Senza connazionali alla seconda settimana del Roland Garros, la federazione francese si affida al progetto Ambition 2024 per cercare di ben figurare alle prossime Olimpiadi. Ma un nome di prestigio di Ivan Ljubicic può bastare?

Uff….la solita solfa! Non se ne può più. Non ci fosse la data sembrerebbero riflessioni di trenta, quaranta se non cinquant’anni fa! Il solito “al lupo, al lupo” di un paese a corto di campioni che prende un ex di grido, ne fa un’icona e gli appioppa addosso uno slogan ad effetto. In mezzo secolo d’insegnamento, di ricostruzioni miracolose ne ho sentite a iosa, molte rinchiuse in acronimi che sembravano avere in corpo chissà cosa e che all’atto pratico hanno finito con partorire il solito topolino.

Ora è la volta della Francia che, non vedendo connazionali approdare alla seconda settimana del loro prestigioso torneo, gridano alla crisi sbandierando soluzioni fuori dal tempo spacciate per innovative con grande ottimismo. Cosicché, non contenti degli undici giocatori tra i primi cento al mondo, buttano sul tavolo ‘Ambition 2024‘, progetto che avrebbe come primo obiettivo quello di ben figurare alle Olimpiadi parigine del prossimo anno.
Figura essenziale, chiamata a fare da parafulmine, nel caso specifico risponde al nome di Ivan Ljubicic, ex top ten, già coach di Roger Federer dunque unto di un certo non so che. Confesso di aver sempre guardato al modello francese come al migliore del mondo in termini didattici e organizzativi. Con la sua rete di centri dipartimentali, regionali e nazionali compresi in un sistema piramidale, la Francia ha sempre selezionato giocatori in quantità sufficiente da primeggiare spesso nelle graduatorie giovanili e di occupare posizioni di rilievo in quelle professionistiche. Così è oggi, con diversi ragazzi nel ranking juniores e tre teenager come Fils, Van Assche e Debru in procinto di fare il salto. Dunque cosa c’è di nuovo? Nulla, se non la smania di gettare fumo agli occhi in un momento di forte emotività confuso per una semplice transizione in atto.

Per carità, in casa propria ognuno fa quel che crede e fin qui non ci piove! Essendo, tuttavia, la questione d’oltralpe la fotocopia sputata di molti altri paesi, compreso il nostro, voglio dire che un buon progetto si regge sulla qualità della metodologia adottata e non sulle pillole di campionismo spicciolo elargite da ex giocatori ricchi di risultati ma all’oscuro di conoscenze didattiche. Quanto a quell’ultimo miglio foriero di punte, va detto che è frutto di dinamiche extraprogettuali, di procedure personalizzate che vedono coinvolte figure più semplici del grande nome. Potrei parlare di Tartarini piuttosto che di Sartori, di Piatti, Arbino, Vagnozzi e altri ancora, tecnici che, pur privi di un luminoso passato, sfornano giocatori competitivi senza spacciarsi per supercoach depositari del verbo.