Daniel Koellerer, squalificato a vita nel 2011 per aver violato le norme anti-corruzione, entra duro contro l’ATP: “sacrificano alcuni giocatori di basso livello per proteggere i migliori”. Rios, invece, non le manda a dire ai dominicani e pure agli specialisti del doppio.Partiamo da una premessa: tutto quello che esce dalla bocca di Daniel Koellerer è da prendere con le pinze. L’ex tennista austriaco, squalificato a vita nel 2011 perché pizzicato a infrangere tre volte le norme anti-corruzione, è sempre stato un giocatore burrascoso, che è riuscito a farsi odiare in ogni angolo del mondo per i suoi comportamenti al di sopra delle righe. Antipatico, maleducato con tutti e spesso anche antisportivo, ha sempre avuto la nomea del “poco di buono”, e non ha mai fatto nulla per redimersi, quindi non sembrerebbe proprio la persona più affidabile del mondo. Ma le sue recenti dichiarazioni sul tema delle scommesse fanno comunque riflettere. Koellerer ha sparato a zero contro l’ATP, rea – a suo dire – di proteggere i giocatori più importanti, e aver usato lui e altri ‘pesci piccoli’ come capro espiatorio per mostrare qualche risultato. A conti fatti, da quando Tennis Integrity Unit ha iniziato a lavorare – in religioso silenzio stampa – nel mondo della racchetta, il suo è l’unico nome di un certo spessore finito nell'occhio del ciclone. Non è stato un campione, ma ha comunque sfiorato i top 50 e nell’elenco dei “banned for life” è probabilmente l’unico che è riuscito a vivere di tennis giocato, e forse mettere anche da parte qualcosa. Ma è caduto comunque nel tranello fino alla squalifica, sostanzialmente per aver provato a coinvolgere qualche collega nell’attività illecita. È probabile non ci abbia guadagnato granché, visto che la successiva sentenza del CAS di Losanna (al quale si è appellato) ha confermato il ‘ban’ ma gli ha tolto la multa di 100.000 dollari perché – si legge – “dalle attività non ha tratto profitto”, però l’illecito rimane ed è stato sanzionato. Tuttavia, a cinque anni di distanza Daniel continua a proclamarsi del tutto innocente, ribadendo di essere stato avvicinato più di una volta per truccare l'esito di alcuni incontri in cambio di denaro, ma di aver sempre rifiutato le proposte.
 
“L’ATP PROTEGGE I TOP PLAYER”
“Una volta sono stato raggiunto da un intermediario – ha raccontato nel suo sfogo – mentre un’altra mi hanno telefonato in hotel. E un’altra ancora mi hanno avvicinato a cena. Mi sono stati offerti 50.000 dollari per un incontro con Davydenko e altrettanti per una sfida con Tipsarevic. E un’altra volta 100.000 per perdere con Massu. Ho subito rifiutato. In campo ero indisciplinato, rompevo racchette e insultavo gli arbitri, ma non ho nulla a che fare con le scommesse. Il ban mi ha rovinato la vita”. In realtà in quanto a popolarità gli ha addirittura giovato, visto che in Germania l’hanno invitato a partecipare a una sorta di Grande Fratello fra vip (dove ha fatto scalpore una sua doccia completamente nudo davanti alle telecamere), ma il suo nome sarà per sempre legato alle scommesse, e la cosa proprio non gli va giù. “I ‘big four’ – ha rincarato la dose – non sarebbero mai stati trattati come me. Non penso che questi giocatori manipolino gli incontri, ma se lo facessero sarebbe un autentico suicidio per l’ATP. I migliori giocatori sono troppo importanti, quindi vengono protetti. Durante le investigazioni anti-corruzione, l’ATP sacrifica alcuni giocatori di bassa classifica per mostrare a tutti cosa può succedere. Non ho prove certe, ma sono certo che alcuni giocatori fuori dai primi 20 manipolino l’esito degli incontri. Per risolvere il problema basterebbe sopprimere le scommesse, ma ovviamente questo non si può fare, perché alcuni tornei sono sponsorizzati dalle agenzie di betting. È come una mafia: qualcosa di sporco e corrotto”. Può avere ragione come torto, ma sicuramente ha ben poca credibilità, motivo per il quale le sue dichiarazioni sono destinate a cadere nel vuoto molto presto. E per una volta è un vero peccato.
 
RIOS NON È CAMBIATO DI UNA VIRGOLA
Cambiando completamente argomento, nelle ultime ore in Cile stanno facendo discutere le parole di Marcelo Rios, uno che da giocatore ha sempre avuto ben pochi peli sulla lingua, e nemmeno dopo il ritiro ha cambiato atteggiamento. Aggregato al team cileno di Coppa Davis come assistente del capitano Nicolas Massu, l’ex numero 1 del mondo ha attirato l’attenzione su di sé sin dalla vigilia della sfida con la Repubblica Dominicana, mettendo un po’ di pepe in un duello a senso unico, con gli ospiti che – privi di Victor Estrella – non hanno vinto nemmeno un set in cinque incontri. “Per tornare nel Gruppo Mondiale – ha detto – abbiamo bisogno di un doppio competitivo, è sempre stato un problema”. Poi ha aggiunto che a suo modo di vedere gli unici tennisti “buoni” sono coloro che competono in singolare, mentre i doppisti non sono altro che dei singolaristi falliti. Un pensiero piuttosto comune nel circuito, ma che Rios avrebbe fatto meglio a esprimere in un’altra occasione, vista la presenza nella sua squadra sia del veterano Julio Peralta (recente campione all’ATP di San Paolo) sia di Hans Podlipnik-Castillo, due top 100 in doppio che – specialmente il primo, visti i quasi 35 anni – ricalcano abbastanza il modello di doppista citato da Rios. Entrambi hanno preferito non intervenire sull’argomento. Non pago, Rios ha allora spostato il dito sul livello della formazione avversaria: “Non so se sono i nostri rivali a essere scarsi o noi a essere molto più forti, ma il livello dei dominicani mi è parso parecchio basso”. E per chiudere in bellezza, dopo che alla vigilia, interpellato sull'assenza di Victor Estrella, aveva mostrato almeno di sapere chi fosse (“è dei miei tempi, ma non l’ho mai visto”), al sabato si è pure lasciato andare a un “Estrella? Non so chi sia”. Alla faccia di quel politically correct che in Coppa Davis si moltiplica ancor di più.