In quarant’anni, appena cinque figli d'arte sono diventati top-100. Il tennis è uno sport troppo duro e selettivo per le dinastie: i padri-genitori sconsigliano la carriera agli eredi.
Kim Clijsters ha detto che non allenerebbe mai la figlia Jada
Di Riccardo Bisti – 13 dicembre 2013
Edouard Roger Vasselin è un ottimo giocatore francese. E' dotato un tennis piuttosto elegante e quest'anno è entrato per la prima volta tra i top-50 ATP. A 30 anni, forse non dovrà più chiedere aiuto a papà Cristophe per pagarsi il mutuo della casa a Parigi. Già, il padre. Roger Vasselin è uno dei pochissimi casi di figlio d'arte tennistico. Cristophe Roger Vasselin è noto per aver raggiunto la semifinale al Roland Garros 1983, quando battè Jimmy Connors prima di perdere da Yannick Noah. Il tennis ha tante dinastie di fratelli, ma c’è una curiosa assenza di “figli di papà”. Quest’anno, Roger Vasselin era l’unico top-100 ad aver avuto un genitore pure lui classificato tra i primi 100. Lo sport ha sempre avuto le sue dinastie. Il baseball ha avuto i Griffey, l’automobilismo gli Andretti, il calcio i Maldini. E tanti altri esempi. Eppure, non c’è un solo tennista che sogni di far intraprendere la carriera ai propri figli. Le possibilità di diventare ‘grandi’ sono sempre meno e diminuiscono di anno in anno a causa della globalizzazione. Oggi il tennis richiede sempre più allenamenti, forza e pazienza. La competizione è sempre più dura e mette a dura prova i neuroni degli atleti. Nel suo “Open”, Andre Agassi ha definito il tennis “lo sport solitario”. Rispetto ad altri sport individuali, ha una peculiarità importante: si combatte con l’avversario e non con un cronometro o la valutazione di un giudice. Vedere il proprio destino soggetto alla volontà di un avversario è frustrante.
Basta frequentare un qualsiasi torneo giovanile per assistere a eccessi verbali e gestuali. I gesti di disperazione e le racchette per aria sono all’ordine del giorno. Migliaia di ragazzi giocano molto bene. Ma le statistiche dicono che pochi riusciranno a sfondare. Tra quelli che ce la faranno, ancora meno diventeranno ricchi. Se non entri tra i top-100, è dura raccogliere guadagni importanti. Per informazioni, chiedere a Roger Vasselin. Per dettagli, ai tennisti da future che si vendono le partite. Lindsay Davenport, ex numero 1 WTA, è madre di due figli. “Amo lo sport, vorrei che imparassero. Però ho un po’ di apprensione per i tornei giovanili. Il tennis junior è molto duro. In tanti provano a rubare, i genitori perdono il controllo. Quando giocavo questi tornei, vidi un padre scendere in campo e dare un ceffone alla figlia, proprio davanti a me”. Tracy Austin è stata una delle ultime bambine-prodigio. Ha tre figli che giocano a tennis. Uno è piuttosto forte, gli altri due lo praticano per hobby “Ma sono felice che non abbiano l’ambizione di vincere lo Us Open a 16 anni. Il tennis è uno sport molto difficile. Non puoi prenderti una settimana di riposo”. C’è poi il caso di chi vuole preservare il rapporto genitore-figlio. Tra loro c’è Kim Clijsters: sua figlia Jada ha cinque anni e ha tirato i primi colpi, ma la belga ha già chiarito che non la allenerà mai. E ha applaudito la scelta di Andre Agassi e Steffi Graf, che non hanno mai forzato i loro due figli a giocare a tennis. Roger Federer è padre di due gemelle, Charlen Riva e Myla Rose. Lo svizzero di è detto felice di aver messo al mondo due femmine: “Perché se avessi avuto un maschio, tutti gli avrebbero detto che non era bravo come il padre”. C’è poi l’aspetto economico: i tennisti hanno un muscchio di spese: viaggi, allenatori, attrezzatura…nel 2013, soltanto 71 giocatori hanno intascato più di 500.000 dollari. Ancora meno tra le donne. Tenendo conto che il salario minimo per i giocatori di baseball MLB e basket NBA è rispettivamente di 490.000 e 474.000 dollari, si capisce come il tennis non sia esattamente lo sport più conveniente al mondo.
Edouard Roger Vasselin ha vissuto prevalentemente con la madre, perché i genitori sono divorziati. Non ha avuto la consulenza del padre fino a quando ha deciso di diventare professionista, a 16 anni. E se avesse un figlio non gli consiglierebbe di giocare a tennis. “E’ una strada lunga, troppo difficile. Se volesse fare altro, sarebbe meglio”. Più che padri-campioni, il mondo del tennis è stato riempito di padri-padroni. I casi più famosi sono quelli di Dokic, Lucic e Pierce. I loro genitori, quasi senza background tennistico, le hanno spinte allo sfinimento. Se Mary Pierce ha trovato la forza di perdonare papà Jim soltanto dal suo rifugio spirituale nelle Mauritius, Jelena Dokic non riesce a staccarsi del tutto dal padre Damir, nonostante sia stato squalificato dal circuito. E rischia di finire in un vortice simile anche Bernard Tomic. Nel 2006, in Francia, accadde un fatto clamoroso: Cristophe Fauviau, padre di due junior, ammise di aver infilato un po’ di droghe nelle bevande degli avversari dei figli. Uno di questi si è schiantato contro un albero mentre tornava a casa dopo una partita. Gli esami rivelarono tracce di droga nel suo sistema: Fauviau fu condanno per omicidio colposo. La spinta dei genitori è fondamentale, ma deve essere sana. O almeno non deviata. Richard Williams e Oracene Price hanno certamente dei meriti nella crescita di Venus e Serena. Anni addietro, la grinta di Jimmy Connors è stata plasmata da mamma Gloria. “I genitori sono fondamentali – dice Judy Murray, la mamma più in vista del circuito – sono quelli che pagano tutto, dalle lezioni all’attrezzatura. Negli sport a squadre, è tutto organizzato”. Nel 2006, Jelena Jankovic perse 10 partite di fila e pensò di smettere. Mamma Snezana la prese da parte e le disse: “Quando le cose non vanno bene, la cosa più facile è rinunciare. Così mostri che sei una perdente”. Due anni dopo, la serba sarebbe diventata numero 1 al mondo. “Senza quelle parole non ce l’avrei mai fatta”. Insomma, la storia sembra insegnare che l’ignoranza tennistica sia un fattore a favore dei genitori. Chi ha vissuto il tennis ad alto livello non vorrebbe che i figli ripetano l’esperienza. Cristophe Roger Vasselin fa l’istruttore in un piccolo club di Parigi. Negli anni, ha incontrato tanti genitori di piccoli tennisti. “Ho sempre detto loro che il figlio aveva una possibilità su un milione di diventare un campione. Mi davano ragione, ma allo stesso tempo erano convinti che quell’uno su un milione fosse proprio il loro figlio”. I libri di storia insegnano che molto difficilmente i figli dei campioni riescono a sfondare. Da quando è stato introdotto il computer, soltanto quattro padri-figli sono entrati entrambi tra i top-100. Oltre ai Roger Vasselin, ci sono stati Fred e Sandon Stolle, Phil e Taylor Dent e Leif e Joachim Johansson. Fenomeno ancora più raro nel tennis femminile: si ricorda soltanto il caso di Vera ed Helena Sukova. Quest’ultima aveva anche un fratello (Cyril Suk), che è stato un ottimo doppista ma non è mai andato oltre il numero 180 in singolare. “Non incoraggerò i miei figli a giocare a tennis – ha detto Jelena Jankovic – vorrei insegnare loro a giocare, trasmettere buoni valori come la disciplina e l’etica del lavoro. Ma non vorrei mai che diventassero professionisti”.
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