Uno straordinario 2018 ha regalato a Hugo Dellien un posto tra i top-100 ATP. È soltanto il secondo (forse terzo…) boliviano a riuscirci. Ha già vinto tre Challenger e sogna di giocare lo Us Open. Ex promessa junior, nel 2016 aveva smesso di giocare per mancanza di risorse. Ma poi ha capito che “si nasce per questo”.

Se arrivi da un paese senza tradizione né particolari possibilità, raggiungere l'agognato traguardo dei top-100 è ancora più prezioso. Per questo, l'impresa di Hugo Dellien è storica per la Bolivia. Avrà pure più abitanti della Svizzera di Federer e Wawrinka, ma le condizioni ambientali ed economiche non sono ideali per la formazione di un tennista. Paese affascinante, senza sbocco sul mare e incastonato in mezzo alle montagne, la Bolivia non ha praticamente passato sportivo. Di tanto in tanto, la nazionale di calcio azzecca un'impresa, soprattutto quando gioca in casa, agli oltre 3.500 metri di altitudine a La Paz. Ma il 25enne Dellien, che pure da ragazzino era stato molto forte (n.2 del ranking ITF), non era mai entrato nemmeno tra i top-200 ATP. Quest'anno è cambiato tutto, con ben tre titoli Challenger: Sarasota (con tanto di complimenti del Presidente della Repubblica), poi Savannah e Vicenza. Nessuno ha vinto quanto lui, senza contare che ha intascato più di 40 partite. La recente semifinale al Challenger di Tampere gli ha consentito di scalare gli ultimi 6 gradini per raggiungere il traguardo. Prima di lui, soltanto Mario Martinez aveva portato la Bolivia così in alto (è stato n.35 nel 1984). Secondo l'ATP, era stato l'unico: in realtà, negli anni 70 c'era stato Ramiro Benavides. I dati ufficiali dicono che è stato al massimo n.124, nel 1976. Lui giura di essere stato top-50. D'altra parte, il funzionamento del computer in quegli anni ha lasciato tanti punti in sospeso. Basti pensare all'eterno dibattito sul best ranking di Guillermo Vilas. È stato “soltanto” n.2 come dice l'ATP, oppure è arrivato in cima come sostengono molti altri?

UNA SVOLTA MENTALE
La questione interessa il giusto a Hugo Dellien, oggi impegnato al Challenger di Sopot. “Sono emozionato per aver raggiunto questo traguardo – ha detto – non me lo aspettavo, perché lo scorso novembre mi sono sottoposto a un'operazione al polso sinistro che mi ha impedito di giocare l'Australian Open. Sarebbe stato il mio primo Slam, almeno nelle qualificazioni. Invece, dopo appena sette mesi, mi trovo tra i top-100. Credo che sia il sogno di tutti. Un traguardo inatteso ma meritato, soprattutto pensando a tutti i sacrifici fatti nel corso degli anni”. Quando gli hanno chiesto cosa è cambiato per fare un salto di qualità così improvviso, non ha avuto dubbi: “Sono migliorato sul piano mentale. In passato ero già stato n.220-230 ATP, sapevo cosa fare sul campo da tennis – dice Dellien – il mio problema era soprattutto di natura mentale. Ho cambiato coach, lui ha messo ordine in quello che faccio in campo. Inoltre abbiamo sistemato un paio di cose con il rovescio, rendendolo più solido, e questo mi ha permesso di avere ancora più fiducia con il dritto, il mio colpo preferito”. Dal 1984 a oggi, nove dei dodici paesi sudamericani avevano avuto almeno un top-100. Grazie a Dellien, la Bolivia è entrata nel club, lasciando fuori soltanto Guyana e Suriname. Ha iniziato a giocare a 4 anni, spinto da genitori: volevano che Hugo trovasse qualcosa da fare al pomeriggio. Il talento emerse subito, al punto che ha 15 anni ha smesso di studiare per spostarsi a Santa Cruz con il suo allenatore. “Negli ultimi anni il tennis ha avuto un incremento di popolarità nel mio paese – ha detto – però c'era bisogno di un top-100 per dare fiducia a tutti, non succedeva da 34 anni. Credo che da adesso in poi crescerà ancora”.

LA SCELTA DI FERMARSI. MA POI…
Oltre a ringraziare la sua famiglia, il ragazzo nato a Trinidad, cittadina di 150.000 abitanti, ha fissato il suo prossimo obiettivo: giocare nel tabellone principale dello Us Open. Il ranking attuale glielo consentirebbe, ma l'entry list si è chiusa sette giorni fa.”E allora ho bisogno di tre forfait per entrare direttamente in tabellone, altrimenti dovrò giocare le qualificazioni”. Lo ha già fatto a Parigi e Wimbledon, entrambe “prime volte” di una carriera che ha vissuto una svolta inaspettata. Non sono state prime volte in assoluto, perché da junior aveva ottenuto risultati di rilievo. Quando era allenato da Eduardo Medica (poi artefice della grande carriera junior di Gianluigi Quinzi) era stato addirittura numero 2 ITF, anche se aveva ottenuto risultati soprattutto in Sudamerica. Qualcuno lo ricorderà semifinalista al Trofeo Bonfiglio, nel 2011, quando si arrese a Sebastian Ofner. Un paio di settimane dopo, avrebbe scaldato Rafael Nadal prima della semifinale del Roland Garros contro Andy Murray. “Da junior vincevo sempre, mentre tra i professionisti non passavo le qualificazioni. Ho impiegato un anno ad adattarmi al nuovo mondo”. Nel 2016 è arrivata un altra crisi: perse gli sponsor e smise di giocare per mancanza di risorse. Tanti sforzi sembravano inutili. “Senza soldi, non potevo sperare di diventare top-100. Allora ho pensato: 'Perché essere 200-300 se poi non cambia nulla?'. E così ha lasciato perdere, fermandosi per ben cinque mesi. “Ma stare lontano dal tennis mi ha fatto capire che si nasce per questo. Bisogna sempre dare il 100% e se molli in anticipo potresti pentirtene per tutta la vita". E allora ha deciso di ripartire. Una strada che gli ha permesso di realizzare il suo sogno.