Si possono muovere le solite critiche a un giocatore rimasto in campo per 4 ore, sotto il solleone australiano? Si può criticare un piccolo scatto di nervi sul finire del terzo set, peraltro dopo che giocava da un paio d'ore con un problema muscolare? Le solite no, ma qualche appunto ci sta. Anzi, è doveroso. Fabio Fognini saluta l'Australian Open (almeno in singolare) con le dovute attenuanti, eppure contro Gilles Muller avrebbe dovuto portare a casa la pagnotta, anche perché al secondo turno avrebbe avuto l'abbordabile John Millman. Invece è venuto fuori un 7-6 7-6 6-7 7-6 che lascia un grosso amaro in bocca, per dirla come i cronisti di un tempo. Fabio ha avuto setpoint sia nel primo che nel secondo set, ma li ha sciupati tutti. Ed è lì che deve arrabbiarsi, non tanto per qualche scatto d'ira (che peraltro non lo ha danneggiato). Passi per il primo set, dove Muller gli ha cancellato l'occasione con il servizio, ma nel secondo poteva (e doveva) fare di più sulla seconda palla del lussemburghese, sul 7-6 per lui nel tie-break. Invece ha affossato la risposta in rete e il distacco di è fatto incolmabile quando Muller ha chiuso il set con un passantino di dritto dopo una rincorsa in avanti. E' lì che Fabio ha perso la partita, raccogliendo la settima sconfitta al primo turno su nove partecipazioni in Australia. Il miglior risultato risale a un paio d'anni fa, quando raggiunse gli ottavi prima di perdere da un Djokovic in versione Playstation (gesto mimato da Fabio a un cambio di campo).
I (TANTI) MERITI DI MULLER
La partita è stata interessante, pur senza offrire troppi spunti di cronaca. Per tre set non si è vista l'ombra di un break. Usuale per Muller, un po' meno per Fognini, segno che l'azzurro c'era, almeno con la testa. Anche ad Auckland era piaciuto per l'atteggiamento. Però è mancato nei punti importanti, ed è lì che dovrà lavorare. E lì che merita la critiche. Non certo per il siparietto sul 4-5 nel terzo, di cui parleranno in tanti. Perso il game per un penalty point, si è arrabbiato con l'arbitro (James Keothavong), dicendo testualmente: “Mi danno il penalty point anche quando non faccio niente!”. Ha chiamato il supervisor, il tedesco Soren Friemel, ma ovviamente la decisione era presa. Però è rimasto concentrato. Ha tenuto il servizio, poi è stato bravo a cancellare due matchpoint sul 5-6 (uno con un bel passante da posizione scomoda) e vincere il tie-break grazie a un doppio fallo di Muller sul setpoint. Vivaddio, anche l'avversario ha regalato qualcosa! Già, perché bisogna riconoscere a Muller una partita eccezionale per regolarità e attenzione. D'altra parte arriva dalla semifinale a Sydney, poi l'anno scorso aveva raggiunto gli ottavi giocando un'ottima partita contro Djokovic. A quasi 33 anni e con un mucchio di problemi fisici alle spalle, ha trovato una seconda giovinezza. Era tra le opzioni peggiori in sede di sorteggio e non l'avrebbero battuto il molti. Ma Fognini avrebbe potuto farcela eccome. Vinto il terzo set, anziché caricarsi, ha giocato un inspiegabile turno di battuta in avvio di quarto (perché proprio nel momento psicologicamente migliore, Fabio?).
QUEI PUNTI DA GIOCARE MEGLIO
A quel punto pensi: “Ok, non ha più benzina”, oppure “Non ha più voglia di restare in campo a lottare”, oppure “Gli fa troppo male la gamba, non ce la fa più”. E invece che combina? Trova il controbreak e sembra avere una gran voglia di restare in partita e nel torneo. Però la gamba ha preso a limitarne gli spostamenti e Muller ha avuto buon gioco, soprattutto nel tie-break. Lo ha dominato, chiudendolo addirittura 7-1 dopo che i precedenti si erano giocati punto a punto. Ma il rimpianto non è qui. Il rimpianto sta nell'assenza di cinismo di cui ogni tanto Fabio è vittima. A quasi 29 anni sarebbe ingeneroso dimenticare i tanti successi (222 in tutta la carriera, soltanto nel circuito ATP, challenger esclusi) e le tante belle vittorie. Un giocatore senza killer istinct non avrebbe mai battuto Nadal a Rio de Janeiro piuttosto che allo Us Open, e non avrebbe infilato l'unica sconfitta di Murray in Davis negli ultimi anni. Però certi lampi arrivano a intermittenza e non sempre ci si può trincerare dietro i problemi fisici o qualche arrabbiatura di troppo. E' questione di attenzione, di continuità. Ne avesse avuta un po' di più, avrebbe abbattuto il muro-tabù dei top-10. Ora è difficile capire se ce la farà (più no che sì, ahinoi), ma l'invecchiamento del tennis gli darà una mano. Può farcela, ma deve migliorare su aspetti che lo vedono meno criticato. Perché una siparietto lo ricordiamo tutti, ma un rovescio fuori di 20 centimetri passa nel dimenticatoio. Ed è più importante.