Il referendum sull’indipendenza della Scozia ha creato più di u problema tensione ad Andy Murray. Qualcuno gli ha scritto che avrebbe dovuto morire durante il massacro di Dunblane. Ma lui guarda avanti e ha un obiettivo: centrare il Masters.
Di Riccardo Bisti – 25 settembre 2014
Errare è umano, perseverare è diabolico. Ma stavolta Andy Murray non aveva sbagliato. Aveva espresso un’opinione, senza offendere nessuno. La mattina del 18 settembre, poco prima che in Scozia si aprissero i seggi per votare sull’indipendenza dal Regno Unito, Andy ha scelto Twitter per manifestare il suo sostegno alla campagna indipendentista. Un tweet breve e semplice, piccolo sfogo di chi era stato tempestato di domande sull’argomento ma aveva scelto di non esprimersi, forse perchè consigliato. Già, perchè otto anni fa, ancora teenager, commise una gaffe che gli creò più di un problema. Si giocavano i mondiali di calcio in Germania e lui, fiero scozzese, disse che avrebbe tifato per chiunque ma non per l’Inghilterra. Non sapeva cosa avrebbe rappresentato – e forse già rappresentava – per i britannici. E così in tanti replicarono “Tiferemo per tutti ma non per Murray”. Col tempo, il rapporto tra Andy e gli inglesi si è ricucito. Nel 2012, dopo aver perso la finale di Wimbledon, trattenendo le lacrime, disse che non aveva patito alcuna pressione, ma che anzi il sostegno della gente era stato un privilegio e gli aveva creato solo benefici. Un mese dopo ci fu la purificazione con l’oro olimpico e l'intonazione “God Save the Queen” durante la cerimonia sul podio. La vittoria a Wimbledon, primo britannico dopo 77 anni, fu la sublimazione di un amore che lo ha spinto a prendere casa in Inghilterra, nel Surrey. Proprio per questo, Andy non aveva diritto di voto nel referendum di giovedì scorso. Mentre l’urna di Dubai stabiliva che la Gran Bretagna avrebbe ospitato gli Stati Uniti nel primo turno di Coppa Davis, la battaglia referendaria è andata avanti senza esclusione di colpi. Fino al verdetto: niente indipendenza, la Scozia resta sotto la Gran Bretagna con il 55% dei voti. E così Murray continuerà a rappresentare la Union Jack, mettendo in soffitta per sempre la Croce di Sant’Andrea, la stessa che Alex Salmond, dimissionario premier scozzese, aveva sventolato dopo il trionfo a Wimbledon.
QUEL TWEET VERGOGNOSO
La presa di posizione di Murray ha scatenato migliaia di reazioni. In tanti hanno approvato le sue idee, ma alcuni fanatici britannici si sono imbufaliti. Qualcuno ha addirittura scritto che Murray avrebbe dovuto morire nel massacro di Dunblane del 1996, quando un pazzo uccise bambini e maestre della scuola elementare e i fratelli Murray (c’era anche Jamie) si salvarono un po’ per caso, un po’ per miracolo. Frasi disgustose, subito finite nel mirino della polizia. Parlando con la BBC, Murray è tornato sull’argomento. “Non rimpiango di aver espresso la mia opinione. Penso che a ognuno dovrebbe essere permesso. Ecco, forse non ripeterei il modo in cui l’ho fatto. Mi sono espresso in un modo che non rispecchia il mio carattere e che solitamente non è mio. E’ stato molto deludente leggere certe affermazioni, ma non posso tornare indietro. Nei prossimi mesi cercherò di concentrarmi soprattutto sul mio tennis”. In questi giorni è impegnato a Shenzhen, dove ha ottenuto una wild card, poi sarà a Pechino e Shanghai nel tentativo di acciuffare un posto alle ATP World Tour Finals. Dovesse farcela, sarà interessante vedere come lo accoglierà il pubblico londinese della O2 Arena. “Mi fido del popolo scozzese, quindi ritengo che abbiano preso la giusta decisione”. Ma cosa aveva scritto Murray? Il suo messaggio diceva più o meno così: “Oggi è un grande giorno per la Scozia! Nessuna campagna negativa di questi giorni ha minimanente cambiato il mio punto di vista. Sono impaziente di vedere i risultati”. Un certo “Harry S” ha commentato le sue affermazioni con uno dei tweet più agghiaccianti che si siano mai letti. “Avresti dovuto morire a Dunblane, ipocrita e miserabile antibritannico. Che la tua vita diventi una miseria a partire da ora”.
UN MASTERS DA ACCIUFFARE
Prima del 18 settembre, Murray aveva accuratamente evitato di esprimersi sulla questione. Sapeva che il suo parere avrebbe potuto essere influente, e temeva qualche reazione negativa. Il precedente di otto anni fa gli aveva insegnato parecchio. Lo scorso giugno, anzi, aveva espresso una morbida critica verso Alex Salmond. A suo dire, aveva sbagliato a sventolare la bandiera scozzese dopo il successo a Wimbledon. Circa un mese fa, parlando con il Guardian, aveva espresso un mezzo parere. “Non credo che l’indipendenza prevalga, ma se davvero dovesse vincere il ‘si’, credo che per me sarebbe giusto rappresentare la Scozia”. Andy aveva poi aggiunto che non avrebbe fatto considerazioni politiche, perchè in passato gli avevano creato “mal di testa” e “un sacco di abusi”. Per allontanare l’attenzione da questi temi, dovrà giocare bene a tennis. La sua presenza a Shenzhen ha un forte significato: vuol dire che sogna il Masters e tornare a vincere un titolo, visto che è a secco da Wimbledon 2013. Dovesse vincere in Cina salirebbe al numero 10 della Race, a pochi punti da Milos Raonic. Non è così frequente che chi è fuori dai primi 10 dopo lo Us Open si qualifichi per il Masters. Da quando si gioca a Londra, non è mai successo. Gli ultimi a farcela furono i francesi Jo Wilfried Tsonga e Gilles Simon nel 2008, rispettivamente 15esimo a 18esimo dopo New York. Non farcela, per Andy, sarebbe uno smacco. Negli ultimi sei anni si è sempre qualificato senza patemi, anche se lo scorso anno non ha partecipato per i noti problemi alla schiena. Mai come quest’anno, la qualificazione al Masters sarebbe importante. Quasi salvifica per l’immagine e propedeutica per il futuro. La Scozia ha rinunciato all’indipendenza, l’argomento è chiuso. Ma la carriera di Andy è ancora apertissima.
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