Renzo Furlan, ex DT del Settore Tecnico, svela i suoi rapporti con la FIT e non si sottrae a nessun argomento.
Renzo Furlan è stato a capo del Settore Tecnico FIT dal 2004 al 2010
Di Riccardo Bisti
“Che fine ha fatto Renzo Furlan?”. Lo volevano sapere in tanti, soprattutto dopo che il suo nome era scomparso dall'organigramma del Settore Tecnico FIT. L’ex top-20, nonchè direttore del Centro di Tirrenia, ha ancora un vincolo contrattuale con la FIT e segue a tempo pieno i giovani (classe 1994) Pietro Licciardi (n. 1.155 ATP) e Federico Maccari (che ha raccolto il suo primo punto ATP al future di La Spezia). Meno visibilità, più sostanza. Renzo è stato uno dei personaggi più importanti negli ultimi 25 anni di tennis italiano, sia come giocatore che come tecnico, e non perde mai la calma. Nemmeno quando lo provochiamo: “Non credo che Tirrenia sia stata un fallimento. Tuttavia, ho sempre pensato che i giocatori ci debbano restare fino a 21 anni di età”.
Partiamo da oggi. Renzo Furlan è un tecnico privato o ha ancora un legame con la FIT?
Ho un rapporto con la Federazione che mi impegna per 24 settimane all'anno. Devo seguire due ragazzi del Settore Tecnico, Pietro Licciardi e Federico Maccari. Poi ho stretto un accordo direttamente con loro, così la collaborazione è diventata più o meno full-time.
Ultimamente c’è stata poca chiarezza sul suo ruolo. Perchè non è più Direttore del Settore Tecnico? Di chi è stata la decisione?
L’accordo con la FIT è stato bilaterale. Quando è scaduto il mio contratto, la Federazione mi ha riproposto la direzione tecnica. Tuttavia, ero più orientato a un ruolo di campo. Allora ci siamo venuti incontro: loro mi hanno offerto un contratto part-time, con la possibilità di seguire giocatori sotto l’ala della federazione. Questa soluzione mi piaceva e devo dire che siamo entrambi soddisfatti. In breve: da 3 anni lavoro part-time per la FIT, ma anche nel resto del tempo seguo ragazzi nell’orbita federale.
Dunque non c’è stata nessuna “mancata conferma”, ma semplicemente un diverso tipo di accordo dopo che la FIT le aveva proposto di andare avanti come direttore tecnico?
Si. Tutto questo è avvenuto nel 2010. All’epoca mi hanno offerto di proseguire in questo ruolo, ma lo ricoprivo ormai da 6 anni e avevo voglia di fare qualcosa di diverso. Volevo un ruolo “di campo” e loro mi hanno dato la possibilità di fare quello che desideravo.
Se dico che Tirrenia, almeno dal punto di vista della produzione giocatori, è stata un fallimento, lei cosa risponde?
Non sono d’accordo. Tutti i migliori giocatori sono venuti fuori da lì. Un paio d’anni dopo l’apertura, abbiamo avuto Alessandro Giannessi che ha chiuso l’anno da numero 1 ETA. Poi Matteo Trevisan ha vinto il Bonfiglio ed è stato numero 1 del mondo Under 18, Federico Gaio ha raggiunto la finale sempre al Bonfiglio ed è stato tra i primi 20 ITF…quindi i risultati ci sono stati. Ovviamente noi ci occupavamo soltanto di Under 18. Credo che il deficit fosse proprio questo: non prolungare il lavoro di Tirrenia oltre i 18 anni. Da noi si faceva un lavoro specifico per i ragazzi tra i 14 e i 18 anni, ma poi venivano un po’ mandati “in mare aperto”. Io sono sempre stato dell’idea che i ragazzi avrebbero dovuto restare al Centro Tecnico fino ai 21 anni di età.
Parliamo della vittoria di Francesca Schiavone al Roland Garros. Fermo restando che i meriti sono della giocatrice, nell’ambiente si dice che Renzo Furlan abbia avuto un ruolo fondamentale. Ripercorrendo quel periodo, e senza falsa modestia, quanto fu importante il suo apporto?
Su consiglio di Corrado Barazzutti, Francesca si è presentata a Tirrenia a fine ottobre 2009. All’epoca io ero il direttore e il presidente Binaghi mi chiese di dare una mano a Francesca, visto che in quel momento non aveva un coach fisso. Insieme a Barazzutti abbiamo preparato un programma di allenamento, poi per le settimane in cui è stata a Tirrenia l’ho seguita io. Credo che lei abbia fatto quei risultati perchè a Tirrenia si è sposato tutto alla perfezione. Mi spiego: la struttura l’ha accolta nel migliore dei modi, poi gli sparring partner erano notevoli perchè ha sempre giocato con gli uomini. Io posso averle dato una mano dandole ordine tattico: secondo me Francesca sprecava un po’ di energie non avendo un gioco ben definito, pur sapendo fare tutto. Quindi, insieme, abbiamo lavorato su questo. Tuttavia, credo che la differenza l’abbia fatta il preparatore atletico Stefano Barsacchi, che praticamente l’ha seguita per tutto l’anno, da Tirrenia a Parigi. Credo che tutte queste situazioni le abbiano permesso di esprimersi a quel livello.
Perchè con Bolelli non è andata bene?
Non sempre le ciambelle riescono col buco. Posso dire una cosa: sinceramente, non l’ho mai allenato. La Schiavone si è presentata a fine ottobre e abbiamo fatto 2 mesi di allenamento prima della trasferta in Australia. Al contrario, Bolelli si è presentato a Tirrenia il 14 dicembre. Abbiamo fatto tre giorni di allenamento, poi tre giorni di festa, poi altri tre di allenamento. Fine. Quella è stata la preparazione. Tra l’altro, in quel momento, non avevamo neanche un accordo. L’accordo lo abbiamo definito a gennaio quando lui era già in Australia, quindi si può dire che l’ho preso in corsa. Intendiamoci, non ci sono scuse e non voglio dare giustificazioni: quell’anno Simone poteva e doveva fare di più. Lui si è preso le sue colpe, io mi sono preso le mie e ci siamo lasciati. Per me la preparazione invernale è sacra. Non ho mai iniziato una stagione se non avevo nelle gambe 6-8 settimane di preparazione: ecco, quel tipo di lavoro, con Bolelli, non è mai stato fatto.
Adesso ci sono Pietro Licciardi e Federico Maccari. Scommette su di loro?
Diciamo che ci credo. Hanno caratteristiche molto diverse, ma hanno entrambi un ottimo potenziale. Lavorano bene, sono i più promettenti della classe 1994. Credo che ci sia del buon materiale, altrimenti non avrei neanche iniziato il lavoro.
Parentesi sul Furlan giocatore. A 15 anni di distanza, forse, si ha una visione più lucida. Qual’è il ricordo più bello e quello più doloroso?
Vincere il primo titolo ATP a San Josè, contro Michael Chang (numero 7 del mondo), a casa sua e sul veloce, mi ha fatto capire che avrei potuto giocare a buonissimi livelli. Quel match mi ha dato tanto. Poi nutro splendidi ricordi in diversi match di Coppa Davis. Delusioni? La mancata finale in Coppa Davis nel 1996, quando perdemmo in Francia dopo essere stati in vantaggio 2-0, e il quarto di finale giocato in maniera pessima alle Olimpiadi di Atlanta 1996. Olimpiadi e Coppa Davis non erano appuntamenti a cui tenevo particolarmente, ma col senno di poi mi sono reso conto che erano davvero importanti, ti formavano come giocatore. Aver mancato quei due obiettivi mi è pesato un po’.
Ha commesso qualche errore che ancora oggi rimpiange e raccomanda ai suoi allievi di evitare?
L’errore più grave l’ho commesso nella seconda parte di carriera. Nei primi anni ho dedicato il 100% delle mie energie al tennis, a migliorare come tennista. Ho iniziato da terraiolo puro, poi mi sono evoluto e mi trovavo molto bene sul veloce. Tutto questo è avvenuto perchè cercavo sempre la crescita e il miglioramento. Poi c’è stato un momento, intorno ai 27 anni, in cui ho iniziato a pensare diversamente, soprattutto nelle piccole cose. Vivevo lo stesso per il tennis, ma un 10% era dedicato ad altro. Non sono stato capace di gestire il piccolo calo che ho avuto, non tanto di motivazione quanto di determinazione nel fare le cose. Sono davvero piccoli particolari, ma col tempo ho capito che avevo bisogno di dare tutto me stesso: non ero alto 1.90, non avevo un dritto che sfondava, non avevo un servizio che mi faceva fare due ace a game. Per far funzionare le cose, dovevo dedicare ogni mia energia in funzione del tennis. Quando ho iniziato a dedicarne il 90%, non è più bastato.
A 43 anni, c’è una qualità che le manca e che vorrebbe avere?
Ho capito che non devo mai smettere di lavorare per migliorare. Ho capito che per lavorare con questi ragazzi devo fare un’analisi profonda di quello che succede, di come ci si può allenare e di come posso comunicare al meglio. Credo che trovare la giusta comunicazione sia quel che paga di più. Ci sono stati degli anni in cui mi sono un po’ fossilizzato, credevo che tutto quello che avevo acquisito fosse sufficiente. Invece adesso mi accorgo che non basta: c’è sempre da imparare e da migliorare. Da un paio d’anni vivo in funzione di questo obiettivo, in pratica da quando ho “fallito” con Simone Bolelli.
Gli ultimi exploit di Fabio Fognini hanno riacceso il dibattito sui più forti italiani di sempre. Lei che visione ha? E come colloca Renzo Furlan?
Preferirei non giudicare me stesso. Tra gli altri, credo che chi abbia fatto la differenza nel tennis in Italia sia stato Adriano Panatta. Con lui è arrivato un tennis di potenza, classe e carisma. Per questo lo reputo il più forte di tutti i tempi. Non posso giudicare Nicola Pietrangeli perchè era troppo lontano nel tempo e l’ho visto davvero poco. E poi credo che ci sia un giocatore che ha dato meno di quello che poteva. Aveva un tennis straordinario, come ne ho visti pochi in giro. Il suo nome? Omar Camporese.
Chiudiamo parlando della FIT. Lei ha vissuto da giocatore l’epoca di Paolo Galgani e da tecnico quella di Angelo Binaghi. E’ possibile tracciare un paragone tra le due presidenze, sul piano tecnico, umano e organizzativo?
Sono due persone completamente diverse. Credo che all’epoca di Galgani la FIT non funzionasse male. Valuterei positivamente l’operato di Galgani, anche perchè è una persona estremamente simpatica, gioviale e di grande umorismo. E credo che le persone dotate di grande umorismo siano estremamente intelligenti. Angelo Binaghi, dopo un avvio molto difficile, sta facendo enormi sforzi per dare tanto al settore tecnico. Parlo della collaborazione con Riccardo Piatti, quella attuale con Eduardo Infantino…oggi la FIT sta cercando di collaborare con tantissimi tecnici ed ex giocatori. Credo che stia cercando di fare il meglio per questi ragazzi. Inoltre ha trasformato il centro tecnico di Tirrenia. Quando siamo partiti, avevamo appena due campi, mentre adesso ce ne sono dieci, la palestra e tutto ciò che serve. Credo che sia la migliore struttura in Italia. Di questo bisogna dare merito al presidente, che si è impegnato per offrirci una struttura di qualità.
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