L’INTERVISTA – Gianluca Naso cambia vita. Nuovo team, base in Lombardia e una motivazione in più: suo figlio Nicolò. A 28 anni ‘Giallo’ non è più una promessa, ma un buon 2015 l'ha riportato nel giro delle qualificazioni degli Slam. “Top 100? Ci credo ancora”. (Foto di Antonio Milesi)I 28 anni, nel tennis, rappresentano una fase cruciale della carriera. Significano aver alle spalle un decennio di attività da ‘pro’, e rappresentano il momento giusto per prendere delle decisioni. Il bivio è semplice: scegliere di lasciar perdere l’attività internazionale per dedicarsi ad altro, o decidere di continuare a investire tanta fatica e tanto denaro su sè stessi, per continuare a inseguire un sogno che non offre alcuna garanzia. Già un annetto fa Gianluca Naso ha meditato di imboccare la prima strada, ma alla fine ha scelto la seconda e ha fatto bene. Un buon 2015 gli ha restituito tanta fiducia e tanta voglia di far bene, una classifica a ridosso dei primi 200 e un posto nel giro delle qualificazioni dei tornei del Grande Slam. Ma anche un vero e proprio cambio di vita: nuovo team, nuova base in Brianza e soprattutto il suo primo figlio Nicolò. Una dimensione che ne ha rilanciato le ambizioni, verso l’obiettivo top 100. Nel 2008 sembrava dietro l’angolo, poi è diventato un miraggio. Ma non è ancora tramontato.
Sei titoli Futures, 60 match vinti, oltre 150 posizioni scalate. Un buon 2015…
Senza alcun dubbio una buona stagione, per tanti aspetti. Fra tornei e gare a squadre, in Italia e all’estero, ho giocato più di 120 incontri, tenendo sempre grande costanza. Un aspetto che negli anni passati mi era un po’ mancato. A 27 anni, quando chiudi una stagione da numero 370 (il 2014, ndr), ti viene il pensiero di smettere di giocare. Invece ho avuto la forza di reagire, riprendermi e disputare un’ottima stagione. E poi ci sono state varie novità, su tutte la nascita di mio figlio Nicolò, ma anche il trasferimento in Lombardia. In alcuni tornei appena perdevo rientravo subito a casa per portarmi avanti col trasloco. Nonostante un po’ di stress, mentalmente sono riuscito a star bene.
Dopo una vita in Sicilia, come mai questo cambiamento?
La prima ragione è la possibilità di allenarmi con mio cugino Andrea Meli, un ex B1 che da anni lavora a Carate Brianza. Mi ha sempre dato una mano quando venivo da queste parte a giocare dei tornei, ma non avevamo mai veramente lavorato insieme. In più, ci ha raggiunto anche il mio preparatore atletico Roberto Calogero, con il quale nel 2015 ho fatto un grande lavoro, migliorando moltissimo dal punto di vista fisico. E poi avere la base in Lombardia significa poter viaggiare più comodamente, e risparmiare parecchi soldi. Prima di trasferirmi non ero mai andato a un torneo in auto. Rispetto a un giocatore nel nord con la mia stessa classifica, stando in Sicilia io spendevo circa 10.000 euro in più ogni anno solo per i biglietti aerei. Una differenza importante. In più, quando sei in macchina puoi tornare a casa subito dopo l’eliminazione, in aereo a volte tocca attendere dei giorni per prendere la tariffa più conveniente.
Nuovo team e nuova base a 28 anni. Significa che hai ambizioni importanti?
Mi sto allenando tantissimo, sto cercando di colmare tutte le lacune che ho avuto in questi anni e non sono mai riuscito a sistemare. Adesso ho delle responsabilità in più, non gioco più per divertimento o quasi, anche se è sempre e comunque un lavoro, ma ho un figlio da mantenere, non mi posso più permettere di chiudere l’anno da numero 350, perché significherebbe non mettere da parte nulla. Le motivazioni sono doppie rispetto a prima, come la voglia di guadagnare e scalare la classifica.
Nel 2008 sembravi sulla strada giusta verso i top 100, sette anni dopo non ci sei ancora riuscito. Hai capito cosa è andato storto?
Mi sono fatto prendere dalle pressioni, dalla fretta di arrivare in alto, trascurando un po’ alcuni aspetti fisici importanti. Magari il mio allenatore mi consigliava bene, ma io ero distratto da ambizioni. Non sono stato in grado gestire la situazione, un errore comune a tanti italiani. Per questo si arriva più tardi: ci sono pressioni mostruose e se non sei abbastanza maturo per gestirle diventa difficile.
Il Naso di oggi cosa direbbe al Naso del 2008?
Di non avere fretta, di sbattersene un po’ più le p***e delle sconfitte, stare lì, allenarsi, e di farsi prendere meno dalle paranoie tipiche dei ragazzi di 21 anni.
Dopo 7 anni di allenamenti, fatiche, viaggi ed esperienza, quanto è frustrante per un giocatore accorgersi che i risultati non sono più gli stessi di allora?
Lo è, però la passione e le voglia di giocare i tornei del Grande Slam prevalgono sul resto. Magari perdi l’ennesimo match per 7-5 al terzo set, ti senti a pezzi, hai perso soldi, punti e la possibilità di andare avanti nel torneo. Ma già il giorno successivo ti scatta la voglia di tornare in campo ad allenarti, a migliorare, a capire perché hai perso. Capisco quei giocatori che a 33-34 anni sono ancora nel Tour, e pensano di poter raggiungere grandi traguardi: la passione è fortissima, ti incendia, è una sensazione bellissima. E poi non si sa mai, tanti giocatori hanno iniziato tardi a togliersi soddisfazioni.
Si è sempre detto che saresti entrato fra i primi 100 del mondo. Ci credi ancora?
Sì, tantissimo. Anche perché forse sono il 200 del mondo che ha battuto più top 100 nella storia del tennis (ride, ndr). Ne ho battuti veramente tanti, credo di poter competere a quei livelli. E credo di poter salire veramente. Devo fare un anno migliore rispetto al 2015, ma l’importante è che ci sia la costanza, niente alti e bassi. Ogni volta che capitano dei bassi si perde tanto tempo, non va bene. Meglio fare 12-15 risultati di medio livello, piuttosto che due grossi e poco altro. Dall’anno prossimo mi aspetto un grosso salto di avanti, sicuramente il best ranking. Spero di farlo, anche abbondantemente.
Il 2016 è l’ultima chance della tua carriera?
Con la mia ragazza ci siamo dati degli obiettivi che bisogna raggiungere. Se il 2016 dovesse rivelarsi un anno non soddisfacente, quindi che non mi dà possibilità di giocare le qualificazioni nei tornei dello Slam, prenderò in seria considerazione l’opzione di smettere. Però questa cosa mi dà tanta carica, non voglio smettere, voglio salire tanto, voglio mantenere la mia famiglia facendo il giocatore di tennis.
Djokovic ha detto più volte che da quando ha messo su famiglia, e la sua priorità non è più solamente il tennis, il suo gioco ne ha guadagnato. Ti aspetti gli stessi benefici?
Concordo con lui. Mi ha detto la stessa cosa il mio allenatore. Quando sei più piccolo, magari un giorno ti alleni male e torni a casa arrabbiato, perché il diritto non funzionava, o per altri motivi futili. Quando hai un figlio, invece, rientri a casa e anche se hai spaccato una racchetta lo prendi in braccio e ti torna il sorriso. E il giorno dopo ti vai di nuovo ad allenare. Felice.
Cecchinato è il secondo top 100 di sempre proveniente dalla Sicilia, poi ci sei tu e due giovani interessanti come Caruso e Giacalone. È un buon momento per la tua regione…
La Sicilia ha sempre avuto un’ottima tradizione a livello under, ma poi quando fra i 16 e i 18 anni giocare a tennis significa compiere anche una scelta di vita, tanti talenti hanno abbandonato. Loro sono tre bravissimi ragazzi, che stanno cercando di fare tutto nel migliore dei modi. Cecchinato è quello ad aver fatto le cose migliori, ma credo che anche Caruso e Giacalone nel 2016 potranno compiere un bel salto di qualità. E io spero di essere lì in mezzo a loro, se non davanti.
Negli ultimi tempi si parla delle possibili soluzioni per velocizzare il tennis, renderlo più spettacolare. Come le vedi?
Secondo me il tennis è molto bello come è ora, così è nato e perciç deve mantenere queste tradizioni. Fossi in chi di dovere, mi concentrerei di più per migliorare la vita del tennista. Se il giocatore riesce ad avere una vita un po’ più rilassata e meno stressante, può anche rendere meglio durante i tornei.
Cosa intendi per vita più rilassata?
Il calendario dei tornei è allucinante. Visto che quelli forti comandano, riescono a costruirsi un calendario abbastanza su misura, ma prendiamo il caso di Murray a fine anno: ha rischiato di saltare le ATP Finals perché qualche giorno dopo doveva giocare la Coppa Davis sulla terra battuta. E il calendario dei tornei minori è ancora peggio. Nel 2016, subito dopo l’Australia, o giochi indoor sul veloce o praticamente non puoi fare tornei. Un’altra cosa? A febbraio ci sono due Futures da 25mila dollari a Vina Del Mar (Cile, ndr), poi una settimana di pausa e quindi un Challenger a Santiago. Se uno vuole fare tre tornei, deve stare in Cile una settimana in più. Ha senso? Non si riesce a fare le cose decentemente, e tutto questo è stress per i giocatori: spese in più, problemi di programmazione, di gestione.
Hai nominato la Coppa Davis. Sei favorevole al format attuale?
Secondo me, visto che è una sorta di campionato nel mondo a squadre, si potrebbe pensare di disputarla ogni due o quattro anni, come tutti i campionati degli altri sport. Ormai sembra che si mettano d’accordo per chi la deve vincere: un anno gioca Djokovic e la vince la Serbia, poi Federer e la Svizzera, poi Murray e la Gran Bretagna. Un cambio nella formula potrebbe renderla più entusiasmante per i giocatori forti, togliendogli la possibilità di vincerla ogni anno. Andrebbe anche preparata in maniera diversa, con più attenzione. E poi sarebbe bello che il calendario ATP finisse un po’ prima, così da non avvinare così tanto le ATP Finals alla finale di Davis.
I giocatori si lamentano del calendario, ma poi nell’off-season giocano esibizioni a raffica. Qualcosa non torna…
Giocare un torneo o un esibizione è diverso. Alle esibizioni ci si può andare molto più rilassati, basta guardare Serena Williams all’IPTL, non ha vinto una partita. Da quelle parti i giocatori vengono trattati come dei principi, prendono una valanga di soldi e magari riescono a fare anche un po’ di preparazione invernale tra un match e l’altro, quindi sono abbastanza tranquilli. L’IPTL va bene per il portafoglio ma a loro interessa zero. È quando giochi per la storia, come fanno loro, che ci sono altri stimoli, altre passioni. Ai tornei seri cambia tutto, vengono vissuti in maniera totalmente diversa.
Sei sempre stato molto attivo in tema soldi nei tornei minori. Dal 2016 ci saranno i primi Futures da 25.000 dollari di montepremi. Cosa ne pensi?
Sono molto contento di questa novità, la trovo un’ottima soluzione. Visto che nel 2016 c’è ancora la possibilità di organizzare tornei da 10.000 dollari, pensavo che quest’anno la gran parte dei tornei avrebbe scelto quel montepremi. Invece nel calendario dei primi mesi ci sono già vari 25mila. Prima ho citato i due in Cile: con un montepremi simile, se vai lì e giochi discretamente almeno il volo aereo te lo ripaghi. Il vero cambiamento potrebbe arrivare nel 2017, quando il montepremi minimo diventerà di 15.000$. C’è il rischio che i tornei vengano dimezzati, ma non è un aspetto negativo. Uno si allena di più per meno tornei. Meglio giocarne pochi bene piuttosto che tanti male.
Nel 2015 a livello internazionale hai incassato poco più di 30.000 dollari, pur chiudendo da numero 220 del mondo. È solo grazie a tornei Open e gare a squadre che ci si mantiene?
Sì, senza dubbio. Lo scorso anno ho fatto veramente un sacco di sacrifici, cercando di giocare tantissimo così da mettere da parte il più possibile per l’arrivo del piccolino e altri cambiamenti, come la casa, l’automobile, varie cose. Basti pensare che dopo aver perso contro Chiudinelli nelle qualificazioni dello Us Open, il giorno dopo ero in campo a Cuneo in un Open sulla terra. Però la situazione è uguale per tutti. Io sono molto amico di Gaio e Giannessi, che possiamo definire due privilegiati perché hanno la possibilità di allenarsi gratis a Tirrenia. Nonostante ciò, anche loro devono farsi i conti in tasca ogni giorno. Quando il circolo per cui giochi la gara a squadre ritarda il pagamento di un mese, ti viene l’acqua alla gola. Devi sempre stare attento. Poi è vero che non ci facciamo mancare nulla, abbiamo tutti l’iPhone ultimo modello, ma è anche vero che ci facciamo il mazzo dalla mattina alla sera, qualche sfizio ce lo possiamo anche togliere. Comunque penso che per la qualità di atleti che siamo, meriteremmo di più. Negli altri sport popolari quanto il tennis il numero 200 del mondo guadagna molto più di me.
Tuo padre Enzo è stato prima categoria, tu sei stato nei primi 200 ATP, e Nicolò?
Top ten (ride, ndr). Mi piacerebbe avere un figlio tennista, perché con l’esperienza che ho avuto io, che ha avuto mio padre, che ha avuto sua madre che è stata campionessa italiana under 18, potrebbe averne dei benefici. E poi mia suocera fa la maestra di tennis, mia zia pure. I geni ci sono. Però niente obblighi. Mi piacerebbe che mio figlio facesse sport, anche a livello agonistico, ma non sarò mai quel genitore che sta attaccato alla rete del campo a dire al proprio figlio cosa deve o non deve fare.
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