Il 2017 è stata una grande stagione per le allenatrici: due delle quattro vincitrici Slam erano seguite da una donna, e sarebbero state tre se la Keys avesse vinto a New York. In cosa una donna coach può essere migliore di un uomo? E poi, c'è un numero sufficiente di allenatrici nel tour?

C'è un detto, vecchio come l'umanità, secondo cui dietro ogni uomo di successo c'è una donna. Di sicuro, il 2017 del tennis femminile ha dimostrato che ci sono donne intelligenti alle spalle di parecchie tenniste di successo. Due delle quattro vincitrici Slam hanno ottenuto i loro successi con una donna al loro fianco. Jelena Ostapenko ha trionfato al Roland Garros con i consigli di Anabel Medina Garrigues (senza dimenticare la costante presenza della madre), mentre nelle due settimane di Wimbledon c'era Conchita Martinez nel box di Garbine Muguruza, ultima soddisfazione prima di essere “destituita” dalla RFET (anche se va detto che il vero coach della spagnola è Sam Sumyk). Se poi Madison Keys (allenata da Lindsay Davenport) avesse vinto la finale dello Us Open, le allenatrici donne avrebbero raccolto un clamoroso 3 su 4 impensabile fino a qualche anno fa. Il ruolo dell'allenatrice di tennis ha avuto un notevole impulso negli ultimi anni: un passaggio chiave è stata la discussa scelta di Andy Murray, che per qualche tempo si è fatto seguire da Amelie Mauresmo. Ne è convinta Judy Murray, madre di Andy e allenatrice di alto profilo. “Adesso c'è la consapevolezza che le donne siano capaci di allenare sia uomini che donne ai massimi livelli. Per arrivare a certi livelli ci vogliono abilità, personalità ed esperienza. Queste cose non hanno a che vedere con il sesso”. Ci sono partnership che non funzionano troppo bene (vedi Martina Navratilova con Agnieszka Radwanska), ma in linea di massima la coach donna funziona. Anche per questo, forse, Karolina Pliskova ha scelto di farsi dare una mano da Rennae Stubbs durante le WTA Finals. Se tutto va bene, dal 2018 lavorerà con Tomas Krupa, “scippato” alla Strycova, però intanto a Singapore c'era la Stubbs, 46 anni, ex doppista di altissimo livello. Secondo l'australiana, il maggior numero di allenatrici donne è giustificato dall'efficacia del loro lavoro.

AVERE FIGLI È UN PROBLEMA?
“Noi donne parliamo in modo diverso. Forse gli uomini semplificano un po' troppo e a volte è positivo, ma a volte le donne capiscono certi dettagli emotivi e per questo è più facile comunicare con loro". Judy Murray è d'accordo: pur ammettendo che la scelta di un coach deriva dalle esigenze di un tennista in quel determinato momento, ritiene che ci siano alcuni aspetti in cui le donne sono migliori. “Ascoltano meglio, parlano meglio, condividono di più, non hanno un particolare ego, mettono insieme le cose con maggiore lucidità e sono in grado di gestire più aspetti in contemporanea: se ci fossero più donne in giro ci sarebbe un equilibrio migliore”. Il caso di Lindsay Davenport è emblematico: oggi sta facendo emergere il talento di Madison Keys, ma le dà una grossa mano l'esperienza avuta da ragazzina: dai 15 ai 18 anni di età si è fatta seguire da Lynn Rolley. “Una delle migliori esperienze che abbia mai avuto – dice la Davenport – mi ha insegnato molto su cosa significa essere donna e atleta allo stesso tempo. Inoltre, le sue competenze tennistiche erano di assoluto livello”. Si dice che uno dei maggiori impedimenti per intraprendere la carriera di allenatrice sia quella di avere una famiglia. In effetti, per un uomo è più facile abbandonare il focolare domestico. La Davenport ha quattro figli e non ritiene che sia più così. “Con la modernità, le donne si sono rese conto che possono lavorare e avere una famiglia, è una scelta sempre più diffusa”. Tuttavia, secondo Judy Murray, la rappresentanza femminile è ancora troppo bassa. “Qualcosa si sta muovendo, ma c'è ancora molto da fare. Credo che le donne dovrebbero avere più opportunità per sviluppare le loro capacità. Voglio dire, devono avere l'opportunità di viaggiare e passare più tempo possibile insieme ad allenatori già affermati. Solo così si può imparare”. Nel suo piccolo, lo ha fatto negli anni in cui ha guidato il team britannico di Fed Cup: si portava dietro una serie di allenatrici per offrire esperienze e conoscenze. Un processo interessante, ma (per ora) con poco seguito. Quanto tempo ci vorrà per sdoganare definitivamente il ruolo?