Il nostro blogger Pierpaolo Renella sostiene che all’origine dei risultati sportivi non brillanti degli atleti italiani negli ultimi anni ci sia…

di Pierpaolo Renella, tratto dal blog Overrule

 

All’origine dei risultati sportivi non brillanti degli atleti italiani negli ultimi anni c’e’ anche un deficit culturale: siamo un popolo sedentario che non pratica sport, con un tasso di obesità in preoccupante aumento, in particolare tra i bambini (uno su tre in soprappeso dai sei ai nove anni, uno su quattro in sovrappeso dai dieci ai tredici anni). Oltre al mancato successo sportivo, il costo complessivo per la comunità di questa tendenza in atto è elevato (più malattie, più ricoveri, etc.).


La scuola, in teoria, sarebbe l’ambiente ideale per promuovere la salute, l’educazione nutrizionale e la “grammatica del movimento”. Dal 15 febbraio del 2010, grazie ad un accordo tra il Coni e il Ministero dell’Istruzione è partito un progetto pilota di “alfabetizzazione motoria” nella scuola primaria. Interessa mille scuole, circa 250mila alunni tra i sei e i dieci anni. Interessa mille scuole primarie, alle quali sono assicurate due ore di attività fisica la settimana. Finora l’educazione motoria per i più piccoli era affidata all’autonomia delle scuole. Il progetto dovrebbe essere completato nei prossimi tre anni, con il coinvolgimento progressivo di tutte le scuole, per entrare a regime dal 2013-14. Uso il condizionale perché dovrà essere finanziato con 71 milioni di euro di soldi pubblici. E la cosa non è scontata. Mentre il pilota è stato finanziato dal Coni con un contributo di 5 milioni di euro.


I genitori di molti agonisti – che si dissanguano per dare una chance ai propri figli – sorrideranno di fronte a questa iniziativa da paese del terzo mondo ma non dimentichiamo che in Italia 41% della popolazione non pratica alcuno sport e non dedica nessun momento della propria giornata all’attività fisica. In questo contesto l’iniziativa assume una portata storica.


L’Italia è il fanalino di cosa in Europa per quanto riguarda le ore di attività motoria nell’intero ciclo scolastico. Al primo posto c’e’ la Francia con 1.680 ore (alle elementari addirittura 5 la settimana), poi Svizzera (1.560, 3 la settimana), Inghilterra (1.480, con scelta autonoma sulla distribuzione), Germania (1440, 2 la settimana). L’Italia chiude con 480 ore, dietro Portogallo, Spagna e Grecia.


Le cause più frequenti che portano al sacrificio del numero di ore dedicate all’attività motoria curriculare sono principalmente legate a: assenza o inadeguatezza delle palestre, struttura dell’orario scolastico, mancanza di spazi esterni o decisioni del Collegio dei Docenti.

Per l’implementazione di politiche volte al miglioramento dell’attività sportiva, la scuola rappresenta un importante luogo formativo in cui diventa necessario intervenire, al fine di raggiungere i livelli raccomandati di attività fisica quotidiana, indispensabile per il benessere psico-fisico dei giovani in età evolutiva. Ma in che modo? Senza creare nuove infrastrutture, nuovi impianti, diventa tutto molto difficile. Nell’immediato – e a costi probabilmente inferiori dei 71 milioni di cui sopra – il MIUR potrebbe stipulare una serie di accordi bilaterali con le singole federazioni per ampliare l’offerta formativa in orario extrascolastico. In sostanza, i ragazzi avrebbero la possibilità di praticare sport, gratuitamente, nei centri sportivi designati dalle rispettive Federazioni.

E per chi fa agonismo e spende 30-40 mila euro l’anno? Qualcosa si potrebbe fare già nell’immediato. Ad esempio, con delle reali e significative detrazioni fiscali delle spese per le attività sportive dei ragazzi. Oggi la detrazione delle spese sportive è limitata alla pratica dilettantistica e prevede un tetto ridicolo di 210 euro per figlio (di età compresa tra i 5 e i 18 anni): il massimo risparmio ottenibile è di 40 misere euro l’anno. Generando, in questo modo, un vistoso paradosso. A fronte di maggiori introiti fiscali, lo Stato spende in realtà più di quanto incassi in spese sanitarie legate a obesità, alcolismo e diffusione delle droghe, solo per citare alcune conseguenze della “sedentarietà” degli italiani.

 

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