Veniva da tifare per Pablo Cuevas, nel catino infernale che è diventato lo stadio intitolato a Suzanne Lenglen. Veniva da tifare per il suo rovescio e per quella capacità di restare tranquillo di fronte a 7.000 indemoniati. Ma alla fine, negli ottavi del Roland Garros, c'è andato Gael Monfils. Perchè lo spettatore (quello che non canta la Marsigliese, almeno) tende a preferire i deboli. In realtà Cuevas non era più debole di gioco, ma soltanto di testa. Si fosse giocato a Montevideo, chissà. Invece a Parigi, contro Monfils, devi avere due attributi grossi così per emergere dalla bagarre. Lui aveva a disposizione soltanto il gioco, fondato su quel rovescio di scuola argentina che è un piacere da guardare. E' arrivato a un passo dal zittirli tutti, invece è crollato sul più bello. E ha mostrato di non avere carattere. Puoi dirne tante, a Fabio Fognini. Ma l'azzurro li aveva messi in riga, si era immedesimato nella bagarre e si era preso una doppia libidine, spedendoli a casa per oscurità e battendoli il giorno dopo. Ma Cuevas non è Fognini, ha camminato a testa bassa per tre ore e mezza e alla fine sarà il francese l'avversario di Roger Federer negli ottavi. E' finita 4-6 7-6 3-6 6-4 6-3 ma pesa come un macigno il clamoroso black out dell'uruguaiano quando Monfils era fuori dal match. Due set a uno per lui, 4-1 e servizio nel quarto. C'è solo da seppellire l'avversario. Invece si è fatto travolgere dall'onda francese, guidata dallo scatenato Jean Gachassin in tribuna presidenziale (dove i vip indossavano mantelli rossi per proteggersi dal freddo….sembravano un Ku Klux Klan tennistico) e da un gruppetto di energumeni in player's box. Accanto a loro, il clan Cuevas, guidato da Alberto “Luli” Mancini e l'amico di sempre Facundo Savio. Bisognerà chiedere agli organizzatori parigini perchè, su quel campo, mettono i due clan uno accanto all'altro. Fossimo stati in Mancini, ci saremmo arrabbiati parecchio nell'avere accanto un manipolo di ultras. Ma lui, col suo pizzetto imbiancato e il cappellino perennemente in testa a coprire la pelata, è uno degli ultimi signori del Tennis Argentino. Non ha fatto una piega e ha incassato.
LA NON BELLIGERANZA NON PAGA
Lui poteva permetterselo, ma Pablo no. Nella canzone di Francesco De Gregori, che abbiamo preso in prestito per il titolo, Pablo era un umile agricoltore spagnolo che andava a morire in Svizzera. Questa sconfitta rappresenta un bivio per Cuevas: ripartire a testa bassa, magari laddove l'anno scorso vinceva a mani basse (Bastad, Umago), oppure morire sportivamente. Il clima che si è creato sul Lenglen non ci è piaciuto, perchè mirava a devastare psicologicamente l'avversario piuttosto che a sostenere Monfils. Cuevas ha scelto la non belligeranza, ha provato a fare come ti dicevano i maestri delle vecchie scuole SAT: “La palla, soltanto la palla”. Ma a Parigi, contro migliaia di indemoniati, non basta. Devi avere il coraggio e la personalità per prenderli a muso duro. L'aveva fatto Fognini nell'indimenticabile 2010. Alternativa? Essere (tanto) più forte sul piano tecnico. Cuevas ha optato per la seconda via e per poco non gli andava bene. Sul 4-1 al quarto, approfittando dei paurosi alti e bassi del francese, si è arenato. Sbagliava una palla dietro l'altra, soprattutto in lunghezza, e i francesi sono impazziti tra inni nazionali, “popopopo” presi in prestito da noi e i classici “Allez Gael”. Lui si è caricato come una molla e gli è riuscito tutto, comprese alcune folli palle corte o azzardati serve and volley. La colpa di Cuevas? Non ha fatto nulla per cambiare la situazione. Quando sei travolto dall'onda, o ti ribelli o aspetti che finisca. Ma magari finisce dopo la stretta di mano. In verità, dopo aver perso cinque giochi di fila a chiudere il quarto, si è preso un break a zero in avvio di quinto. Un Fognini ne avrebbe approfittato.
FEDERER CONTRO I CACIARONI
Lui no. Col suo abbigliamento che più francese non si può, si è fatto travolgere da un transalpino che veste (e calza) giapponesse. Ha perso il break di vantaggio, sull'1-2 ha rimontato da 15-40 ma ha ugualmente ceduto il servizio. Da quel punto ha smesso di spingere, coniglietto bagnato o bagnarola in mezzo all'oceano, in balia degli eventi. Sul 4-2 si è trovato 0-30, ma lì è stato bravo Monfils. In completa trance agonistica, il francese ha infilato quattro giocate miracolose e lo ha tenuto a bada. Chiudeva pochi minuti dopo con un dritto assassino e poi si voltava verso il suo clan, in un abbraccio virtuale che si sarebbe trasformato in urla belluine negli spogliatoi. Adesso c'è Federer e la Francia gongola: nella finale di Coppa Davis lo ha spazzato via e per poco non lo batteva allo Us Open. Oltre a un tennis molto incisivo, avrà dalla sua un pubblico caciarone che potrebbe dargli quel 5-10% in più. Federer lo sa, e sa bene che dovrà tenerlo a distanza, come peraltro gli è già riuscito tre volte su tre al Roland Garros. Monfils sarebbe anche un bel personaggio, ha slanci di simpatia ed è indubbiamente spettacolare. Ma stavolta no, dopo l'omicidio di Pablo, settemila contro uno, se c'è una giustizia è Federer a dover vincere. Chissà se Cuevas, o magari Luli Mancini, gli chiederanno di vendicarlo.