GLI APPUNTI DI CORRADO – Quando visitammo Roehampton, "l'altro tempio" del tennis londinese, sede delle qualificazioni di Wimbledon. Sede dell'ITF a parte, sembra più importante il cricket…

Di Corrado Erba – 22 agosto 2014

 
Ero bello seduto sul Centre Court, si era verso fine di una giornata ai Championships.
L’amico inglese mi aveva invitato a una partita di pallone, accettata volentieri.
Non sapevo però la destinazione.
Giunti davanti a un bus di rosso dipinto, chiedevo dove dirigessimo, “a Roehampton” mi ha risposto.
 “Al circolo della Banca d’Inghilterra” ?
“Lo conosci”?
“E’ dove giocano le qualificazioni di Wimbledon”?
“Esatto”
, mi ha risposto.
Ed eccomi, sul finire di una giornata bigia, a varcare il cancello di un circolo così esclusivo da non ammettere nemmeno il pubblico, quando si giocano le partite del torneo di qualificazione. Roehampton si trova a sud ovest di Londra, non lontanissimo da Church Road, alla fine di un viottolo popolato da inglesissimi villini a schiera. Il gate è presidiato da un guardiano arcigno e nero quanto il cancello. Dopo averlo superato senza patemi ho subito incrociato sagome bianchissime di giocatori, impegnati in partite di cricket, sul ground prospiciente la Club House, ornata di ortensie coloratissime. A fianco della Club House, seduto di sponda, un palazzotto austero in mattoni rossi, fornito di torre e orologio, la sede dell’ITF (la federazione internazionale). Arrivato all’interno della club house, ho curiosato nella piccola reception, scrutato le bacheche; i risultati della squadra di Cricket, il club delle Bowls, per chi volesse erano disponibili lezioni di tennis (lasciare il form nel cassetto please), ma nessuna, dico nessuna, traccia dei match giocati pochi giorni prima. Ho chiesto lumi a un albionica segretaria, che mi ha scrutato incuriosita, “Well, i match sono finiti”, punto, arrivederci all’anno prossimo.
 
QUEI CAMPI COSI’ LONTANI
E allora mi sono fatto un giro per i courts verdissimi, implorando l’amico inglese per avere una racchetta, un paio di sneakers, una candida Slazenger, senza, aimè, nessun risultato. Ho faticato a individuare i campi da tennis, allineati in una posizione remota rispetto alla club house, ne intuii la presenza da lontano, vedendo le reti ondeggiare placide all’orizzonte. Una breve camminata per trovarne una dozzina o forse più, disposti uno fianco l’altro, senza divisori, panchine, recinzioni. Solo una metà erano forniti di reti, i lawns degli altri erano li a riposare. Senza fatica, sul far del tramonto, si intuivano i respiri dell’erba. Dietro la prima fila di courts, a fianco di alcuni campi in cemento (orrore!) ho trovato un’altra verdissima linea, composta da altri otto campi in erba, sempre disposti uno fianco l’altro, senza tribune, trespoli degli arbitri, cartelloni pubblicitari, una solitaria bianca panchina e le reti frangivento, verde scuro, con lo sponsor istituzionale dei Championship. Ci ho pascolato sopra, mimando servizi, risposte, volees in tuffo, intuendo traiettorie di altissimi lob, ho passato a filo di rete un angelo del silenzio, ho sentito le voci dal passato e le promesse agli dei sussurrate dagli aspiranti che ne hanno calcato l’erbetta, un diciottenne e rotondo Mac, un indisponente Jimbo. Un erba forse diversa dal paradiso di Church Road, un filo più alta, le righe in gesso a volte invisibili, gli out rimasti esposti alla nuda terra. Gli amici britannici mi hanno richiamato all’ordine, ma il match di calcio mi è servito per visitare gli spogliatoi. Un dedalo di corridoi stretti, ricoperti da una moquette lisa, una serie apparentemente infinita di stanzini piccolissimi, forniti da una sola panca e senza alcun armadietto e uno spartano stanzone, dove allineate, c’erano decine di docce che fornivano un getto freddino e irregolare. Inutilmente hanno cercato di trattenermi gli allibiti inglesi. Fornito di una pinta sono tornato verso il tramonto, seduto ai bordi del campo numero 24.
“Out” ho urlato fortissimo.