D’accordo: un match è troppo poco per dare un giudizio definitivo. Ma l’eliminazione di Andy Murray nei quarti di finale dello Us Open 2016 ha schiarito le idee a chi pensava che l’attuale numero 2 ATP potesse seriamente impensierire la leaderships di Novak Djokovic. Non tanto per la sconfitta in sé, 1-6 6-4 4-6 6-1 7-5 contro uno splendido Kei Nishikori, quanto per come è maturata, soprattutto a causa di un episodio che gli ha fatto perdere completamente testa e concentrazione. La prima ragione del k.o. va cercata lì, in quel terzo game del quarto set, nel momento in cui lo scozzese ha tentato l’affondo per staccare il rivale e andare a prendersi la quarta semifinale Slam dell’anno. È salito 15-40 in risposta, e sulla seconda palla-break la giudice di sedia Marija Cicak ha chiamato il “let” e deciso di far rigiocare il punto a causa di un rumore generato da uno degli impianti audio dell’Arthur Ashe. “Un malfunzionamento”, hanno fatto sapere gli organizzatori con un comunicato, che è bastato a mandare in tilt Murray, che peraltro stava per colpire un rovescio lungolinea sul quale Nishikori sarebbe arrivato, non aveva affatto il punto in mano. Risultato: con tre errori ha perso il game, al cambio di campo ha continuato a lamentarsi con la Cikac, e un episodio assolutamente banale ha finito per condizionare irrimediabilmente il suo match. Ha continuato a parlottare con sé stesso e il suo angolo per tutto il quarto set, così il game del potenziale colpo del k.o. è diventato il primo di una serie di sette consecutivi lasciati all’avversario. Poi Nishikori la partita l’ha vinta in un altro modo, spuntandola nella battaglia di nervi nel finale, ma resta ingiustificabile che un giocatore del calibro (e dell’esperienza) di Murray si perda completamente, in un quarto di finale Slam, per un punto che peraltro ha potuto rigiocare da zero. Se gli altri tre Fab Four hanno sempre avuto una marcia in più uno dei motivi è da trovare proprio qui.
NEL FINALE NISHIKORI NE HA DI PIÙ
Così, quello che sembrava il favorito numero uno per il titolo saluta la Grande Mela prima delle semifinali, dopo una battaglia da 3 ore e 57 minuti a suon di break (ben 17, numero che a questi livelli si vede molto raramente), confermando che lo Us Open, per lui, è diventato lo Slam più difficile. Nel 2008 gli aveva regalato la prima finale in un Major, quattro anni dopo la prima vittoria, ma da allora non ha più messo il naso fra gli ultimi quattro, fermandosi tre volte ai quarti di finale e una addirittura agli ottavi. Al di là dell’episodio del quarto set va dato credito a Nishikori, protagonista di un match perfetto dopo che – come ha ammesso lui stesso – la pausa per la chiusura del tetto sul 6-1 3-2 e servizio per Murray gli aveva dato una mano a riorganizzare le idee e cancellare una partenza difficile. Al rientro in campo sembrava un altro giocatore, è entrato nel match e con un parziale di 4 game a 1 ha vinto il secondo set. Nel terzo è stato più efficace il rivale, nel quarto ha approfittato alla grande dei regali di Andy (veramente in giornata no con il diritto: 10 vincenti e 24 gratuiti), e nel quinto è andato a prendersi il successo, aiutato da un Murray troppo attendista. Nishikori si è fatto riprendere da 2-0 a 2-2, da 4-2 a 4-4 (perdendo il servizio da 40-0 con una volèe comodissima messa in rete sul 40-30), e poi è andato per la prima volta sotto. Ma ha saputo reagire da grande. Un Murray che col rovescio tira 6 vincenti in cinque set, non prende mai l’iniziativa e sembra quasi impaurito dall’idea di presentarsi a rete, va battuto. E lui ha tirato fuori il coraggio necessario per farcela. Il “brit” gli ha regalato una palla-break sul 5-5 con un gravissimo doppio fallo, lui l’ha chiamato a rete con la smorzata e poi ha chiuso con una volèe “parata” sul passante bomba, garantendosi la possibilità di servire per il match. E nell’ultimo gioco non ha fatto scherzi, a parte un doppio fallo in apertura, cancellato da 4 punti consecutivi.
UN SOLO FAB FOUR IN SEMIFINALE
A fine match Murray era su tutte le furie, ha detto un sarcastico “grazie mille” alla Cicak durante la stretta di mano, ha firmato una manciata di autografi e poi si è buttato nel tunnel che porta agli spogliatoi, dove c’è da scommettere che coach Ivan Lendl abbia avuto qualcosina da dirgli. Il numero due del mondo aveva già mostrato qualche crepa contro Paolo Lorenzi, ma la netta vittoria contro Grigor Dimitrov sembrava aver cancellato i problemi. Invece li ha solo rimandati. Un’eliminazione così brucia eccome: al quinto set aveva vinto 11 degli ultimi 12 incontri (l’ultima sconfitta era stata la semifinale del Roland Garros 2015 contro Djokovic), e dalla situazione di 2 set a 1 non perdeva addirittura dall’Australian Open di quattro anni fa, sempre contro il numero uno del mondo. Un “Nole” che ride, perché dopo aver giocato appena nove set per arrivare nei quarti, ha perso anche il suo rivale più accreditato, che addirittura sembrava partire favorito in virtù dei successi a Wimbledon e alle Olimpiadi. Invece lo Us Open l’ha bocciato di nuovo, e diventa il primo Slam dal Roland Garros 2010 con un solo “Fab Four” in semifinale. In compenso ci sarà un ottimo Nishikori, così avanti in un Major per la seconda volta in carriera dopo la finale raggiunta due anni fa proprio a Flushing Meadows. Sembrava favorito, invece perse contro Marin Cilic. Quest’anno, invece, nessuno avrebbe scommesso un euro su di lui, ma adesso va necessariamente tenuto in considerazione. Il potenziale sembra molto importante. Quanto? Ce lo dirà la prova del 9 di venerdì, contro il vincitore di Del Potro-Wawrinka.
US OPEN 2016 – Quarti di Finale uomini
Kei Nishikori (JPN) b. Andy Murray (GBR) 1-6 6-4 4-6 6-1 7-5
I deliri di Murray fanno volare Nishikori
Grande sorpresa allo Us Open: quello che sembrava il favorito per il titolo cade nei quarti di finale, battuto da uno splendido Nishikori ma anche dalla solita guerra con sé stesso. Si infuria per un rumore che gli fa rigiocare una delicata palla-break nel quarto set, smette di giocare e poi si ritrova sempre a rincorrere nel quinto. Il finale premia i nervi del giapponese, che agguanta la seconda semifinale a New York.