Fabio avrebbe potuto eguagliare le 41 vittorie di Panatta nel 1976, ma crolla dopo aver vinto il primo set contro Robin Haase. L’olandese adora l’Austria, ma non è un alibi sufficiente. 
Un paio di volèe dorsali, simili a quelle di Panatta, avevano dato il primo set a Fognini

Di Riccardo Bisti – 18 ottobre 2013

 
Paragonare Fabio Fognini ad Adriano Panatta è un eccesso tennistico, ma per qualche minuto la fantasia è volata in alto. Come abbiamo raccontato ieri, Fabio ha toccato le 40 partite vinte in stagione. In caso di vittoria contro Robin Haase, avrebbe raggiunto i 41 successi colti da Panatta nel suo magico 1976, quando si aggiudicò Roma, Roland Garros e Coppa Davis. La fantasia è volata durante il tie-break del primo set, quando Fognini ha giocato un paio di “veroniche”, la mitica volèe dorsale che ha reso famoso Panatta. La prima è arrivata sul 3-2 e gli ha consentito di recuperare un mini-break, mentre la seconda lo ha issato a setpoint. Quando Fabio ha incamerato il primo set con un maestoso passante di rovescio, stretto, giocato da posizione impossibile, abbiamo avuto l’illusione che la 41esima vittoria stagionale sarebbe arrivata proprio nel segno di Panatta. D’altra parte, Adriano diceva sempre. “Sanno tutti che la metterò lì, ma sanno anche che non ci arriveranno”. Ma Fognini non è Panatta, e il sogno si è rapidamente estinto. Intendiamoci: perdere contro Robin Haase non è un disonore, ma nel secondo e nel terzo set si è visto un brutto Fognini. Non lo si può neanche rimproverare di aver avuto un brutto atteggiamento (l’unico gesto fuori dalle righe è giunto quando ha subito il primo break nel terzo set, ed ha scagliato una pallina in cima alla stilosa Stadthalle). Dopo un primo set giocato con attenzione, Fognini si è sgretolato mentalmente contro un avversario che non ha mollato di un centimetro. Mentre Haase ha continuato a giocare, Fabio si è distratto e in un batter d’occhio ha perso il secondo set.
 
Il calo mentale ci poteva stare, ma era legittimo aspettarsi una reazione nel terzo. Qualcosa c’era, ma ma la mente del ligure era sempre più fuori dal match. Sull’1-1, Fabio rimontava da 0-40 ma la quarta palla break gli era fatale. Un dritto in avanzamento baciava la rete e restava nel suo campo, scatenando il suo nervosismo. Fognini diventava inconsistente nei turni di risposta e subiva un altro break, sul 3-1, non prima di aver sciupato una palla per restare almeno in partita. Non c’era più nulla da fare, ed Haase poteva firmare il 6-7 6-1 6-1 finale. Il tulipano si trova benissimo in Austria: in questo paese ha colto i suoi unici titoli ATP, sulle montagne di Kitzbuhel nel 2011 e nel 2012. Adesso vuole ripetersi a Vienna, anche se in semifinale avrà probabilmente Jo Wilfried Tsonga. Dopo una vita trascorsa in Olanda, ha deciso di cambiare e adesso è seguito dall’ex pro spagnolo Marcos Aurelio Gorriz. Professionista dal 2005, Haase si è bloccato qualche anno fa a causa di un grave infortunio a un ginocchio, tanto da dover ripartire daccapo. Ricominciò a giocare nella nostra Serie A1, indossando la casacca della Società Canottieri Casale. Si è costruito una buonissima carriera, che diventa ottima quando si gioca in Austria. Per lui, che parla un ottimo tedesco, è una specie di seconda casa. Nel secondo e nel terzo set ha servito molto bene, concedendo le briciole a Fognini e stritolandone i propositi di rivalsa. Nel complesso, una vittoria meritata.
 
Difficile trovare indicazioni positive per Fognini. Viene quasi da lanciare una provocazione: il suo atteggiamento tranquillo, quasi remissivo, non ha generato alcuna reazione. Una sana arrabbiatura, senza scadere nel volgare, avrebbe potuto dargli una mano, chissà….Restano le buone sensazioni del primo set, quando è stato piuttosto incisivo anche in risposta (si è trovato 15-30 sul servizio di Haase in tre occasioni) ed ha annullato da campione l’unica palla break concessa, sul 5-5, con una perfetta combinazione servizio-dritto. Insomma, un set da sette e mezzo in pagella, culminato con le due “veroniche” di cui sopra. Ma le partite non durano un set, e l’alibi della stanchezza vale fino a un certo punto. E’ certamente vero che Fabio viene da un faticoso tour de force (cemento di Pechino, terra di Palermo, indoor di Vienna), ma non si è avuta la sensazione che fosse stanco. Si è rilassato, ha perso la concentrazione e non è più riuscito a ritrovarla. Da qui alle vacanze gli restano i tornei di Valencia e Parigi Bercy, buoni per raccogliere qualche punto e consolidare la posizione. Giocarli senza lo spirito giusto sarebbe un grosso errore.