Quando nasci a Nyagan, Siberia, cinquantasettemila anime che vivono mediamente a 2.1 gradi celsius sotto lo zero con punte da -23°, trasferirsi a Tampa, nello Sunshine State che è la Florida, non è mai una cattiva idea, soprattutto se a motivarti è l'American Dream. L'ha pensato anche Yuri Sharapov, nel 1994: pienamente cosciente che da quella terra inospitale (dove si era trasferito dalla cittadina bielorussa di Gomel, troppo vicina a Chernobyl) non avrebbero avuto chance di emergere, la sua intuizione fu di accorgersi che la figlioletta, Maria Yuryevnia, aveva spiccate doti nel gioco del tennis, che aveva cominciato a praticare a 4 anni; Yuri decise che Maria poteva sostituire l’affetto della madre Yelena con quello di Nick Bollettieri, il guru che non aveva mai giocato a tennis da professionista ma che da coach infiltrato nella Marina americana aveva creato una sorta di boot camp tennistico nel quale aveva ammaestrato tecnica e carattere di Andre Agassi, Jim Courier e Monica Seles, per citare gli allievi più famosi. In più, si era sempre dimostrato piuttosto generoso con chi mostrava talento, elargendo borse di studio che permettevano di frequentare l'accademia senza costi. Per Maria, questo avvenne dal secondo anno, dopo che anche Rick Macci (coach e talent scout fidato: se ti dice che una ragazzina può trasformarsi in campionessa, difficile che sbagli pronostico) ne aveva riconosciuto le potenzialità. Resta avvolto dal mistero cosa abbia fatto Yuri per sopravvivere in quel primo periodo, in un paese di cui non conosceva la lingua e che generalmente non adora i poveracci. Tuttavia, nessuno ha mai voluto approfondire l'argomento con un tizio rimasto famoso per aver imitato il gesto di uno sgozzamento durante un match di quarti di finale dell’Australian Open 2008, peraltro dominato dalla figlia contro Justine Henin.
WIMBLEDON A 17 ANNI
Comunque sia, il merito principale di Yuri è stato quello di non essersi inventato allenatore e aver lasciato fare a chi ne sapeva di più. Bollettieri non ha mai avuto dubbi: dopotutto, qualche anno prima aveva ricevuto in dono un'altra fanciulla russa di belle promesse, quell'Anna Kournikova che ha aperto la strada a tante giovani tenniste del suo paese e rimasta poi famosa per la sua bellezza (facendo dimenticare a troppi la sua semifinale a Wimbledon e la comparsa nella top 10 mondiale, prima di ritirarsi ancora giovanissima). Nick, furbo come le sue origini napoletane lasciano trasparire, capì anche che Maria partiva con due vantaggi rispetto ad Anna: un tennis più efficace e un sex appeal meno pronunciato. Aveva ragione: nel 2004, ancora minorenne, vinse il suo primo Slam a Wimbledon, battendo in finale Serena Williams. In seguito, avrebbe allacciato a quel successo, altri quattro Major: due volte Roland Garros (2012 e 2014), una volta l’Australian Open (2008) e lo US Open (2006), diventando una delle dieci giocatrici nella storia ad aver completato il Career Grand Slam (per capirci, le altre nove sono: Maureen Connolly, Doris Hart, Shirley Fry, Margaret Court, Billie Jean King, Chris Evert, Martina Navratilova, Steffi Graf e Serena Williams). Ha vinto un totale di 35 tornei, in media quattro partite ogni cinque giocate e, ça va sans dire, è stata anche numero uno del mondo in cinque diverse occasioni, per 21 settimane complessive, l’ultima volta nel luglio del 2012. Poi Serenona ha deciso che il tour femminile doveva essere di sua esclusiva proprietà e non le ha lasciato più spazio. I media hanno provato a creare una certa rivalità fra loro perché le premesse, on and off court, c’erano tutte. Ma come spiegò Andy Roddick nei confronti di Roger Federer, “perché ci sia una rivalità, si dovrebbe vincere un po’ ciascuno”. Maria invece ha sconfitto due volte Serena nel 2004, quindi ci ha perso 18 volte di fila. Perché tecnicamente la Sharapova non è immune da lacune: il dritto è ballerino, col servizio ha dovuto cambiare meccanica dopo un brutto infortunio alla spalla, la volèe e il tocco di palla ha cercato di affinarli con risultati tra il mediocre e il discreto. Il rovescio, quello sì è da prima della classe. Ma a far la differenza è la mentalità, soprattutto quella sua naturale incapacità di accettare la sconfitta. Non dopo un match, tipico atteggiamento dei perdenti, ma durante, tipico dei vincenti.
MELDONIUM E VITA FUORI DAL TENNIS
E se questa caratteristica non era sufficiente contro Serena, bastava quasi sempre contro tutte le altre. Fino a quel dannato 7 marzo 2016 quando ha affittato un'anonima sala del The LA Downtown Hotel e ha annunciato di essere stata trovata positiva ad un controllo anti-doping. Maria assumeva Meldonium ormai da diversi anni, a suo dire per combattere dei problemi di diabete. La sostanza è però anche un modulatore del metabolismo, in grado di aumentare la resistenza alla fatica e accelerare i tempi di recupero. Proibito dal settembre 2015 con effetto dall'inizio del 2016, la Sharapova era stata avvertita con una precisa mail. Che non ha mai aperto. Né lei, né un intero staff di preparatori, fisioterapisti, medici, manager. Lei, come sua abitudine, non ha cercato scuse, né colpevoli: "La colpa è essenzialmente mia, un peccato di ingenuità". A volerle credere (ma altrimenti perché continuare ad assumere un farmaco proibito?), Maria potrebbe aver pagato anche gli innumerevoli scandali legati al doping che ha invaso lo sport russo (col quale peraltro la Sharapova ha ben poco da spartire) e che ha costretto anche Putin a mezze ammissioni di colpevolezza ai massimi livelli. La richiesta di squalifica è stata di quattro anni, la sentenza di due, poi ridotta a 15 mesi, che termineranno il 26 aprile. Quello stesso giorno, tornerà alle competizioni a Stoccarda, il torneo della Porsche, uno degli sponsor che non l'ha abbandonata. A seguire, una bella serie di eventi (Roma in prima fila) che si sono affrettati ad offrirle una wild card, una scorciatoia per tornare nel Grande Tennis rapidamente. In molti, da Andy Murray a tante sue avversarie, si sono dichiarati contrari a questi inviti, affermando che chi è rimasto impigliato nella rete del doping non deve ottenere favori. Pensiero condivisibile ma in questo caso il circuito femminile ha talmente bisogno di Lei, da sotterrare ogni moralismo. Con la Williams che gioca tre settimane e sta ferma tre mesi, la Azarenka impegnata ad allattare, la Kvitova impegnata in un difficile recupero psico-fisico dopo un'aggressione armata e la Radwanska in piena involuzione tecnica, la crisi che avvolge il tennis femminile è tale che in copertina ci vanno Karolina Pliskova e Johanna Konta, perché l'unico altro modo è posare mezze nude, come hanno fatto Eugenie Bouchard e Caroline Wozniacki per lo speciale bikini di Sports Illustrated. Ma il tennis sarà mancato a Maria Sharapova? La voglia sarà ancora la stessa? Le sue prime dichiarazioni, chissà se sincere o studiate da quell'efficiente ufficio stampa che lei stessa dirige sono contrastanti. Da un lato dice che "non ho mai pensato di chiudere la mia carriera con una squalifica per doping", dall'altro ammette che essere rimasta tanti mesi senza tennis "le ha fatto capire che nella vita ci può essere ben altro". Se negli ultimi quattro mesi gli allenamenti si sono fatti intensi e prioritari, nel forzato anno sabbatico ha trascorso lunghi periodi di vacanza con gli amici più fidati, soprattutto a Coachella, nuova meta trendy degli States; ha finalmente cenato spesso in famiglia, ma ha pure frequentato un corso di Global Strategic Management alla Harbard Business School, passato una decina di giorni a Londra studiando in un’agenzia pubblicitaria e altrettanti tra i designer della Nike e infine fatto da stalker per una settimana ad Adam Silver, il commissioner del basket NBA.
AMORI E AMBIZIONI
Perché laddove la bella russa-americana (ormai è probabile parli meglio lo slang di Los Angeles della sua lingua natale) non teme rivali, è nella corsa ai guadagni. Dal 2006, Forbes la indica come la sportiva più pagata al mondo e il suo patrimonio netto supera i 200 milioni di dollari, di cui solo 36 (lordi) guadagnati sul campo da tennis. E mentre diverse star dello sport hanno dilapidato fortune immense, lei è diventata una businesswoman talmente abile da trovar spazio sull'Economist quanto sulle riviste sportive. In particolare, nel 2013, insieme a Jeff Rubin, fondatore di una società dal nome piuttosto chiaro (It’s Sugar!), un'atleta che dovrebbe consigliare insalate a base di quinoa e beveroni allo zenzero, suggerisce di affogarsi in un oceano di zucchero infilato in pacchettini con due invitanti labbra stampate sopra e prezzi da gioielleria del dolciume. E non ha nemmeno cercato di nascondere gli intenti chiamando il suo giocattolo Sugarpova, un inno all'ingrasso matematico. Così come la sua immagine pubblica difficilmente sfocia nel gossip o nei fatti personali, ma ha (quasi) sempre una finalità di business. I suoi profili Facebook e Twitter sommano 21 milioni di seguaci, ma le notizie sembrano delle televendite infarcite di promozioni commerciali.Anche in amore, come negli affari, Maria ha svolto un processo di apprendimento preciso, anche se difficilmente si può stabilire se altrettanto rapido. Nel 2007, a credere ad Adam Levine, cantante della band Maroon 5 (suppongo non alla sua prima esperienza), la giovane Sharapova a letto era un disastro. Con sorprendente dono della sintesi affermò: “Fare sesso con Maria è stato peggio di scoprire che Babbo Natale non esisteva”. I suoi successivi fidanzati invece, non hanno mai alzato critiche: dallo sloveno Sasha Vujacic, buon giocatore della NBA (forse il più vicino a diventare mister Sharapov, fino alla rottura nel 2012), al collega Grigor Dimitrov, che si trasferì in California per volere della bella Maria, rischiando una carriera mediocre, prima dell’addio nel 2015, dopo tre anni passati insieme. Più recentemente ci ha provato anche il modello spagnolo Andrés Velencoso, ma senza particolare successo. Ora, accantonati un filo business e flirt, toccherà di nuovo al campo far parlare di Maria. Lei, noncurante delle critiche, ha dichiarato: “Quando ami ciò che fai e lavori duro, con passione e integrità, allenandoti sul campo 28 senza nessuno intorno che ti vede, allora capisci meglio te stessa e quello che vuoi. E’ su quel campo numero 28, mentre mi alleno senza che nessuno mi osservi che ho vinto la maggior parte dei miei trofei. Certo, giocare un match ufficiale offre sensazioni diverse, ma anche se la mia carriera è più vicina alla fine che all’inizio, voglio che si chiuda a modo mio”. Le avversarie sono avvisate. E anche il circuito femminile può finalmente tornare a sorridere.