Le difficili esperienze di quattro ragazze che girano il mondo e "sgomitano" nei tornei minori: dagli scippi in mezzo a un mercato alla droga offerta da un barista, l'aneddotica è piena di situazioni al limite. “Una persona cosciente non farebbe mai quello che facciamo noi”.

Abbiamo già raccontato di quanto sia dura la vita del tennista del circuito minore: decine di tornei lontano da casa, prize money troppo bassi per mettere qualcosa da parte, destinazioni a volte pericolose. Per non parlare del cibo! Il tutto in nome di un sogno, un miraggio: una classifica ATP-WTA che consenta di varcare la soglia dei tanto desiderati hotel a 4 stelle e dia ossigeno a conti correnti non sempre in attivo

"SE ENTRI QUI, NON ESCI VIVA"
Qualche giorno fa, quattro ragazze stavano parlando della programmazione da svolgere nel 2018. Egitto, Romania, Turchia e Tunisia sono le mete più frequentate perché, in virtù di un campo di partecipazione non straordinario, permettono di conquistare qualche punto in più. La prima a parlare è Alice Savoretti, classe 1992 ed ex 405 Wta: “L’unico posto in cui non dovete assolutamente andare è Il Cairo, per il resto potete andare ovunque”. Sapendo che Alice non difetta di coraggio, le abbiamo domandato perché: “Ho toccato con mano la situazione interna. Mi sono resa conto che si rischia la vita in continuazione: quando sei fermo in macchina entrano le mani dai finestrini, la gente dorme ai bordi dell’autostrada, basta una piccola sbandata e li prendi dentro. Quando, insieme al mio maestro, siamo andati a fare il giro sul cammello ci avevano inizialmente chiesto circa 25 euro. A giro concluso ce ne hanno chiesti 50 e noi gli avevamo spiegato che il prezzo iniziale era 25 euro. Hanno tirato fuori il coltello. In quel caso, cosa fai?" Alice ha viaggiato molto e attualmente vive all’estero, a Barcellona; le abbiamo dunque chiesto se abbia vissuto situazioni altrettanto complicate. Si è ricordata una storia di quando aveva 18 anni: “Era il 2011 ed ero a Tunisi per un torneo da $10.000. Io e Valentine Confalonieri avevamo avuto la ‘brillante’ idea di andare al mercato di Tunisi perché ci avevano detto che era molto bello. Era una delle prime esperienze all’estero da sola, quindi mi sono portata dietro la borsa con dentro tutto: passaporto, carta di identità, carta di credito e contanti. Avevo circa 400 euro in contanti e in più avevo 300 dollari del prize money del torneo precedente. Ci hanno accolto benissimo, ci hanno insegnato a usare alcuni prodotti e ci hanno portato in alcuni palazzi per farci vedere altra merce non esposta. Io ho comprato un orologio, dopo l’acquisto ho messo in borsa il portafoglio e, cinque metri più avanti, ho avuto la sensazione che una persona mi avesse dato una botta. Il mercato era pieno di gente quindi ho subito pensato che potesse capitare qualche spintone, poi però ho visto un uomo correre e, d’istinto, mi sono messa a correre anch’io. Urlavo “Vale, mi hanno rubato il portafoglio!”. Dopo circa 300 metri lui è andato in una stradina stretta, me lo ricordo come se fosse ieri, e io continuavo a seguirlo. Valentine mi urlava: “Fermati Ali, dove vai?”. Quest’uomo a un certo punto è entrato in una casa e quando io ero sulla soglia per entrare, è uscito un altro uomo che mi ha fermato e mi ha detto: “Se entri qui non esci viva”. Alla fine ho preferito perdere la borsa con i soldi e i documenti, piuttosto che la vita. Ho chiamato subito mio padre che ha bloccato tutte le carte di credito, sono andata a fare il passaporto provvisorio e, senza soldi, sono riuscita a tornare a casa”.

IL PROBLEMA ISIS
E le altre? Giorgia Marchetti, classe 1995 e 555 Wta, ha raccontato: “Storie drammatiche, per fortuna, fino ad ora non mi sono capitate. Tuttavia ricordo quando ho giocato la Fed Cup Junior in Messico: una volta arrivati in aeroporto ci siamo ritrovati la scorta. Si diceva ci fosse una guerra civile in atto. Mi è rimasta impressa la scena del trasporto su un pulmino scortato, davanti e dietro, da due Jeep nere con i militari armati. Un altro episodio è avvenuto in Tunisia, circa 3 anni fa. Io ero nel resort del torneo e c’era già il problema dell’ISIS, lì se ne parlava molto, c’erano già stati diversi attentati. Mi ricordo che una settimana e mezza dopo il torneo ci fu l’attentato a un resort non troppo distante dal mio. Fu il famoso “Attentato di Susa” del 26 giugno 2015 in cui sono morti anche tanti italiani. Mi sono preoccupata: con la vita che facciamo, noi tennisti conviviamo con questi rischi, ci siamo abituati. Passiamo molto tempo negli aeroporti. Poi per carità, sono dell’idea che se deve succedere qualcosa, può succedere ovunque, però diciamo che noi tennisti, con la vita che facciamo, corriamo qualche rischio in più”.

I CANI RANDAGI DI TELAVI
Alla conversazione si è aggiunto un episodio capitato a Federica Arcidiacono, classe 1993 e n.633 WTA: “Anche io non ho ricordi forti come quelli capitati ad Alice però ricordo un torneo nel 2015 a Telavi, in Georgia. Il primo aereo era alle 11.00 del mattino con scalo a Istanbul e la coincidenza era alle 17.00. Dalle 17.00 alle 23.00, per tutte le ore, il mio volo è stato continuamente posticipato di un’ora. La causa del ritardo era che, quel giorno, a Tbilisi, che è la capitale della Georgia, erano scappati gli animali dallo zoo e tutta la città era bloccata. Sono riuscita ad arrivare in albergo alle 2.30 di notte, il giorno dopo dovevo giocare il primo match alle 8.00 del mattino con un fuso orario di due ore. La cosa che mi è piaciuta di Telavi è che di giorno la strada che portava al nostro b&b era piena di persone felici che salutavano e sorridevano come se fossi una vecchia amica di infanzia, alcune addirittura ti invitavano a entrare in casa a bere il loro tè e ti facevano conoscere tutta la famiglia. Loro parlavano in georgiano, io e Martina Spigarelli rispondevamo in italiano quindi la conversazione era quella che era. Riuscivamo a farci capire solo a gesti. Di sera, invece, quella stessa strada era deserta e buia e io e Martina, un giorno, abbiamo deciso di uscire a cena. Al ritorno, a un certo punto, abbiamo sentito abbaiare, ci siamo girate e abbiamo visto quattro cani randagi dietro di noi che ci stavano inseguendo. Abbiamo iniziato a correre, ma più noi correvamo e più loro ci inseguivano. Alla fine abbiamo cambiato strada e ci siamo nascoste. Il cuore era a mille. Nella fuga ho anche perso una scarpa, però almeno ce la siamo cavata”.

I 400 METRI D'INFERNO DELLA SPIGARELLI
Ricordo il giorno in cui sono arrivata da sola all’aeroporto di Telavi, in Georgia – racconta Martina Spigarelli, classe 1992, ex 540 Wta -. Ad accogliermi c’era la trasportation dell'albergo. Quando sono salita in macchina l’autista ha risposto al telefono, ha detto “italiana” e ha messo giù. Io mi sono preoccupata perché ero sola in macchina con un signore che non parlava con me e che l’unica parola che ha pronunciato per tutto il viaggio è stata “italiana”. Si riferiva a me, ma per fortuna non è successo nulla. Ricordo anche una trasferta in cui ero nella periferia di Bucarest, in Romania, una zona molto povera. L’hotel non aveva il ristorante quindi per andare a mangiare potevo spostarmi o a piedi oppure in taxi, ma trovare un taxi in quella zona era un’impresa. Così la prima sera sono uscita per andare in un centro commerciale a 400 metri dall’albergo. Sono uscita alle 19.00 quando c’era ancora luce e sono tornata alle 22.30 su una strada completamente buia, senza lampioni. C’erano in giro ubriachi, gente che mi fischiava, erano solo 400 metri ma sono stati i più lunghi della mia vita. Camminavo attaccata a un muro perché non c’era il marciapiede e passavano macchine in continuazione. A un certo punto mi sono tagliata la coscia con uno spuntone di metallo e ovviamente non avevo con me il disinfettante”.

LA DROGA DEL BARISTA
Un altro episodio che ricordo – aggiunge la Spigarelli -, è avvenuto in Brasile, nel 2015, insieme a Federica Arcidiacono. Avevamo preso subito biglietti per l’andata e per il ritorno. Abbiamo disputato tre tornei consecutivi e nell'ultimo ci capitò di perdere con tre giorni d'anticipo rispetto alla data del ritorno, quindi abbiamo sfruttato il tempo rimanente per allenarci e visitare la città. Abbiamo chiesto a un tassista di portarci a vedere un famoso fiume. Siamo finite in mezzo a una giungla, c’erano i bambini che si lanciavano con le liane in mezzo all’acqua. I cellulari, naturalmente, non prendevano. Eravamo da sole, disperse nel nulla e senza poter contattare nessuno. Alla fine, fortunatamente, il tassista ci ha riportato indietro, abbiamo fatto un’ora e mezza di macchina e siamo finite in una cittadina dove non c’era niente. Siamo andate in un bar a mangiare qualcosa e il proprietario del bar, inizialmente, faceva un po’ il 'piccione', fino a quando ci ha detto: ‘Se volete io ho la droga, potete venire a farne uso sulla mia barca’. A quel punto abbiamo deciso di andarcene, il problema era che per tornare nel nostro albergo dovevamo prendere per forza il pullman e avevamo perso la coincidenza. Siamo state in quella stazione piena di ubriachi, in quella cittadina dispersa e in cui si percepiva tanta povertà, per circa tre ore, dalle 17.00 alle 20.00. Alla fine, siamo riuscite a tornare sane e salve in albergo”.

Sono esperienze che arricchiscono. Sono storie che val la pena raccontare perché a volte, dietro a un live score da seguire su uno smartphone, c’è molto di più. E non se ne parla quasi mai.