Fognini è al terzo turno di Wimbledon per la sesta volta, ma non è mai riuscito ad andare oltre. La sfida con Rublev non sembra l’occasione migliore per riuscirci, eppure Fabio ha vinto 5 precedenti su 7, non soffre il tennis del russo e arriverà al match con zero aspettative. La condizione ideale per stupire, e rispondere alla nuova generazione azzurra
Rublev soffre Fognini, non viceversa
Quello fra Fabio Fognini e il torneo di Wimbledon è un rapporto strano. Al ligure i Championships non piacciono e non ne ha mai fatto mistero, tanto da arrivare ad augurarsi lo scoppio di una bomba sull’intero All England Club, nel 2019 durante uno dei suoi turpiloqui in diretta tv. Eppure, negli anni ha capito che le partite vinte sull’erba pesano quanto quelle sulla terra ed è sempre riuscito a ottenere buoni risultati anche sui prati di Church Road, almeno in termini di continuità. Perché se è vero che Wimbledon è l’unico Slam dove non è mai riuscito ad arrivare alla seconda settimana, è vero anche che – dopo Parigi, of course – quello londinese è il secondo Major dove Fabio ha raggiunto più volte il terzo turno. Con quest’anno fanno sei in tutto, le ultime quattro consecutive. Si è sempre fermato lì, perdendo da favorito nelle ultime due, e a un primo impatto non sembra nemmeno questo l’anno buono, visto che il suo prossimo avversario non è sarà né Tennys Sandgren (suo giustiziere nel 2019) né Jiri Vesely (l’anno prima), bensì Andrey Rublev, numero 7 al mondo e pericolosissimo. Ma c’è qualche però.
“Rublev – ha detto Fognini dopo il successo in 4 set su Laslo Djere al secondo turno – è uno di quei giocatori che non hanno un piano B, ma è un anno e mezzo che il suo piano A funziona piuttosto bene”. Vero, ma anche se il valore di Rublev è fuori discussione perché ha già vinto tanto e vincerà ancora, la sfida non sempre proibitiva, per varie ragioni. In primis l’erba, che non è affatto la sua superficie ideale. Ci ha vinto solo una decina di partite, la gran parte quest’anno; in finale ad Halle ha mancato una discreta occasione contro Ugo Humbert e nelle sue due precedenti apparizioni a Wimbledon era sempre caduto al secondo turno, arrendendosi prima a Ramos e poi a Querrey. In più, dalla finale di Monte Carlo in avanti non ne ha azzeccate tantissime, rialzando parzialmente la testa solo dopo il Roland Garros, con la finale in Germania e le vittorie dei giorni scorsi contro Delbonis e Harris. Pure i precedenti sorridono a Fabio: si sono affrontati sette volte, e anche se nell’ultima Rublev ha lasciato all’azzurro appena tre game (a gennaio, ATP Cup), il bilancio dice 5-2 Fognini. Significa che dei due quello a soffrire il rivale non è l’italiano. “Contro Rublev – ha aggiunto l’ex n.1 d’Italia – ho sempre giocato bene. Vediamo cosa riuscirò a inventarmi questa volta”.
Non deve distrarsi: è la chiave per avere chance
Quando c’è da metterci il genio, Fognini è sempre stato fra i primi della classe. E nel suo tennis c’è molto di ciò che serve per giocare bene sull’erba. Ha grande facilità di esecuzione, è rapido di gambe, muove bene la palla con lo slice di rovescio, ha mano, fantasia e sa fare buon uso della palla corta. E allora perché non è mai andato oltre il terzo turno? Perché raccoglie troppo poco col servizio, il che lo costringe a giocare più punti degli avversari, e anche per colpa dei soli maledetti blackout dal punto di vista mentale. Sulla terra ha spesso tempo e spazio per trovare una soluzione, mentre sui prati diventa molto più difficile. La sintesi del concetto l’ha offerta Matteo Berrettini, nella sua conferenza stampa di mercoledì. “L’erba – ha detto – è una superficie che non perdona: ti distrai due punti e puoi perdere un set”. Pertanto, visto che tecnicamente e atleticamente Fabio ha poco da invidiare a Rublev, le sue chance di vittoria passeranno soprattutto dalla testa e dalla capacità di restare in partita dall’inizio alla fine, anche quando il russo gli scaricherà addosso un uragano di pallate e lui dovrà sudarsi ogni quindici. Succederà, ma fa parte del gioco.
Per Fognini la più grande incognita della vigilia è la condizione fisica. Dopo il match contro Djere, nel quale quando è finito sotto per 4-0 ha preferito lasciare andare il terzo set per risparmiare energie (da 2 set a 0 si può fare: l’importante è vincere la partita), l’azzurro ha detto di aver male alla caviglia e alla schiena. A 34 anni il recupero non è più il suo puntò forte, come conferma il fatto che quest’anno tre partite nello stesso torneo le abbia vinte solamente a Melbourne e Monte Carlo, ma i due giorni di riposo gli hanno sicuramente dato una mano, così come potrebbe aiutarlo l’approccio “soft” alla sfida, diverso rispetto a quello delle occasioni mancate nelle ultime due edizioni. Fra 2018 e 2019 il pubblico italiano puntava tutto su di lui, era favorito e gli ottavi di finale parevano già cosa fatta, invece perse (male) in entrambe le occasioni. Stavolta invece l’attenzione – e non solo degli italiani – è su Matteo Berrettini, che ha vinto al Queen’s e punta ad andare in fondo, così Fabio può arrivare senza pressioni, con la tranquillità di chi sa che il suo dovere l’ha già fatto, e conscio che una sconfitta con Rublev sarebbe nell’ordine delle cose. Per uno come Fognini è la condizione ideale per stupire, e completare la sua collezione di cartoline dalla seconda settimana dei Major, come riuscito solo a Berrettini nell’intera storia del tennis italiano al maschile. Sarebbe una bella risposta della vecchia guardia al nuovo che avanza.