Quel barcone si chiamava Tucuman. L’anno era il 1948. Dopo i disastri della Seconda Guerra Mondiale, molti cittadini croati dovettero abbandonare il loro paese, per svariate ragioni. La vicenda che raccontiamo ha per protagonista un signore che oggi ha 87 anni. Si chiama Branko Orsanic ed era figlio di un diplomatico croato. Durante la Guerra, i croati avevano scelto di allearsi con l’Asse Roma-Berlino e sì, pure loro si macchiarono di atroci crimini di guerra. Cessate le ostilità, fu un risveglio durissimo per chi aveva militato, o anche soltanto appoggiato gli Ustascia. Non sappiamo che ruolo abbia avuto il papà di Branko, ma sappiamo che gli Orsanic sfuggirono al Massacro di Bleiburg e che, appena sbarcati in Argentina, si premurarono di cambiare cognome. Ancora oggi, da qualche parte, figura “Orlovich”. La fuga non fu semplice: prima Austria, poi Italia, infine Sud America. E’ lì che Branko ha vissuto col doppio cognome, ha messo su famiglia ed è diventato un buon maestro di tennis. Ha messo al mondo tre figli, tra cui Daniel. L’uomo che ha riportato l’Argentina in finale di Coppa Davis, la quinta della sua storia, forse la più bella. Già, perché è arrivata con la squadra più debole di tutte. Hanno il solo Juan Martin Del Potro come giocatore di classe mondiale, ma quest’anno era in convalescenza. Con il suo duro lavoro diplomatico (avrà forse preso dal nonno?), Orsanic ha rimesso insieme i pezzi del team e li ha fatti rendere al 200%. Il destino ha voluto che la finale si giocasse contro la Croazia, di nuovo indipendente dopo una quarantina d’anni di bandiere rosse, di Maresciallo Tito, di Jugoslavia. Come se non bastasse, si giocherà presso la Arena Zagreb, a Zagabria. La città dove papà Branko ha vissuto fino ai 15 anni di età (dopo essere nato a Osijek). Una vicenda incredibile, in cui si mischiano nazioni, storie, esseri umani contesi. Branko Orsanic non è mai più tornato nel paese natale e dice: “Io sono croato, ma spero che perdano questa finale”. ha detto a Sebastiàn Torok de “La Naciòn”. Non potrebbe essere altrimenti, visto che l’Argentina sarà guidata dal figlio. Da parte sua, Daniel cerca di allentare la tensione e significati extra-tennis di questa strana (e inedita) finale. “Nutro grande rispetto per i croati e la loro comunità nel nostro paese, ma io mi sento argentino dalla testa ai piedi. Giocare la finale contro la Croazia non mi genera sentimenti particolari: voglio dire, affronto ogni avversario allo stesso modo. Certo, è un po’ scioccante…”.
Daniel Orsanic con papà Branko (foto María Eugenia Cerutti/AFV)
RADUNO IL 14 NOVEMBRE
Non potrebbe essere altrimenti: sarà il weekend più importante della sua vita tennistica, lui che non è mai entrato tra i top-100 in singolare ed è stato al massimo n. 24 ATP in doppio (e semifinalista al Roland Garros). Però è diventato un ottimo coach, al punto da convincere l’Asociacion Argentina de Tenis a dargli le chiavi del tennis nazionale. Prima come direttore dello “sviluppo”, come lo chiamano loro, in cui svolge la funzione di direttore tecnico. E’ un grande lavoratore, sempre a bordo campo, non vuole perdersi i potenziali “crack” del tennis argentino. Un paio d’anni fa gli hanno affidato anche la panchina di Coppa Davis, ruolo delicatissimo in un paese dove l’attenzione mediatica è enorme. Orsanic ha provato a non cambiare la sua vita e in parte c’è riuscito, “anche se adesso c’è molto più interesse attorno a me. Però mi fa piacere essere identificato col lavoro”. La prossima settimana si recherà a Stoccolma insieme a Juan Martin Del Potro, dopodiché si sposterà a Basilea per seguire i potenziali convocati per Zagabria: oltre a Palito ci saranno Guido Pella (“tra i nostri, è quello con la migliore risposta al servizio”), Federico Delbonis e Juan Monaco (“anche se è in dubbio perché ha un problema fisico”). In questi giorni sta seguendo il Challenger di Buenos Aires, dove è impegnato Leonardo Mayer, uno degli eroi di Glasgow. Più in generale, cerca di monitorare tutto. “In effetti ho molto, molto lavoro”. La Missione-Croazia è già partita, ma l’inizio ufficiale è previsto il 14 novembre, quando gli argentini si raduneranno a Buenos Aires. Venerdì 18 novembre si sposteranno a Zagabria, passando da Londra, e prepareranno sul posto una finale in cui partono leggermente sfavoriti. Per Orsanic sarà la prima volta a Zagabria: non conosce i luoghi d’infanzia di papà Branko. “Al massimo sono stato a Umago, poi a Lubiana, che però è in Slovenia. Da coach sono stato in Bosnia”. Come a dire che per mettere piede in quella città ci voleva un evento speciale, forse irripetibile.
“LA SUPERFICIE DEVE ESSERE REGOLARE”
Al di là delle questioni intime, che non ama mostrare agli estranei, “Orsa” ha una preoccupazione: la velocità della superficie. I croati appronteranno in campo veloce, velocissimo, per favorire le qualità di Marin Cilic e Ivo Karlovic. Va bene, ma entro i regolamenti. Più di una volta, l’Argentina ha avuto problemi con la velocità delle superfici in alcune trasferte europee. Nel 2004 a Minsk, nel 2005 a Bratislava, nel 2009 a Ostrava….e quest’anno a Gdansk, contro la Polonia. I polacchi hanno esagerato, presentando un campo più veloce del consentito. Le proteste sono servite a poco, giacché l’ITF ha autorizzato ugualmente la serie pur sapendo che la superficie non era regolare. Lui lo sapeva, ma non l’ha detto ai suoi giocatori per non condizionarli. Ma stavolta deve essere diverso. “Vorrei che l’ITF abbia la possibilità di testare il campo con il dovuto anticipo, crediamo di avere il diritto di giocare su un campo regolamentare – dice Orsanic – è la cosa più logica. Non ci serve a nulla che diano una multa alla squadra ospitante, come accaduto in Polonia. L’ITF deve fare la sua parte e permettere che si giochi in condizioni adeguate. Prendano tutte le misure che vogliono, ma si deve giocare su un campo regolare”. Su questo punto non transige. Sa che la pericolosità delle bombe di Cilic e Karlovic sarà direttamente proporzionale alla velocità delle superficie. Per il resto, è convinto che l’Argentina si presenterà nelle migliori condizioni possibili, sia tecniche che umane. “I nostri giocatori hanno personalità diverse e mi sta bene – continua – ma mi piace trovare un terreno comune, dove tutti vadano d’accordo. Hanno capito le mie intenzioni e si sono trovati bene: l’ottimo rendimento in campo nasce così”. Le idee sono chiare anche pensando al team croato: “Karlovic e Coric sono molto diversi tra loro. Non so esattamente in cosa consistesse l’operazione di Coric e non so se ci sarà, ma Karlovic non dà ritmo ed è molto pericoloso. In prospettiva Coric è più forte, ma in questo momento Ivo è più insidioso. Noi dobbiamo arrivare preparati al meglio”. Dovessero vincere, potrebbe anche tollerare che qualche croato lo chiami “Orlovich”, come ogni tanto gli è capitato da ragazzo, nei tornei giovanili. Il sogno Davis vale più di un cognome fittizio.
Fuga e ritorno a Zagabria. Ma non in nave.
LA STORIA – L’incredibile vicenda di Daniel Orsanic: guiderà l’Argentina nella finale di Coppa Davis in Croazia, il paese del padre….che ha vissuto proprio a Zagabria. Scapparono in Argentina dopo la guerra, con un viaggio in nave di 18 giorni. Ma “Orsa” non può pensarci: “Spero soltanto che si giochi su un campo regolamentare”.