadroneggia su Twitter e con i videogiochi. Memorabile il suo cazziatone a Kyrgios e Kokkinakis, vicini di camera indisciplinati e giocatori di FIFA14 rumorosi, notevole per stile ed autoironia il messaggio di scuse al Federer infortunato londinese, per averlo impegnato troppo duramente nel match del girone (vinto dallo svizzero 60 61).
 
N come NISHIKORI: mai un giapponese (anzi, un asiatico) era arrivato così in alto, in uno Slam e in classifica. Ha vinto quattro tornei nel 2014, ma ha perso le due finali più importanti: il 1000 di Madrid a causa di un infortunio, quando stava dominando Nadal e la finale US Open, forse per un involontario appagamento dopo la semifinale perfetta con Djokovic. Se testa e fisico reggono, nel 2015 si divertirà.

O come OLANDESE: per la precisione delle Antille Olandesi. E’ il plurivincitore del 2014 (insieme ai gemelli Bryan, ma la cosa fa meno notizia), si chiama Jean-Julien Rojer e ha portato a casa nove titoli, tra doppio e doppio misto. Proprio il successo in coppia con la Groenefeld, a Parigi, è stato decisivo per superare il compagno di doppio Tecau, che ha vinto con lui gli altri otto.



P come PABLO: la sfortuna ha tentato più volte di ammazzare Pablo, ma Pablo Cuevas è vivo. Lo stop di due anni per il doppio intervento chirurgico al ginocchio è finalmente alle spalle, e un luglio magico (più o meno sulla falsariga di quello 2013 di Fognini) gli ha regalato i primi due titoli Atp in carriera. E il titolo (per distacco) di terraiolo minore dell’anno

Q come QUATTRO: quattro Slam, quattro vincitori. Negli ultimi dieci anni era successo soltanto una volta, nel 2012, ma in quel caso la torta se l’erano spartita democraticamente i fab four. Quest’anno è andata un po’ diversamente. Bene così.
 
R come ROBERT: il lucky loser che passa dalla sala d’attesa dell’aeroporto al quarto turno non poteva mancare, nel riepilogo dell’anno. E’ successo a Melbourne, a questo bucaniere francese da tornei di seconda fascia, che ha (se non altro) sistemato il conto in banca per tutta la stagione.

S come SCHWARTZMAN: il vincitore delle Atp Challenger Tour Finals avrà sempre un posto nel mio cuore (e nei miei riassunti).

T come TRE FINALI DI FILA: spiace per il povero Julien Benneteau, ma qui si rasenta il tragicomico. Il francese è infatti arrivato al non invidiabile record di dieci finali ATP perse su dieci disputate, numeri che fanno invidia al leggendario connazionale ciclista Poulidor  (che, almeno, ogni tanto vinceva) e allo sciatore Hubert Strolz, eterno piazzato ma alfine campione olimpico. E ha raggiunto questo traguardo a Kuala Lumpur, dove ha perso in finale per il terzo anno consecutivo. Un consiglio: l’anno prossimo cambi torneo, dicono che Shenzhen non sia poi malaccio.
 
U come UNO: il numero uno del mondo a fine anno è, per la terza volta in carriera, Novak Djokovic. Stagione da ricordare sia per il tennis, con il doppio acuto londinese, che nella vita privata movimentata, tra matrimonio e paternità.

V come VANNI: ovvero come sfiorare l’ingresso nei primi centocinquanta giocatori del mondo, costruendosi la classifica esclusivamente con tornei futures (13 su 18, nel breakdown di fine anno) e challenger in località (e orari) improponibili. Tanto di cappello, anche perché per raggiungere un obiettivo del genere bisogna vincerle quasi tutte. 

W come WAWRINKA: portare a casa il primo Slam senza avere mai vinto un 1000 è roba per pochi. Stan, già che c’era, ha poi presto colmato anche la seconda lacuna. E, a fine anno, si è regalato anche una Davis da assoluto protagonista. Difficile immaginare un’annata migliore.

Z come ZVEREV: a 17 anni il fratello forte di Misha vince il suo primo challenger (e neanche uno qualunque, il classico Open di Brauschweig) e, nel giro di un mese, piazza la prima semifinale Atp ad Amburgo. Non gli riesce l’ingresso nei top100, dove sono sistemati stabilmente gli altri teenager Kyrgios e Coric, ma li raggiungerà presto.