US OPEN – Tre anni fa, Angelo Anderson è rimasto mutilato in Afghanistan. Oggi conduce una vita normale grazie ai supporti in titanio ed è stato reclutato come raccattapalle. 
Angelo Anderson è stato colpito da un AK-47 durante un pattugliamento in Afghanistan
Di Riccardo Bisti – 27 agosto 2013

 
L’Open degli Stati Uniti è uno dei pochi tornei (l’unico?) in cui i raccattapalle non sono bambini “reclutati” dalle Scuole Tennis della zona. Non li chiamano “ballboys” e nemmeno “ballkids”, ma semplicemente “ballperson”. Alcune scene fanno sorridere, soprattutto durante i match femminili, quando le giocatrici chiedono l’asciugamano a degli omaccioni più alti di loro. Quest’anno, tra i raccattapalle dello Us Open, c’è una storia speciale. Quando era in ospedale, dopo che i proiettili in Afghanistan gli avevano frantumato le ossa del braccio e della gamba, Angelo Anderson giurava che avrebbe ripreso a camminare. Da allora sono passati tre anni, e di passi ne ha fatti molti. In queste due settimane, indossando l’inconfondibile polo Ralph Lauren, sta facendo da raccattapalle allo Us Open. Scatti che sembrano noccioline rispetto alle centinaia di ore di terapia, in cui una poderosa asta di titanio ha sostituito le ossa dal ginocchio fino al fianco. E quando lancerà la palla ai tennisti, lo farà grazie a un’altra placca di titanio che gli rinforza il braccio. Quando si piegherà per recuperare le palline, potrà farlo sulla stessa gamba che fino a qualche tempo fa non poteva piegare di oltre 45 gradi. Chi lo osserverà dalla tribuna non noterà nulla di particolare, anche perché a 24 anni è in perfetta efficienza fisica. Soltanto osservandolo da vicino si noteranno due enormi cicatrici sul bicipite destro e sulla coscia. Sulla gamba c’è un tatuaggio: è la data del suo incidente, incisa in numeri romani. Sul braccio, la firma del chirurgo che gli ha restituito la possibilità di condusse una vita normale. In verità, Anderson non è mai stato un grande appassionato di tennis. Ha iniziato a seguirlo solo dopo aver avuto la possibilità di fare il “ballperson”.
 
Cresciuto nei dintorni di Atlanta, giocava a basket e praticava l’atletica leggera. Era un ragazzo come tanti: nel 2007, dopo aver preso il diploma, doveva solo scegliere l’Università da frequentare. Stava effettuando un lavoro temporaneo, quando ha conosciuto un reclutatore tramite un amico di famiglia. La Marina poteva offrirgli un’esperienza in campo medico: la prese al volo. Lo mandarono a fare esperienza presso il Naval Medical Center di Portsmouth, in Virginia, una clinica specializzata nelle malattie infettive. La sua vita è cambiata nel dicembre 2009, quando lo hanno spedito in Afghanistan. Giunto in medioriente, andava in giro scortato dai Marines, pronto a soccorrere eventuali feriti. Si era integrato alla perfezione, anche se non è semplice capire che senso abbia la presenza di ragazzi di 20 anni in uno scenario di guerra. Se lo sarà domandato anche lui, il 2 luglio 2010. “Non c’era nulla di strano, avrebbe dovuto essere un pattugliamento di routine”. Stava parlando con alcuni abitanti locali, quando ha sentito le prime tre esplosioni di un AK-47. Cadde a terra, alcune attrezzature gli finirono in gola. Mentre cercava di fuggire, ebbe la sensazione che il suo braccio si stava muovendo. Ma quando lo ha guardato, era immobile. Ed era in una posizione innaturale. In quel momento, l’istinto di sopravvivenza prese il sopravvento. Rimase immobile, nel tentativo di non farsi notare e non attirare altri spari. “Piangevo. In un unico momento, ho parlato sia con Dio che con Gesù. L’unica cosa che potevo fare era aspettare”. I Marines hanno messo in sicurezza la zona e lo hanno raggiunto: “Ehi, dottore, alzati. E’ tutto ok”. Lui, calmo, disse: “Non penso di potermi reggere in piedi”.
 
Non aveva mai perso conoscenza, neanche per un secondo. Ha istruito i Marines su come avrebbero dovuto curarlo in attesa dei soccorsi, che arrivarono sotto forma di un elicottero. Poi, finalmente, svenne. Al risveglio, trovò un aggeggio metallico che sporgeva dalla pelle, come a fissare l’osso. Le sue competenze mediche gli fecero subito pensare: “Probabilmente ho una rottura grave". Lo spedirono in Germania, dove ha trascorso il 4 luglio, festa nazionale negli Stati Uniti. Ma non aveva l’umore giusto per festeggiare. Da lì, ha proseguito per gli Stati Uniti, dove si è trovato ad essere paziente nello stesso ospedale dove aveva lavorato fino a qualche mese prima. E’ stato bloccato a lungo su una barella, urlando dal dolore ogni volta che veniva spostato. Gli antidolorifici hanno reso il suo corpo talmente sensibile da avere la sensazione che il battito cardiaco sia in grado di sollevarlo dal letto. Il responso? Era stato colpito da due proiettili. Il primo ha frantumato il femore della gamba destra, l’altro l’omero del braccio destro. Il chirurgo ha dovuto tagliare via talmente tanto tessuto morto che è stato ncessario un intervento di chirurgia plastica per effettuare un innesto di pelle. Durante il periodo della riabilitazione, si è sentito ripetere una domanda a cui non sapeva rispondere: “Ci avevi promesso che non ti saresti fatto male. Perché è successo?”. Mentre ci pensava su, sono trascorsi quattro mesi e finalmente ha potuto muovere i primi passi. Un’altra operazione nel gennaio 2011 è servita a rimettere in sesto il suo fisico, dopodichè ha sentito parlare dei Warrior Games, competizioni destinate a chi si era ferito in guerra. A maggio, dopo le sue esibizioni in pista, è stato notato dai responsabili del “Military Program” della USTA. Gli hanno proposto di provarci, ed è andata alla grande. Ma i Warrior Games lo hanno ispirato in un altro modo: la sua nuova aspriazione è diventare un fisioterapista per i gli ex soldati che cercano di competere negli sport per disabili. Attualmente, allena le competenze mediche dei Marines a Camp Lejeune, in North Carolina. Ma il suo capo è stato ben felice di dargli una licenza per lo Us Open. Per due settimane, tornerà a scorrazzare da un campo all’altro. Lo Us Open ha già il suo primo vincitore.