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Per incollare la gente alla tv serve il campione, il fenomeno che vince gli Slam, ma per essere la miglior nazione del mondo può bastare una base solida, che produce giocatori in continuazione. “Non abbiamo un top-5 – ha detto capitan Noah – ma otto-nove giocatori di altissimo livello, e questa è stata la nostra forza. Rispetto ad altre nazioni che puntano su uno o due nomi”. Ha ragione, e la finale l’ha messo a nudo alla perfezione. Da una parte c’era il solo Goffin, il giocatore più forte del week-end, che a suon di miracoli ha regalato al suo paese due finali in tre anni, e ha vinto entrambi i suoi punti. Dall’altra una panchina lunghissima, che ha addirittura dato al capitano francese la possibilità di inventarsi un doppio tutto nuovo, e alla fine ha avuto giustamente la meglio. Noah si è trovato talmente tante soluzioni da potersi permettere di rinunciare per tutto l’anno ad Adrian Mannarino, Benoit Paire e Gael Monfils, al momento rispettivamente numero tre, cinque e sei di Francia. Ma il merito è anche suo, e della scelta dell’ex presidente della FFT Jean Gachassin di richiamarlo alla guida della nazionale. Dopo la “cacciata” di Arnaud Clement, per rimettere ordine a un ambiente schiavo di pressioni e screzi interni serviva un uomo dalla grande personalità, così hanno scelto quello che di personalità ne ha più di tutti, l’unico “intoccabile”, l’ultimo a vincere un torneo del Grande Slam. E pazienza se aveva lasciato il tennis quasi a tempo pieno. L’hanno convinto e lui ha impiegato poco a mettere tutti in riga. Ha fatto sentire tutti importanti (e nessuno sicuro del posto), ha convinto Tsonga a tornare sui suoi passi e dare una mano alla nazionale, e ha creato quel clima all’interno dello spogliatoio che in una nazionale può ancora fare la differenza.
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Oltre al record di otto giocatori diversi in campo, c’è un altro dato che dà ancora più valore alla vittoria della Francia: in quattro match Noah non ha schierato nemmeno un top-10. Qualcosa che era già successo lo scorso anno all’Argentina di Daniel Orsanic, anche se i sudamericani potevano contare su un Del Potro che del top-10 ha tutto, e l’aveva dimostrato sul campo battendo Murray in semifinale e Cilic in finale. Al momento, invece, né Tsonga né Pouille (e gli altri a ruota) valgono i primi dieci del mondo, ma tutti insieme formano la squadra più forte. Un risultato che conferma anche l’inversione di tendenza della Coppa Davis, diventata molto più aperta da quando i big l’hanno conquistata uno dopo l’altro, colmando il buco nel palmarés e decidendo di farsi da parte. Infatti, prima del biennio 2016-2017, non capitava addirittura dal 1996 che una squadra conquistasse l’Insalatiera senza schierare nel suo cammino nemmeno uno dei primi dieci giocatori del mondo. Chi ci riuscì? Sempre la Francia, che giocò tutto l’anno con Pioline, Forget, Boetsch e Raoux, e andò a vincere una palpitante finale a Malmo contro la Svezia, chiusa da Boetsch per 10/8 al quinto set del singolare decisivo contro Kulti. Il fatto che non fosse successo per 18 anni, e poi è capitato per due anni di fila, la dice lunga sul futuro della Davis. Non sarà più così ambita dai campioni, ma magari inizierà a rispecchiare di più i valori delle varie nazioni. Stavolta l’ha fatto alla perfezione.
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