Un articolo di Sports Illustrated si schiera nettamente a favore delle sorelle Williams sul loro boicottaggio a Indian Wells. Ma siamo sicuri che fosse tutto riconducibile al razzismo?
Venus e Richard Williams prendono posto in tribuna prima della finale di Indian Wells 2001
Di Riccardo Bisti – 11 febbrao 2014
E’ di pochi giorni fa la notizia dell’ennesimo forfait di Serena Williams dal torneo WTA di Indian Wells. La vicenda si ripete da ormai 13 anni. “Dopo un’attenta valutazione, ho deciso di non giocare il BNP Paribas Open. Auguro il meglio al torneo” ha detto tramite un comunicato. A quanto pare, ci sarebbe stato un avvicinamento tra le parti che però non si è concretizzato. A seguito dell’ennesimo “no”, Sports Illustrates ha riproposto un interessante articolo di Elizabeth Newman, giornalista di colore che non si occupa specificatamente di tennis. L’articolo prende le parti delle sorelle Williams e supporta al 100% la loro scelta. Alcune considerazioni sono condivisibili, altre meno. Ricapitoliamo brevemente quanto accaduto nel 2001. Serena e Venus Williams avrebbero dovuto affrontarsi in semifinale, ma pochi minuti prima fu annunciato il forfait di Venus per un problema al ginocchio. Il pubblico la prese malissimo, e consumò la sua vendetta nel giorno della finale tra Serena e Kim Clijsters. Non solo si schierò compatto a favore della belga, ma fischiò sonoramente Serena, nonché Venus e papà Richard in tribuna. Per un paio d’ore, uno stadio con 15.000 spettatori fischiò l’americana, tramutando i fischi in timidi applausi soltanto dopo la vittoria. Ma al momento di alzare il trofeo, i fischi divennero ancora più sonori. Sull’episodio ci sono versioni fortemente discordanti. Secondo gli organizzatori, Venus avrebbe annunciato il forfait 4 minuti prima di scendere in campo. Lei sostiene di aver avvisato lo staff del torneo dopo il quarto di finale contro Elena Dementieva.
L’articolo della Newman si schiera a favore delle Williams, mettendo insieme una serie di indizi che farebbero propendere verso la loro tesi. Ha riportato alcuni passaggi della conferenza stampa di Elena Dementieva dopo la partita con Venus: “Abbiamo entrambe giocato male, non mi aspettavo che Venus fosse così pessima. Sembrava infortunata o qualcosa del genere. Sono scesa in campo pensando che colpisse molto forte, invece non lo ha fatto”. Sono poi riportati alcuni estratti dell’autobiografia di Serena Williams, “On the Line”, pubblicata nel 2009. Il libro riporta che Venus avrebbe avvisato a lungo il trainer che il suo ginocchio non era a posto e che probabilmente non avrebbe giocato. “Non capisco perché non facciano alcun annuncio, ho detto loro che non avrei potuto giocare almeno due ore fa” avrebbe detto Venus. L’opinione della Newman, poi, si sposta su un ambito sociale. A suo dire, quello che potrebbe essere rancore è soltanto coerenza. “Secondo molti editoriali, Venus e Serena dovrebbero mettere da parte il rancore e tornare per il bene dello sport. Chi ha scritto queste cose, probabilmente, è un bianco che non ha mai sperimentato la discriminazione. Da donna nera, ho sempre fatto fatica a trovare le parole giuste per descrivere l’effetto del razzismo sulla psiche. Come puoi descrivere quado sei spogliato della tua dignità e non sei nulla, solo perché la tua pelle ha una tonalità più scura?”. Per questa ragione, la Newman è fiera della scelta delle sorelle di non tornare nella città dove le hanno ridotte in lacrime, a maggior ragione in uno sport come il tennis, dove vige un certo galateo e il comportamento degli spettatori è tenuto sotto controllo. Persino uno starnuto può causare il richiamo di un arbitro, come peraltro scritto proprio da Sports Illustrated nella famosa inchiesta “Is Tennis Dying?” di 20 anni fa.
L’autrice cita con orgoglio un altro passaggio dell’autobiografia di Serena: “Ancora oggi, dopo tanti anni, continuiamo a non giocare questo torneo. La WTA lo ha fatto diventare una tappa obbligatoria, quindi se non lo giochi puoi essere multata. Ma non mi importa, possono anche darmi una multa da un milione di dollari e io continuerò a non andarci”. L’intervento della Newman prosegue con un rimprovero agli organizzatori e alle autorità del tennis americano. Secondo lei, se fossero arrivate scuse sincere sia da Indian Wells che dalla USTA, le Williams sarebbero state più propense a tornare. “Negli ultimi anni, Charlie Pasarell e il suo staff hanno provato a farsi avanti, ma non si può chiedere scusa in modo tardivo. All’epoca, per salvare la situazione, Pasarell non si comportò bene. Disse queste parole: ‘Se Richard Williams ha detto che gli hanno urlato qualcosa, probabilmente è vero. Ma io so che non era gente di Indian Wells’”. La Newman, evidentemente, non è convinta. In effetti, pare che alcuni spettatori di colore presenti all’incontro abbiano addirittura temuto per la propria incolumità. Lo riporta anche un vecchio articolo del Los Angeles Times.
L’articolo è interessante ma dimentica alcuni punti. In particolare, è innegabile che il torneo abbia avuto un grosso danno con il mancato svolgimento di una semifinale. Volendo credere alla versione dei Williams (cioè che avessero avvisato prima, ma senza dare certezze), è normale che abbiano aspettato fino all’ultimo, nella speranza che Venus scendesse in campo. Il pubblico, ovviamente, ci è rimasto malissimo. E’ normale che si sia lamentato dopo aver pagato il biglietto d’ingresso e che se la sia presa con i Williams. I fischi sono sempre sbagliati, ma francamente non crediamo che la vicenda abbia chissà quali contorni razzisti, anche se Indian Wells è un luogo di residenza dove tanti anziani (bianchi) vanno a svernare. Probabilmente è vero che i contestatori non fossero di Indian Wells, ma la gravità dei fischi è esattamente la stessa. Grave, ma senza contorni razzisti. Per intenderci, proviamo a immaginare due Williams russe, bianche e bionde. Ci fosse stato un episodio del genere, probabilmente la reazione sarebbe stata la stessa. In fondo, il pubblico americano ha fischiato senza pietà altre leggende come John McEnroe, Jimmy Connors e Andre Agassi. Naturalmente siamo contrari al razzismo. E’ una delle espressioni di odio più aberranti, ma non sempre deve essere additato come motivazione se c’è di mezzo qualcuno di colore. Probabilmente, l'eccessiva reazione del pubblico era dovuta a vicende tecniche e all’impossibilità di seguire un match. Il fenomeno del razzismo non deve essere banalizzato. Su un altro punto, la Newman ha ragione: è giusto che le Williams continuino nella loro scelta. Se ritengono di aver subito un’ingiustizia, un eventuale ritorno a Indian Wells sarebbe come banalizzare il problema, una specie di “in fondo non era così importante”. “Spesso si accusano gli atleti di non prendere mai posizione, e non fare nulla in termini di politica e giustizia sociale. Invece loro lo hanno fatto e hanno avuto la forza di dire ‘no, grazie’. In fondo, in tutta questa storia c’è una sola certezza. Magari hanno vacillato, ma tengono duro: Serena e Venus Williams non giocheranno mai più a Indian Wells. Si può essere d’accordo o meno, ma la loro scelta va rispettata. E chissà come l'avrebbe presa Elizabeth Newman se Serena avesse dato concretezza all'idea di tornare….
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