Pilota di guerra, broker finanziario, barista e ora ambasciatore dell’Adidas, ha attraversato un secolo vincendo Wimbledon, Davis e Campionati Usa e scontrandosi con i grandi australiani di almeno quattro generazioni. A New York ha giocato 28 volte, 24 di seguito, trionfando nel 1954

«Per fare il pilota devi sempre stare all’erta e sapere tutto quello che può succedere. Nel tennis, è la stessa cosa». Parole – sagge – di Vic Seixas, il più anziano campione di Slam ancora vivente che proprio oggi compie 100 anni. Un «giocatore di baseball frustrato», come si definisce scherzosamente lui, che nel suo ‘secondo’ sport non se l’è cavata poi male: numero 1 del mondo nel 1954, vincitore di due Slam in singolare (a Wimbledon nel 1953, dopo essere stato finalista a Parigi e ai Campionati degli Stati Uniti l’anno dopo), più cinque in doppio e otto in doppio misto, ha conquistato complessivamente 49 titoli del circuito mondiale.

Per quasi trent’anni, dal 1940 al 1968, Elias Victor Seixas junior, nato a Filadelfia, di origini irlandesi per parte di mare e portoghesi-sefardite da parte di padre, i realtà è stato il volto – seducente, sorridente, hollywoodiano e grintosissimo – del tennis americano.

A New York ha giocato 28 edizioni – dicasi 28 – di quelli che dopo il 1968 si chiamano Us Open, 24 consecutive fra il 1946 e il 1969, trionfando come si è detto nel 1954 in finale su Rex Hartwig. Era il periodo in cui il tennis era soprattutto una faccenda fra Usa e Australia, uno scontro di superpotenze fotunatamente pacifico dopo quello tragico della seconda guerra mondiale, durante la quale Seixas ha servito nell’esercito come pilota dell’aviazione militare degli Stati Uniti.

Tenente, la sua base era la Nuova Guinea, dove a partire dal 1943 si dedicò a testare e riparere i velivoli destinati al fronte. «Non ho avuto esperienze veramente pericolose come pilota – racconta – Dovevamo solo capire se gli apparecchi erano ok prima che ritornassero in zona di combattimento». Ha fatto poi parte della forza di occupazione americana in Giappone, e la guerra ha comunque interrotto per tre anni la sua carriera tennistica. «Ho avuto la fortuna di passare quel periodo fra il Sud Pacifico e Tokyo. Non mi è dispiaciuto fare il soldato, ma dopo la guerra non vedevo l’ora di tornare al college e al tennis». Nel 1946 smise l’uniforme dell’esercito per indossare i colori della North Carolina University, per cui vinse 66 dei 69 match giocati nel campionato Ncaa prima di iniziare la sua attività internazionale, Tra i suoi avversari trovò gente del calibro di Rosewall, Laver, Sedgman, Hoad, Savitt e Rose. Proprio contro i canguri, a Sydney nel 1954, il suo anno magico, ha vinto la sua unica Coppa Davis insieme con Tony Trabert, suo storico avversario e compagno di doppio. Dal 1951 al 1957, giocando 55 match e vincendone 38 fra singolare e doppio, e arrivando sempre almeno al Challnege Round, è diventato il recordman di Coppa degli Usa (in tre occasioni è stato anche capitano), prima che arrivasse McEnroe a strapparli il primato.

«Seixas faceva affidamento sulla forma fisica, in particolare sulle sue gambe forti, per sostenere il suo tennis – scrive il sito web della Hall of Fame di Newport, di cui fa parte dal 1971 – C’erano giocatori più solidi di Seixas, ma pochi avevano il suo spirito, la sua passione e la sua tenacia. La sua determinazione e la sua grinta facevano la differenza e chi giocava con lui ne usciva esausto, sia mentalmente che fisicamente». La sua è stata una carriera interrotta dalla guerra, ma lunga: ha giocato a livello agonistico fino a oltre 40 anni – nel 1966, a 42, riuscì a sconfiggere in un match di quattro ore il 22 Bill Bowrey nella finale dei Campionati su Eba di Philadelphia… – e la sua ultima partita ufficiale è stato un doppio del 1976 a Las Vegas, a fianco di Chuck McKinley e di fronte alla coppia formata da Erik Van Dillen e Jimmy Connors. Una vicenda, la sua, che ha scavalcato tre o quattro generazioni.

«Non ho guadagnato molto nella mia carriera, perché quando è arrivato il professionismo ero ormai anziano. Da dilettante potevi girare il mondo come un re, ma non ti mettevi in tasca nulla», ha spiegato Seixas, che considera il suo priù grande successo la vittoria a Wimbledon nel 1953, in tre set sul danese Kurt Nielsen, e che con il buono da 25 sterline che allora rappresentava il prize money dei Championships si comprò una fepa: «è il torneo che tutti vogliono vincere». Dopo il tennis per 16 anni ha lavorato come broker alla Goldman Sachs, poi si è trasferito a San Francisco e per un periodo ha fatto addirittura il barista al turno di mattina al Greenbrier club, servendo caffè e Martini a gente che non sospettava il passato dell’uomo che gli sorrideva dall’altra parte del bancone. Pam Shriver, una delle sue allieve negli anni ’70, è riuscita poi a fargli avere una sorta di pensione integrativa, e cinque anni fa si è visto offrire un ruolo di ‘ambasciatore’ del marchio Adidas dal suo ex collega Stan Smith. «Sono un ambasciatore – scherza – ma non so bene che cosa fa un ambasciatore. Il lato buono è che a meno che l’Adidas non falisca, non perderò il mio lavoro. Io il più vecchio vincitore di uno Slam ancora in vita? – ha risposto qualche anno fa a chi gli chiedeva conto del suo record – Be’, preferirei di gran lunga essere il più giovane…».