WIMBLEDON – Il Campo 1 esalta la Schiavone, ma non fino a battere una Ivanovic in gran forma. Eppure Francesca non molla. Ok Giorgi (qualche rischio nel secondo set), KO Roberta Vinci.
Di Alessandro Mastroluca – 25 giugno 2014
Ci sono vittorie che lasciano dubbi e sconfitte che concedono certezze. A Francesca Schiavone, che solo due volte ha visto la seconda settimana a Wimbledon, in pochi avrebbero osato chiedere di battere Ana Ivanovic. Molti, però, le avrebbero chiesto di squadernare il suo tennis migliore sul Campo 1. E lei ha eseguito. Entrata in campo dopo Genie Bouchard, ha ritrovato per un set quel tennis vario, brillante, imprevedibile, tatticamente evoluto, che qualche settimana fa le aveva consentito di dare una lezione di esperienza e strategia alla canadese. “Lei è più abituata di me a giocare i punti importanti e questo ha fatto la differenza, è stata più aggressiva – ha detto Francesca – sono contenta di come ho giocato, adesso voglio proprio godermi queste partite, quando gioco con avversarie come Ana, la mia velocità deve crescere, devo alzare il livello, altrimenti rischio di perdere male. Forse ho messo troppe poche prime, per un match sull’erba”. Però Ivanovic, dopo il brivido della rimonta da 1-4 al tiebreak, ha giocato meglio i punti importanti nel secondo set e adesso è favorita per un posto nei quarti. Non può certo essere Jie Zheng, prossima avversaria, l'ostacolo più insidioso. La nobilitate dell'ex numero 1 del mondo si parrà contro la finalista dell'anno scorso, Sabine Lisicki, che ha avuto l'onore di aprire il Centrale in luogo di Marion Bartoli, comunque presente sugli spalti e “beccata” mentre cercava di flirtare nel Royal Box con Hugh Jackman in versione pirata (sarà Barbanera nel film che sta girando) con tanto di testa rasata e lungo pizzetto. La serba domina un ottavo di finale aperto dall'eliminazione di Jelena Jankovic, dominata da una Kaia Kanepi in versione 2010, quando arrivò ai quarti di finale e mancò 5 matchpoint contro Petra Kvitova, e in un potenziale quarto con Halep o Suarez Navarro. Arrivare in semifinale, dunque, dipende solo da lei.
SCHIAVONE, IL SOGNO DURA UN SET
Il break di Francesca al primo game è una dichiarazione d'ingaggio. Ana però rilancia, e l'immediato controbreak riporta subito il parziale in linea con i servizi. Schiavone ha preparato bene il derby delle ex regine di Parigi e impiega poco a trovare il punto debole della serba che fa fatica quando deve cercare la palla in avanzamento, soprattutto se la traiettoria disegnata dall'azzurra è centrale, con poco angolo, e si alza poco dall'erba ancora verde, ma già tendente al marrone “terba” verso la riga di fondo. Funziona, e bene, anche lo slice da destra della milanese che si assicura almeno il tiebreak (6-5) mentre Ivanovic imita in un certo senso Federer e sbaglia 3 chiamate su 3 del Falco: per la serie, “this thing is killing me”. Come nel primo game, Francesca vince il primo punto del tie-break in risposta. Stavolta però difende il minibreak con la combinazione vincente servizio-dritto e una velenosa palla corta che pesca Ivanovic in contropiede. Peccato che dal 4-1 il momento inerziale si sposti verso la serba: il cambio di paradigma è nel doppio fallo che porta al 2-4. Schiavone perde anche il secondo minibreak di vantaggio, si fa sorprendere dall'attacco sul rovescio e non controlla il lob, riesce a salvare un set point ma non a evitare l'8-6. Ivanovic, che non ha rinunciato al suo tennis pesante ma poco vario, ha tenuto meglio i suoi turni di battuta e massimizzato il 38% di punti con la seconda di Francesca. La risposta vincente che le vale il break del 3-2 nel secondo set è il manifesto, la summa di questo secondo tempo della partita. Alla fine, Ana ha vinto con merito, perché ha saputo prendere l'iniziativa, ha chiuso con 10 vincenti (24 a 14) e 5 errori (25 a 20) in più e con percentuali più alte nella resa al servizio. Ha vinto anche grazie a un pizzico di buona sorte, che ha fermato il dritto in allungo dell'azzurra e le ha tolto il potenziale controbreak del 4-4 per questione di centimetri. Ma in conferenza stampa Francesca non ci dà troppo peso, segno che anche lei non si era data ambizioni e aspettative troppo alte e che forse per questo è riuscita a giocare un tennis arioso, libero.
CICHIS OUT, GIORGI VA
Nel giorno del naufragio italiano sull'erba di Natal, sui prati inglesi restano in due a far sventolare i tricolori, Bolelli e Camila Giorgi, che si complica un po' la vita ma completa il 6-1 7-6 sulla rumena Cadantu prima che cali l'oscurità sull'All England Club. Bravissima l'azzurra, entrata per la prima volta in top-40, a salvare due set point con due vincenti sul 2-5 nel secondo set e a rimontare da sotto 2-4 al tiebreak, chiuso 7-5. Ora affronterà Alison Riske, la 23enne di Pittsburgh che fino all'anno scorso aveva vinto a livello WTA solo…a Birmingham! Era numero 185 del mondo quando ha debuttato nel 2010: passando dalle qualificazioni, ha sconfitto tre top-100 (Zahlavova, Wozniak e Wickmayer) prima di perdere in tre set da Maria Sharapova in semifinale. Nel 2011 ha raggiunto i quarti, perdendo da Hantuchova, che l'ha sconfitta anche nel 2013 in semifinale. Negli ultimi 12 mesi, però, ha trovato il modo di vincere anche fuori dalla Gran Bretagna e da Birmingham e salire al numero 40 del mondo un paio di settimane fa (ora è n.44). Giorgi ha vinto l'unico confronto diretto, non troppo indicativo per la verità, due anni fa al primo turno dell'ITF di Dothan sulla terra verde. Non è bastato invece il supporto di Sara Errani, che ha voluto comunque esserci nonostante la sconfitta con Garcia e la febbre, imbacuccata con un cappello di lana e il cappuccio della felpa, a scuotere Roberta Vinci in un terzo set fatto di rimpianti, di regali, di occasioni mancate. Donna Vekic è certo più allenata all'erba ed è inglese d’adozione (da anni infatti vive a Londra e si allena con David Felgate, il coach che ha portato ai vertici Tim Henman). Però dopo essersi trovata sotto di un set di un break e aver comunque ripreso in mano la partita portandola al terzo, l'esperienza di Roberta Vinci avrebbe dovuto emergere alla lunga distanza. E invece la tarantina ha concesso un break a zero al quinto gioco (2-3). Nemmeno recuperare immediatamente il controbreak, in un game sintetizzato dal punto del 30-40 (gran difesa col back di rovescio, aiutata dal piazzamento della croata troppo lenta a decidere se arretrare o prendere la rete), le è servito per darsi la scossa. La resa arriva nel settimo game, in cui cancella due palle break di fila ma alla terza si consegna alla sconfitta con un gratuito che più gratuito non si può, un dritto colpito a un metro dalla rete e messo largo. Il 6-4 serve solo a certificare nella forma quanto già scritto nella sostanza.
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