da Parigi, Alessandro Nizegorodcew
Sono le 21.25 del 27 maggio a Parigi quando Flavia Pennetta entra nella sala conferenze numero 2 del Roland Garros e si appresta a rispondere alle domande dei giornalisti. Il volto è scuro, la delusione è ancora cocente, per una sconfitta consumatasi pochi istanti prima sul campo numero 7 (a proposito, maledetto da due anni per i colori italiani!) contro la belga Flipkens. 62 46 60 il punteggio finale con cui Flavia abbandona il torneo. Le porgo due domande sul match, cercando di essere il più “delicato” possibile. A volte bisogna capire il momento, bisogna “sentire” ciò che si può chiedere e cosa non è il caso di chiedere. Un collega mi fa notare che “ha perso ma comunque ha portato a casa quello che tu guadagni in 6 mesi, non si lamentasse”. Frase che non mi trova d’accordo. La delusione sportiva così come quella professionale (in questo caso viaggiano parallele) è una questione che va ben oltre i il mero fatto economico. Solo chi ha fatto o fa sport lo può capire, a tutti i livelli. E quando quello sport è la tua vita e il tuo lavoro, il teorema vale ancor di più. La delusione che arriva da una sconfitta, da un periodo negativo (anche perché magari pensavi che l’infortunio al polso e l’operazione fossero la parte più ardua della risalita), colpisce chiunque.
Flavia non ha giocato un brutto match, anzi. La Flipkens, come confermato anche da Francesca Schiavone in conferenza stampa, da quando si allena con Kim Clijsters sembra aver trovato la quadratura del cerchio. “La Flipkens sicuramente è una che ti fa giocar male” – spiega la “Penna” in conferenza. “Ho perso tanti game ai vantaggi, manca l’abitudine ai match.”
Anche perché Flavia non sta giocando male in questo periodo. I colpi escono bene dalle sue corde, il “suo” lungo linea di rovescio rimane un piacere per gli occhi. La costruzione del punto è buona, ma quando i giochi finiscono ai vantaggi quasi sempre finisce per perderli. E’ la desuetudine a match di questa importanza. Ma a tennis gioca bene, ed è questo che deve darle fiducia. Non è la classica giocatrice a fine carriera a cui manca voglia, che non è al top fisicamente, che sente di star perdendo le motivazioni.
Le motivazioni Flavia deve averle ben salde nella sua mente, ma non ho dubbi che sia così. La rabbia e la delusione di oggi sono il sintomo di una reazione, di una molla che non vede l’ora di poter scattare, dell’ambizione di voler tornare ancor più forte di quando in alto, e anche molto in alto, era giunta. Io in quegli occhi stasera ho visto la rabbia, la voglia, ho letto le parole: “Non sono finita e non provate nemmeno a pensarlo! Vi farò vedere io”
Io dubbi non ne ho.