Troppo spesso la figura dei genitori rischia di rovinare la carriera degli atleti. Il caso di Arantxa Sanchez è l’ultimo di un fenomeno senza distinzioni di sesso, età e disciplina.
Damir Dokic è uno dei genitori tristemente famosi per il suo atteggiamento violento
Di Riccardo Bisti – 28 febbraio 2012
Nella sua biografia “Vamos!”, Arantxa Sanchez definisce così mamma Marisa. “L’ombra fedele di ogni mio torneo fino ai 20 anni di età. Una donna volitiva che metteva disciplina e vittoria prima di ogni cosa, quando forse in certi momenti avevo bisogno di una parola o un gesto di affetto”. Mamma Marisa, dopo la presentazione del libro, ha replicato stizzita. “E’ evidente che con lei abbiamo fallito. Abbiamo dedicato ad Arantxa 20 anni della nostra vita, ipotecando la nostra esistenza e il nostro matrimonio”. Chiunque dica la verità, è chiaro che la famiglia Sanchez è profondamente divisa. Forse non ci sono margini per un riavvicinamento. Ovviamente non è l’unico caso. Anzi, ci sono degli sport che hanno cambiato le loro regole per contenere l’invadenza dei genitori. Alcuni club vietano l’ingresso ai genitori per evitare che assistano alle sessioni di allenamento dei figli. Quando un giovane atleta diventa un professionista, il suo rapporto con i genitori rischia di modificare. Lo dicono gli psicologi dello sport: da una parte il figlio assume una posizione dominante, ma dall’altra soffre delle eccessive aspettative della famiglia. Il tennis è uno sport molto a rischio. La competizione inizia molto presto, con il bambino che perde il piacere del gioco e lo fa solo per compiacere il genitore. E ci sono alcuni genitori che vedono il successo dei figli come un prolungamento del proprio (che magari non c’è mai stato). “Mary, uccidi quella puttana!”. La frase è stata pronunciata da Jim Pierce, padre della franco-canadese capace di vincere due tornei del Grande Slam. Papà Pierce fu cacciato dal Roland Garros e da qualsiasi riunione del team francese per aver colpito, insultato e minacciato la figlia. Dopo di lui è arrivato Damir Dokic, le cui “prodezze” hanno convinto le istituzioni tennistiche ad approntare normative speciali per tenere sotto controllo i genitori violenti.
Fenomeni di questo genere avvengono soprattutto in campo femminile, ma ci sono casi anche tra gli uomini. “Anche se continuava a darmi consigli, mio padre ha smesso di essere il mio allenatore quando avevo 10 anni – ha detto Feliciano Lopez – non è stata una relazione facile. C’erano attriti ogni giorno, dovuti al lungo tempo trascorso insieme. Io me la sono cavata, ma ho visto problemi di questo tipo in altri giocatori”. La scorsa estate, durante il torneo di Wimbledon, Lopez ha notato una smorfia di disperazione sul volto del padre. Lo ha avvicinato e gli ha detto: “Papà, per favore, calmati!”. “Si, è uno piuttosto nervoso – continua Feliciano – il tennista ha bisogno di persone che gli trasmettano un senso di sicurezza. Tutto sommato a me è andata bene, perché i miei genitori mi hanno sempre trasmesso una disciplina positiva. Mio fratello è stato molto coraggioso: ha smesso di giocare a 16 anni, ha continuato gli studi e si è laureato in Economia e Commercio. Oggi è felice. Altri genitori, forse, avrebbero insistito per farlo continuare a giocare. Ed è l’errore più grave che si possa fare. Non tutti i ragazzi hanno voglia di fare certi sacrifici”. I conflitti familiari, ovviamente, non riguardano solo il tennis.
Mickey Mantle, uno dei migliori giocatori di baseball di sempre, si faceva la pipì a letto fino ai 16 anni di età. Nella sua biografia ha spiegato che era la reazione all’atteggiamento del padre, che gli stava ossessivamente accanto facendolo allenare anche 14 ore al giorno. Lance Armstrong ha sviluppato la sua poderosa forza di volontà da piccolo, quando il padre lasciò la madre. Dominique Moceanu, ginnasta che vinse una medaglia d’oro ad Atlanta 1996, andò in tribunale per ottenere l’emancipazione dai genitori. Un’altra ginnasta, l’americana Jennifer Sey, ha scritto un libro in cui ha raccontato i suoi fallimenti. Allenatori spietati, genitori pressanti e disturbi alimentari hanno fatto franare tutti i suoi sogni. Quando un bambino diventa uno sportivo d’elite, c’è la necessità di riorganizzare i rapporti familiari. Ovviamente gli sport di squadra sono meno invasivi, perché inizialmente non richiedono grossi investimenti e la pressione viene diluita su tanti ragazzi. Di certo la pressione aumenta quando entrano in ballo dei soldi. Quando il figlio inizia a firmare qualche contratto importante, oppure vede la famiglia trasferirsi solo per stargli accanto, rischia di diventare un “tiranno”. La capacità dei genitori, in questo caso, deve essere quella di tenerli con i piedi per terra. Quello che è riuscito alla famiglia Nadal, che con l’aiuto di zio Toni ha fatto crescere un ragazzo umile…fino all’eccesso.
Alcune società calcistiche avvertono questo problema, e hanno inserito nell’organico un team di psicologi. E’ il caso del Siviglia, squadra molto attenta al settore giovanile. “La pressione della famiglia esiste, anche se a volte è più evidente ed altre meno – dice Pablo Blanco, responsabile del settore giovanile – per alcuni genitori, l’obiettivo primario è che i figli diventino dei calciatori professionisti. I ragazzi sentono questa pressione, ed è certo dannoso. Per questo abbiamo deciso di vietare ai genitori di assistere agli allenamenti”. Gli psicologi del Siviglia hanno scritto una lettera ai genitori, in cui hanno spiegato i benefici per i figli dovuti alla loro assenza dagli allenamenti. “Ma oggi, con la crisi, alcuni genitori provano a mettere pressione sulle società dicendo che i figli hanno ricevuto offerte da altri club”. Genitori troppo invadenti possono causare problemi alla carriera dei figli, in certi casi portarli a un ritiro prematuro. Il caso di Arantxa Sanchez è ormai pane quotidiano per il gossip spagnolo, che ha ricostruito ogni dettaglio della sua vita. Adesso la ex numero 1 del mondo è coinvolta in quattro cause legali contro i suoi genitori per vicende legate al controllo dei suoi beni, stimati tra i 30 e i 45 milioni di euro. Oggi Arantxa è esposta 24 ore al giorno e, sebbene sia sposata e madre di due figli, la sua vita è ancora segnata dal periodo in cui era un giovane tennista. E allora sorge spontanea la domanda: ne valeva la pena? E, per le migliaia di genitori che "massacrano" i baby atleti…ne vale davvero la pena?
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