L’arrivo di Brad Gilbert a fianco della campionessa Usa ha portato i risultati che faticavano ad arrivare, anche per colpa di scelte sbagliate e di un fraintendimento di base: è il giocatore che deve seguire l’allenatore, non viceversa

Nel tennis chi viaggia con i giocatori sono gli accompagnatori ed i coach: gli accompagnatori sono i genitori, gli amici, un fisioterapista, un fidanzato/a. I coach sono quelli che aiutano i giocatori a dare il meglio di sé, discutono la tattica, rivedono i colpi e via dicendo. Il problema arriva quando il coach si trasforma in accompagnatore.

L’ accompagnatore, quello vero, serve a far rilassare l’atleta a dargli serenità, a farlo sentire a casa, a dargli una spalla su cui piangere quando si perde una brutta partita.

Il coach-accompagnatore invece è la peggior iattura che può capitare a un giocatore. Di solito è uno che sa poco di tennis, che parla con frasi fatte, che ti ritrita aria fritta, che gliene frega poco di te e molto del suo onorario, e che soprattutto non è in grado di aiutare il giocatore. È uno che ti chiede a che ora ti vuoi allenare, cosa vuoi fare in allenamento; va a incordanti la racchetta e ti parla di video analisi, ti fa vedere come gioca Federer – e tu magari sei 300 del mondo – ma non sa insegnarti quasi nulla. Intendiamoci, la maggior parte sono persone per bene (alcuni purtroppo no) che provano a fare del proprio meglio; solo che non sono all’altezza. È come mandare un allenatore di Eccellenza ad allenare il Real Madrid: fanno di tutto per compiacerti, mentre sei tu che devi compiacere il coach, metterti ai suoi ordini se vuoi migliorare.

Di solito questa gente è come Alfred il maggiordomo di Batman: preciso puntuale simpatico; ma non come Robin, che a volte toglie Batman dai pasticci

Un esempio lo abbiamo avuto a NewYork. Coco Gauff, che fino a ieri aveva viaggiato con accompagnatori, ora ha un coach, forse uno dei migliori di sempre: Brad Gilbert. E i risultati si vedono, non solo con la sua vittoria, ma per come sta in campo, anche se ancora c’è da lavorare.

Ci ha messo cinque anni a capirlo, ma meglio tardi che mai. Lo dicevo a Tony Godsik, il manager di Coco e di Federer, e lui mi rispondeva allargando le braccia: «Non riesco a convincerli». Intendeva i genitori. Finalmente Tony ce l’ha fatta, e ora sarà dura batterla.

Un coach – non un maestro, che è diverso – vale un 4, 5 per cento per un buon giocatore. Se arrivi alla finale dei 100 metri alle Olimpiadi devi avere 10 secondi nelle gambe, ma se il coach ti porta al tuo limite ti migliora e tu fai 9 secondi e otto, e vinci le Olimpiadi, quella percentuale non è tanto piccola, vale gloria e denaro. Questo dovrebbe fare un coach, migliorare e portare al massimo l’allievo. In fondo, in ogni campo della vita se investi, vuoi guadagnare. Quindi attenzione: portate in giro un coach, non un falso accompagnatore, che oltretutto costa molto di più di uno vero. Fate come Coco: magari mettendoci meno tempo…