A quattro anni dal trionfo a Londra 2012, Andy Murray conquista l’Oro Olimpico in singolare anche a Rio De Janeiro. È il primo nella storia a centrare la doppietta, siglata al termine di una pugna di oltre quattro ore contro Juan Martin Del Potro, mai domo finché ha avuto anche solo un briciolo di energia. Visto come sembrava messo nemmeno troppo tempo fa, ha vinto anche lui. E pare pronto per tornare grande un’altra volta.

Scrivi tennis Olimpico, leggi Andy Murray. Nel 2012 a Londra il primo vero grande squillo della sua carriera, sui campi di Wimbledon, quest’anno il bis a Rio de Janeiro, in un Olympic Tennis Centre che di storia non ne ha, ma ha accompagnato per nove giorni una delle migliori edizioni del torneo di tennis a Cinque Cerchi. Era iniziata malissimo, con tanti forfait prima e l’eliminazione all’esordio di Novak Djokovic poi, ma è finita alla grande, con la favola di Monica Puig nel femminile e una finale da 4 ore e 2 minuti per regalare di nuovo l’Oro maschile al numero due del mondo. In tante altre discipline Olimpiche sarebbe stato un ex aequo con uno splendido Juan Martin Del Potro, di nuovo in condizioni splendide in barba a tutti i problemi che hanno provato (a quanto pare invano) a rovinargli la carriera, ma nel tennis il successo Olimpico può andare a un uomo solo, e non è sbagliato se lo sia preso ancora una volta lo scozzese. Quattro anni fa lanciò la marcia che poi gli fruttò due Slam in meno di dodici mesi, stavolta ha confermato di essere il migliore di un periodo che da maggio in avanti gli ha dato più gioie rispetto a chiunque altro, mister Djokovic compreso. Mentre il serbo ha salutato Rio al primo turno, Andy se ne va con l’Oro al collo, più forte di tutte le sorprese diventate via via all’ordine del giorno. Sono caduti tutti i favoriti tranne lui, passato indenne da due match complicatissimi contro Fognini e Johnson, prima dello sprint finale che ha tinto d’oro la sua corsa, stampando sul tabellone un 7-5 4-6 6-2 7-5 pieno di emozioni e sorrisi, da una parte e dall’altra. Lui ride per l’oro, Del Potro per aver capito di essere tornato grande sul serio, dopo un periodo di silenzi e misteri nel quale – ormai si può dire – c’è stata veramente la sensazione di non vederlo mai più su un campo da tennis. Niente di più sbagliato.

“DELPO” SFIORA IL QUINTO, POI CROLLA
Se Murray ha chiuso con le lacrime agli occhi, il merito è anche di “Palito”, che l’ha obbligato a tirare fuori tutto, ma proprio tutto, quello che aveva. Nella racchetta, nella testa, nel cassetto delle motivazioni ma soprattutto nelle gambe, perché sono quelle che hanno fatto la differenza. Del Potro partiva con una gomma già logorata dalle tante battaglie degli ultimi giorni e dal sorpasso all’ultima curva su Rafael Nadal, mentre quella di Murray era nuovissima, dopo una gara condotta in solitaria contro Nishikori. E alla fine ha fatto tutta la differenza del mondo, in due set – il primo e il quarto – in cui i due se le sono date di santa ragione. Non è un caso che li abbia vinti entrambi Murray al fotofinish, nelle tipiche situazioni in cui basta un punto in più o uno in meno per fare la differenza. Perché se è vero che questo Del Potro è vivo, sembra rigenerato e pronto per la sua terza carriera, è vero anche che il britannico è più forte. Lo era prima, probabilmente lo sarà e lo è stato anche stasera, anche se resta qualche dubbio su come sarebbe potuta andare la finale se fossero partiti veramente alla pari, perché il cuore di Del Potro può fare miracoli. Si è visto nel quarto set: era palese che fosse in riserva, con l’autonomia prossima allo zero, e un paio di volte si è anche chinato sulle ginocchia a riprendere fiato. Eppure, facendo leva su un dritto che nonostante la lunga inattività non ha perso una virgola di efficacia – e anche su un Murray troppo pasticcione – ha trovato comunque la forza per andare tre volte avanti di un break, e tenere vivi i rumorosissimi tifosi argentini sugli spalti. Sul 5-3 per lui il quinto sembrava alle porte, ma poi è scoccata l’ora della resa e il nuovo inizio è rimasto lì, fermo, lontano un paio di quindici.

IL PRIMO BIS OLIMPICO DI SEMPRE
Punto dopo punto Murray è tornato su: ha accorciato le distanze, l’ha preso, superato (tirandosi fuori dai guai sul 5-5 grazie al servizio) e poi non gli ha più dato possibilità di rispondere, se non quando hanno scambiato un paio di battute durante lo splendido – e lunghissimo – abbraccio a rete. Una scena da far vedere e rivedere a tante colleghe che se possono nemmeno si guardano in faccia, quasi fosse la prima regola da rispettare. Murray e Del Potro, invece, si sono omaggiati a vicenda, consapevoli che in fondo hanno davvero vinto entrambi. Andy è diventato il primo nella storia a conquistare per due volte (e pure di fila!) la medaglia d’oro in singolare alle Olimpiadi, alla faccia di chi lo definiva l’eterno secondo destinato a raccogliere solo le briciole lasciate dagli altri Fab Four. “Delpo”, invece, è tornato grande e ha ritrovato subito migliaia di tifosi in tutto il mondo. Anche dopo la sconfitta, in tribuna gli argentini ridevano e cantavano come se avesse vinto. L’hanno accompagnato fuori dal campo al grido di “olè Delpo olé”, e c’è da scommettere che non vedano l’ora di ritrovarlo a combattere per i titoli dei tornei più importanti. Magari proprio con Murray, che in una stagione che sembrava quella buona per il Grande Slam del suo grande rivale Novak Djokovic, gli ha strappato tre degli ultimi quattro tornei importanti nei quali si sono trovati al via entrambi: Roma, Wimbledon e appunto le Olimpiadi, uno dei grandi tornei che mancano a casa di “Nole”. Che ambizioni ha questo Murray? Se ne capirà di più nell’ultima parte di stagione, Us Open in primis. Ma il messaggio è già piuttosto chiaro.

TORNEO OLIMPICO RIO DE JANEIRO – Finale maschile

Andy Murray (GBR) b. Juan Martin Del Potro (ARG) 7-5 4-6 6-2 7-5

IL MEDAGLIERE DEL TENNIS
1. Stati Uniti – 1 oro, 1 argento, 1 bronzo
2T. Gran Bretagna – 1, 0, 0
2T. Porto Rico – 1, 0, 0
2T. Russia – 1, 0, 0
2T. Spagna – 1, 0, 0
6T. Argentina – 0, 1, 0
6T. Germania – 0, 1, 0
6T. Romania – 0, 1, 0
6T. Svizzera – 0, 1, 0
10. Repubblica Ceca – 0, 0, 3
11. Giappone – 0, 0, 1