Senza grosso clamore, Juan Carlos Ferrero annuncia il ritiro. Giocherà l’ultimo torneo a Valencia. Ha vinto Parigi e la Davis, è stato n. 1 e si è distinto nelle attività extratennistiche.
Juan Carlos Ferrero bacia la Coppa dei Moschettieri vinta nel 2003
Di Riccardo Bisti – 13 settembre 2012
Juan Carlos Ferrero ringrazierà per sempre Martin Verkerk. Senza di lui, probabilmente, non avrebbe mai vinto uno Slam. L’olandese ha avuto il suo lampo di gloria al Roland Garros 2003. Era il periodo di transizione tra l’Era Sampras e quella Federer. Lo svizzero perdeva al primo turno contro Luis Horna e gli Slam erano terra di conquista per tanti giocatori. L’anno prima li avevano vinti Johansson, Costa, Hewitt e Sampras (all'ultimo torneo in carriera, il che è tutto dire). Juan Carlos Ferrero, “Mosquito” per la sua velocità sul campo, era il terraiolo più continuo. Forse non è mai stato il più forte. Kuerten gli era superiore. Nel 2003, avrebbe trovato in finale Coria, e non è detto che sarebbe stato favorito. E invece l'argentino si fece sorprendere da Verkerk. Il “Mago” era talmente incazzato che lanciò una racchetta e rischiò di colpire un raccattapalle. Roba da squalifica immediata. Lo graziarono, ma aveva perso la concentrazione. E perse la partita. In finale, Ferrero fece a polpette Verkerk e i giornali dell’epoca titolarono “Finalmente Ferrero”. Già, perché il biondino di Onteniente aveva già vinto Roma e Monte Carlo (2 volte), ma a Parigi non ce la faceva. Nel 2000 e nel 2001 era incappato in un super-Guga, nel 2002 giocò il torneo con le stampelle a causa di una storta alla caviglia. In finale, travolto dall’emozione, si fece sbrindellare da Albert Costa. Poi, grazie a Verkerk, ha potuto scattare la foto che troneggia nel suo salone. Sorridente, sguardo vispo, Coppa dei Moschettieri tra le braccia. Gli è andata bene, perché da allora non è mai andato oltre il terzo turno. E in un giorno di settembre, senza troppo clamore, ha deciso di salutare tutti. “L’ATP di Valencia sarà il mio ultimo torneo. In tanti mi hanno chiesto di andare avanti perché anche quest’anno ho giocato buone partite, ma il mio fisico è segnato dagli infortuni e non ho più la motivazione di un tempo”. Valencia sarà il luogo ideale per dire addio: Juan Carlos è co-proprietario del torneo e saluterà a due passi da casa, davanti ai suoi amici.
“Del tennis mi mancherà la competizione. Sarà un vuoto difficile da colmare. Tuttavia ho tante cose da fare. La mia Accademia, il torneo di Valencia, la Fondazione benefica e anche il mio hotel”. Essì, perchè oltre all’Accademia “Equelite” di Villena (dove cercherà di trasmettere la sua esperienza insieme allo storico coach Antonio Martinez Cascales), JCF ha acquistato un albergo. Lo hanno chiamato “Hotel Ferrero” e si trova a Bocairente, a circa 50 minuti da Valencia. Ci sono anche 12 suite di extra-lusso. Ferrero non aveva un tennis spettacolare. Era una specie di “Mr. Intensità”, rapidissimo di gambe e letale con il dritto, ma solo a inizio carriera. Quando si è affacciato nel circuito, tirava valanghe di winners. Bastava accorciare di due metri e ti infilzava. L’onda positiva è andata avanti fino al gennaio 2004, dopo una finale allo Us Open (persa da Roddick dopo aver battuto Agassi) e una semifinale in Australia. Da allora, non è più stato lo stesso. Ha vinto 15 tornei, tutti sulla terra battuta tranne Dubai, e ha giocato altre 18 finali. Numeri da top-players, ma c’è un dato che spiega una carriera spezzata in due: non ha vinto tornei tra il 2003 e il 2009, digiuno troppo lungo per uno come lui. Infortuni, attività extratennistiche e un software tecnico che non ha saputo aggiornarsi lo hanno fregato. Si consola con oltre 13 milioni di dollari di soli montepremi e due trionfi in Coppa Davis, in cui è stato protagonista nel 2000 e comprimario nel 2004. A Barcellona, vinse il punto decisivo contro l’Australia e mandò in delirio il Palau St. Jordi. Era la prima Davis della Spagna. “E’ stato un successo indimenticabile per tutti gli spagnoli. Ero molto giovane, ma con il tempo mi sono reso conto di quanto fosse stato importante per me e per tutto il paese”. La sua scelta non è un fulmine a ciel sereno. Otto anni fa esatti era uscito dai top 10 per non rientrarci mai più, adesso è uscito (ancora una volta) dai top 100. Un paio d’anni fa, finalmente senza pressioni e infortuni, si era arrampicato in quattordicesima posizione, ma era il suo limite.
Verrà ricordato anche per le doti extra-tennistiche, un senso degli affati notevole per un ragazzo della sua età. E poi, a differenza dell’amico Carlos Moya, non è mai stato protagonista di scandali o pettegolezzi. Figlio della provincia, maturato in fretta a causa della scomparsa della madre quando aveva 16 anni, ha saputo pianificare il suo futuro quando era ancora in cima, a partire dall’Accademia Equelite che ospita ragazzi dai 14 ai 21 anni di età. Attualmente, la più forte che orbita a Villena è Maria Teresa “Tita” Torro Flor, campionessa spagnola e numero 112 WTA. Di certo non lo vedremo ridursi come Roscoe Tanner, che dopo aver sperperato i propri guadagni è finito addirittura in carcere per aver sparso assegni scoperti in giro per il mondo. O come Bjorn Borg, che solo oggi sembra aver messo la testa a posto dopo aver corso rischi mica da ridere e aver messo all’asta uno dei trofei di Wimbledon. Lo vedremo sempre più spesso in abiti eleganti, mettendo in mostra quella classe, quell’austerità che non c’era nel suo tennis di sudore. Il mondo del tennis lo saluta con affetto ma senza disperarsi, anche perché ormai era un tennista part-time da diversi mesi. Dopo Roddick e Clijsters, se ne va un altro protagonista degli anni 2000. Il tempo passa anche per loro.
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