Cravatta regimental, tono perentorio allo smartphone. Eppure con l’analisi della sconfitta dell’italiano contro Altmaier, ci ha azzeccato…

“Pare sempre che stia lí, lí per partire, poi puff…” . L’autore di tanto commento è un signore medio alto, sulla cinquantina, calato in un abito grigio come il suo bulbo, sotto il quale spicca una camicia bianca attraversata dall’alto in basso da una regimental blu a righe gialle. Ha l’aria del manager, uno di quei tipetti dall’aria attizzata e la favella giusta al momento giusto. Per l’occasione andava affidando a uno smarphone superlucido parole esplicative corredate dal verso figurativo di qualcosa che si sgonfia.”Stanno al tie break del primo…”, aggiunge subito dopo rivolto a qualche orecchio appizzato dall’altra parte del filo. “Partita brutta… un sacco di erroracci. Dai….”, conclude perentorio,” …ti tengo informato”. Anche lui aveva guadagnato un posto risicato sul bianco marmo del Pietrangeli senza pensare che la breve analisi telefonica mi aveva lasciato pressoché di stucco. Da una buona mezz’ora seguivo il match tra Giulio Zeppieri e Daniel Altmaier, senza avvertire grandi sensazioni circa un confronto povero di spunti. In un amen, invece, il tipo accanto a me era andato dritto al nocciolo e in una successiva chiamata si era spinto a un’impeccabile disamina: “Peccato…” aveva detto,”…7-6 per l’altro. Gioca troppo a sprazzi”. E daie un’altra innegabile verità!


Inizia il secondo e al grido di “Giuliooo… Giulioooo” la folla chiama l’italiano a salire di tono. “Ha vinto il secondo”, riprende il tizio alla fine del set mentre con la mano libera allenta la cravatta, “…pochi errori, diversi vincenti, e il servizio molto angolato”. Anche stavolta il presunto manager mi aveva fregato sul tempo giungendo a perfetta sintesi assai prima di me. Inizia il terzo e il mancino di Latina sembra allentare il linguaggio del corpo e dinoccolando in giro per il campo prende 6-0. “Niente…”, si ripete l’elegantone al cellulare sistemandosi il colletto,”….s’è fermato alla terza stazione e non c’e stato verso”!
Mi aveva di nuovo fatto secco. Ero ancora lí, a scrutare statistiche arzigogolate per dare un senso a una partita persa che poteva essere vinta, e già lui, con grande anticipo, tranciava conclusioni che non facevano una piega. “Un match così, così…” azzardo una volta in piedi mentre spolvero il formicolante fondo schiena. “Così, così…?” , replica lui un pò piccato “…dica pure brutto!”. Fa per andarsene quando, più curioso di una scimmia, lo placco in extremis con una domanda a bruciapelo: “Lei dev’essere un bel giocatore…” la butto lí. “Giocatore…?” Replica lui frettoloso,” …magari! No, gioco due o tre volte l’anno con gli amici”. Scappa via! Poi deambulando butta lì la precisazione: “forse 4 o 5: niente di più!” Si allontana di buon passo fino a confondersi tra la folla che ondeggia tra il Centralone e la Grand Stand Arena lasciando che improvvisi dubbi arrivassero a oscurare quello che pensavo essere il mio specchiato curriculum vitae. Al punto da sentir d’un tratto venir meno i miei tanto sbandierati quarant’anni di onorato insegnamento, unitamente ai due ultimi lustri spesi a fare il pennaiolo sbarazzino ferrato un po’ su tutto.