Nei giorni scorsi, SportWeek ha pubblicato un’intervista del nostro direttore alla nostra miglior promessa del tennis azzurro. Gianluigi Quinzi. Ve la riproponiamo integralmente.
Andreas Seppi e Gianluigi Quinzi: il numero 1 del presente con il numero 1 del futuro
(Foto Tonelli – FIT)
TennisBest – 28 maggio 2013
Intervista di Lorenzo Cazzaniga
L'uso dell'acronimo è per solito riservato ai fuoriclasse. Boris Becker è diventato un’icona quando un supporter gli dedicò uno striscione con la scritta: “BB non è più Brigitte Bardot". Per restare ai giorni nostri, è accaduto anche con RF, che la Nike ha trasformato in brand (post scriptum: se non sapete chi è RF, fate a meno di leggere questo e altri articoli). Nel suo piccolo, Gianluigi Quinzi, 17 anni e miglior promessa del tennis italiano, vive la stessa situazione, visto che gli appassionati ormai lo chiamano semplicemente GQ, a dimostrazione della sua popolarità, figlia della speranza di aver trovato un nuovo top 10. Non un buon giocatore, non un altro Canè-Camporese-Furlan, ma un nuovo Adriano Panatta, tanto per intenderci. Quella di Gianluigi è sempre stata una vita da predestinato. A 7 anni, Nick Bollettieri lo visionò nella sua academy di Bradenton e sentenziò: “Di campioni ne ho cresciuti tanti – disse Nick – e a questo bambino voglio dare una possibilità. Di solito preferisco i ragazzi dell’Est Europa agli italiani perché hanno più fame. Ma lui è l’eccezione”. Da quel momento, si sono occupati di Quinzi fior di allenatori, da Riccardo Piatti a Eduardo Infantino, che ha formato l’attuale team di lavoro, a partire da coach Eduardo Medica. E i risultati non si sono fatti attendere: numero 2 del mondo juniores e miglior 17enne del ranking ATP, alla posizione numero 460.
Ma come vive la condizione di atteso fenomeno del tennis italiano, un ragazzo di 17 anni?
"Tranquillamente. In Italia c'è più pressione perché tutti si aspettano che vinca subito. Però a 17 anni bisogna essere Rafael Nadal per giocare da fenomeno. A me sembra di fare già molto bene e sono soddisfatto di come sto crescendo".
Rafael Nadal è anche il tuo idolo e l'anno scorso a Roland Garros ci hai palleggiato: ricordi?
"Ero talmente emozionato che non riuscivo a tenere in mano la racchetta! E ho subito capito perché è uno dei più forti giocatori di tutti i tempi: quando frusta il colpo, la palla diventa incontrollabile. Ha una tale rotazione che ti scavalca. Però mi ha colpito soprattutto la sua umiltà: zio Toni gli diceva che era negato al servizio. A Rafa, capito? E lui che mi diceva che in effetti è un colpo nel quale è convinto di poter migliorare ancora tanto. Come testa è il più grande di sempre".
Anche nel tuo caso si dice che l'Italia ha finalmente trovato un giocatore con una forza psicologica fuori dal comune: sei d'accordo?
"Di una cosa sono certo: non mollo mai una palla. Mai. Fino all'ultimo. Ho lavorato molto sul piano psicologico col mio maestro, Eduardo Medica. Ora in campo sono più tranquillo e gestisco meglio le emozioni. Dopotutto la testa conta per l'80% in questo sport".
Hai appena cominciato l'esperienza nei tornei pro: quale difficoltà hai incontrato?
"Beh, nei tornei Futures, dove il livello non è così basso, ho dimostrato di aver raggiunto un ottimo redimento, visto che arrivo con costanza in semi o in finale. Nei Challenger è diverso perché il livello è ancora più alto e soprattutto incontri giocatori più esperti, che regalano poco e giocano al meglio i punti importanti. Ma è questione di abitudine, perché tecnicamente credo di poter già competere a certi livelli".
Ti alleni spesso in Argentina: quali vantaggi hai trovato?
"Il mio coach è argentino e il preparatore atletico, Horacio Anselmi, che ha seguito anche Del Potro, è super. E poi il ritmo degli allenamenti è davvero intenso. Gioco con campioni come Juan Monaco e mi abituo a certe sensazioni".
Come finisce quando un ragazzo di 17 anni di belle speranze gioca contro un top 20 come Monaco?
"Il ritmo del palleggio lo tengo bene. Poi giocare i punti è un'altra cosa".
Cosa ti manca invece dell'Italia?
"La famiglia, gli amici e il cibo!".
In famiglia come vivono questa situazione?
"Soffrono perché resto tante settimane all'estero. Ormai in Italia ci passo un mese all'anno. Però si sono abituati. E adoro il mio fratellino. Ci facciamo di quelle battaglie a Call of Duty sulla PlayStation, la mia passione. Anche lui gioca bene a tennis e cerca spesso di imitarmi. Ma io gli dico che ognuno deve fare la sua strada".
E la tua strada poteva anche deviare dal tennis.
"Pestavo duro con i go kart e promettevo bene con lo sci. Quando torno in Italia passo sempre qualche giorno in montagna, ma scendo piano piano. Non posso più rischiare".
In un anno dove ti senti migliorato e su cosa stai lavorando per salire un altro gradino?
"L'atteggiamento. Ora sono più aggressivo con i colpi. È chiaro che quando sali di livello hai bisogno di qualche match per abituarti ad una palla più pesante. Ma appena vinci qualche partita e prendi fiducia, tutto diventa più facile. Ora stiamo lavorando sul servizio e sulla volée. Sono cresciuto molto in altezza e sono situazioni che devo sfruttare meglio".
In Italia si parla soprattutto di te, ma ci sono altri giovani di belle promesse come Filippo Baldi, Stefano Napolitano e Matteo Donati: c’è rivalità tra voi?
Tutti hanno ottime chance di emergere. Io sono particolarmente amico di Filippo che ha fatto grandi progressi nel gioco e nell’attitudine in campo. Rivali? Siamo amici, ma se capita di affrontarci in campo, te lo dimentichi e diventano solo avversari”.
Ad ogni partita che giochi, vengono pubblicati centinaia di post sui blog di tennis: li leggi? Cosa non ti piace di quello che scrivono?
"Onestamente non ci faccio caso perché spesso ci scrive gente che non capisce granché il tennis e spara giudizi senza conoscere la situazione. E allora che senso ha leggere certi commenti? Io vado per la mia strada, ben sapendo che in Italia ho tanti tifosi che si aspettano molto da me".
Per questo preferisci stare lontano dall'Italia?
"All'estero posso giocare più tranquillo. Le attenzioni fanno piacere, sia chiaro, però rischio di essere meno concentrato su quello che devo fare per rendere al meglio".
A maggio ti sei allenato a Porto San Giorgio, dove hai rivisto il tuo primo maestro.
"Antonio Di Paolo, il migliore per i ragazzini dai 5 ai 10 anni. Il nostro è un circoletto con tre campi e senza palestra, ma se vuoi imparare le basi del gioco, non c'è posto migliore. Mio padre è il presidente e, prima di lui, lo è stato mio nonno".
Gianluigi Quinzi è partito da Porto San Giorgio, ma dove vuole arrivare?
“Nella top 10 mondiale. So che la strada è molto lunga e difficile, ma l’obiettivo è quello”.
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