Dopo un lungo periodo difficile, l’ex baby fenomeno statunitense sembra rigenerato. Ad Acapulco ha finalmente battuto un top ten, centrando la semifinale. Fra i segreti una chiacchierata con Andy Roddick. “Sono pronto a ripartire, prima o poi arriverò”.Per una volta, gli Stati Uniti non possono fare a meno di dire grazie al tanto odiato Messico. Acapulco dista oltre 1400 chilometri dal confine più vicino, ben lontano da conflitti e ‘Muro della vergogna’, ma potrebbe aver restituito agli States un giocatore vero. Quel Ryan Harrison che fino a qualche anno fa in patria definivano un “can't-miss prospect”, poi pareva diventato l’ennesima scommessa persa del movimento a stelle e strisce. Addirittura, sembrava che a rubargli la scena potesse essere il fratello Christian, di due anni più giovane. Stava salendo come un fulmine, poi si è fatto male un po’ dappertutto (anche, polso, spalla) ed è fermo dal luglio del 2013. In attesa del suo rientro, previsto nel giro di un mese e mezzo, Ryan è tornato a far parlare di sé in positivo. A giudicare dal suo rendimento nella splendida città sulle coste del Pacifico, ha ancora la possibilità di riscrivere la sua carriera. Come in ogni storia che si rispetti, c’è anche un pizzico di buona sorte. Lo statunitense era rimasto fuori di un posto dall’entry list delle qualificazioni dell’Abierto Mexicano Telcel, ma è comunque andato ad Acapulco a firmare, sperando in qualche forfait. Per sua fortuna, Rajeev Ram e Gerald Melzer non si sono presentati in Messico, così è entrato nel tabellone cadetto, e ha potuto dare il via alla sua cavalcata. Superate le ‘quali’ senza difficoltà, ha rimontato un set al primo turno a Donald Young, e poi ha finalmente interrotto la sua lunga striscia di sconfitte contro i top ten. Dopo 22 KO di fila, ha battuto Grigor Dimitrov, tornando finalmente a centrare un risultato di rilievo. Non pago, ha steso pure Ivo Karlovic. Il croato non gli ha concesso nemmeno un break, lui l’ha battuto 4-6 7-6 7-6 e si è preso una semifinale che sa di rinascita.
GRAZIE A DOYLE, MA ANCHE A RODDICK
Finalmente il 22enne della Louisiana è tornato a mostrare quel potenziale che anni fa stregò i tecnici della USTA e gli scout di Nike, portandoli a investire su di lui. Non fa nulla di eccezionale, ma fa tutto molto bene, dal servizio alla risposta, dagli spostamenti alla consistenza da fondocampo. Non è un caso che la prima semifinale in un ATP 500 (la sesta in carriera) arrivi in questo inizio di 2015, a una dozzina di settimane dal ritorno sulla sua panchina di coach Grant Doyle. Harrison lo scelse nel 2011, su consiglio di Andy Roddick, e sotto la guida dell'australiano arrivò alla 43esima posizione del ranking. A fine 2012 la separazione e la conseguente crisi di risultati, da novembre il nuovo inizio ad Austin, storica base di Roddick, che gli sta dando una mano. “Andy e Grant sono venuti da me e mi hanno motivato. Mi hanno fatto capire che non ho perso le mie capacità. Sentirmi dire certe cose da due persone in cui credo molto mi ha spronato per tornare a fare le cose come si deve”. Ha capito che il meglio deve ancora venire, ma nessuno gli regalerà più nulla. “Negli ultimi tre mesi e mezzo, solo una volta non mi sono allenato bene, dopo la sconfitta nelle qualificazioni degli Australian Open. Tutte le altre sessioni sono state produttive. L’obiettivo è migliorare giorno dopo giorno”. Lo conferma Roddick. “Nel corso dell’inverno ha fatto un grande lavoro, sempre puntuale e professionale ogni singolo giorno. Non l’avevo mai visto così”. Iniziato il 2015 da numero 193 del mondo, ha vinto un Challenger in Australia, e con i 200 punti di Acapulco (che diventeranno 320 in caso di vittoria in semifinale contro David Ferrer) tornerà nei primi 120.
"HO IMPARATO AD ACCETTARE LE SCONFITTE"
La strada è ancora lunghissima, ma Ryan ha un segreto: ha ripreso a divertirsi, ed è circondato da un ambiente positivo, a partire dalla fidanzata Lauren McHale (sorella della tennista Christina) e dalla famiglia. Compreso il padre Pat, con cui lo scorso marzo discusse durante il suo match di secondo turno a Miami, chiedendogli senza mezze misure di andarsene dalla tribuna. Acqua passata. La vita del tennista è molto stressante, bisogna saperla affrontare in un certo modo, altrimenti diventa un calvario. Prima Harrison dava troppo peso alle opinioni della gente. Invece che godersi i commenti che lo celebravano, leggeva tutti quelli contro di lui. È finito in una spirale negativa che pareva averlo risucchiato definitivamente, invece pare finalmente pronto per provare a diventare grande. Ha capito di dover affrontare i match con più tranquillità, anche quando non tutto va per il verso giusto. “Ora so che anche dalle sconfitte c’è qualcosa da imparare. Se gioco male mi concentro per capire il perché, così da sistemare quello che non va”. Sembra una vita che negli States lo danno per spacciato, eppure non ha ancora compiuto 23 anni. Qualcuno sostiene che la sua mancata esplosione sia data dai troppi tabelloni difficili nei tornei del Grande Slam (ha preso Dimitrov, Nadal, Isner, Djokovic, Ferrer, Del Potro, Murray e Soderling, ma il discorso non fila), altri che abbia perso umiltà quando ha iniziato a vincere. Ora, però, delle idee della gente gliene importa ben poco. Ryan vuole tirare dritto per la propria strada, con le solite importanti ambizioni. “Sono felice di potermi nuovamente concentrare al 100% sulla mia carriera. Sono felice di essere qui, e sono questi i momenti in cui ci si realizza, capendo che tutti i sacrifici compiuti sono serviti a qualcosa. Voglio continuare così. Sono sicuro che prima o poi riuscirò ad arrivare in alto”.
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