WIMBLEDON – Kevin Anderson sembrava domato, ma a pochi game dal traguardo l’azzurro si è bloccato e ha perso nove giochi di fila. Peccato perché si poteva fare.
Di Riccardo Bisti – 27 giugno 2014
Dopo il sorteggio, molti avevano pensato che Fabio Fognini sarebbe uscito al terzo turno. Troppo deboli gli avversari ai primi round, troppo insidioso Kevin Anderson al terzo. Il sudafricano (ma ormai americano d’adozione) è ormai stabile tra i top-20, è un lavoratore incredibile e sull’erba può contare su una combinazione servizio-dritto con pochi eguali nel circuito. Ma quando Fabio ha intascato il terzo set, giocando forse il suo miglior set di sempre su erba, si pensava che la seconda settimana fosse finalmente a portata di mano. L’aveva centrata in Australia, l’aveva mancata a Parigi in un quinto set giocato a metà contro Gael Monfils. Sul Campo 17 di Wimbledon, purtroppo, è andata ancora peggio. Il quinto set, purtroppo, Fabio non l’ha proprio giocato. Merito di Anderson, certo. Ma il 6-1 con cui il sudafricano ha sigillato il successo è figlio di due occasioni d’oro sciupate in avvio di quarto set, quando la partita era fortemente indirizzata verso Fabio. Due palle break consecutive, sull’1-1, se sfruttate, avrebbero spedito Fabio agli ottavi. Non ce l'ha fatta e ha sbagliato atteggiamento quando c’era da lottare, riprendendo quegli atteggiamenti che fanno male soprattutto a lui. Niente di clamoroso, anzi. Però quel tanto che basta per deconcentrarsi e dare forza ad Anderson, che ha elevato a dismisura la percentuale di prime palle e non ha più sbagliato nello scambio da fondocampo. Nei primi tre set, ogni volta che si superavano le 5-6 pallate, Fognini vinceva il punto. Dal 2-1 del quarto è cambiato tutto. Il cortocircuito di Fognini spiega il punteggio finale, specchio fedele degli alti e bassi vissuti in oltre tre ore di tennis. E’ finita 4-6 6-4 2-6 6-2 6-1 ed è giusto così, nel senso che Anderson ha meritato la vittoria anche se ha fatto il furbo sul 5-4 nel secondo: prima che Fognini andasse a servire per rimanere nel set ha chiesto il MTO per un problema alla schiena. Magari stava male davvero, ma il momento era delicato. E Fognini è caduto nel tranello, commettendo tre doppi falli che gli sono costati il set.
BLACK OUT DI NOVE GAME
Fognini ha reagito alla grande, prendendosi il terzo set d’autorità per la gioia del suo clan e del presidente FIT Angelo Binaghi, appollaiato dietro la panchina di Fabio e – di conseguenza – inquadrato spesso dalla BBC. C’erano anche Josè Perlas, il preparatore atletico Marc Boada e Corrado Barazzutti, seduto alle spalle del clan sudafricano, guidato da coach Neville Godwin (pure lui vanta un ottavo a Wimbledon) e la splendida moglie Kelsey O’Neal. Persino la gente sulle tribune del Campo 16 si voltava per vedere che succedeva tra Fognini e Anderson. L’azzurro è ormai entrato nell’immaginario popolare e i suoi match sono molto ambiti. Forse avrebbe meritato un campo più importante, almeno il 18 al posto di Mayer-Kuznetsov. Il problema è che Fognini è piombato in una crisi durata nove game, quei nove game che anno spinto Anderson sul 5-0 al quinto. E’ un peccato che sia scivolata così, come acqua tra le dita, perché Fabio ha 27 anni e non è detto che certi treni passino a ogni Slam. Resta una buona prestazione e la consapevolezza di essersi stabilito come immediato rincalzo ai migliori. Il problema è che Fabio non è nato per fare il rincalzo. Si sapeva che l’ultimo salto di qualità sarebbe stato il più difficile, ma per ora non è arrivato. Adesso c’è il trittico rosso con tanti punti da difendere (900 tra Stoccarda, Amburgo e Umago), poi sarà il cemento americano – al di là della classifica che magari scenderà – a dire se il ligure è pronto per dare l’assalto a ‘sti benedetti top-10 e magari a scippare un punto agli svizzeri nell’inferno rossocrociato di Ginevra. Per ora, ci tocca dirlo, è rimandato.
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