A 31 anni, David Ferrer raggiunge la prima finale Slam in carriera. E’ il trionfo dell’umiltà, ma contro Nadal avrà bisogno di qualcosa in più. Tsonga schiacciato da un carisma che non ha. 
La gioia di Ferrer, la delusione di Tsonga

Di Riccardo Bisti – 8 giugno 2013

 
“Nella vita ci sono cose più importanti di una partita di tennis”. Lo diceva David Ferrer prima della semifinale contro Jo Wilfried Tsonga, occasione più unica che rara per agguantare la finale al Roland Garros. Non era un modo per allontanare la tensione. “Ferru”, come lo chiamano gli amici, sapeva già che le pressione sarebbe stata sull’avversario. Un francese di origine africana, proprio come Yannick Noah, che 30 anni fa fu l’ultimo galletto a vincere uno Slam. I genitori di Yannick venivano dal Camerun, quelli di Jo dal Congo. I francesi hanno fatto un mucchio di retorica sui corsi e ricorsi storici, caricando troppa pressione sulle spalle del simpatico Jo Wilfried, già riuscito in una grande impresa: non è più il sosia di Cassius Clay, ma semplicemente Tsonga, uno dei tennisti più brillanti. Ma per vincere questa partita, forse, avrebbe avuto bisogno dello stesso pubblico che nel 1974 mandò KO George Foreman a Kinshasa. “Tsonga bumayè!” avrebbero dovuto cantare i parigini. Invece il match è iniziato su un campo Chatrier semivuoto, scarico dopo le 4 ore e 37 minuti della prima semifinale. La gente di Parigi ama il tennis, ma aveva bisogno di rifocillarsi e prendere un po’ d’ombra. Da parte sua, Ferrer possiede una corazza che gli consente di giocare allo stesso modo sul Campo 17 o con 15.000 persone che gli urlano dietro. E comunque non lo fanno, perché è troppo amabile, educato, timido. Ma sul campo è una furia, un folletto senza fantasia ma con due pregi straordinari: due gambe-duracell e la voglia di migliorarsi, giorno dopo giorno. Prendete il DVD del suo match di 10 anni fa al Foro Italico contro Agassi, che lo rivelò al mondo. Sembrava un Mantilla qualsiasi. Oggi serve bene, martella col dritto, non sbaglia mai col rovescio e fa sempre la scelta giusta. La volèe…vabbè, è sempre “agricola”, ma lui va a rete al momento giusto. E nel 6-1 7-6 6-2 che lo ha spedito in finale, ha raccolto 17 punti su 22 attacchi. Mica male.
 
Tsonga era nervoso. Collocando il match dopo Nadal-Djokovic, credevano di avergli fatto un favore. Invece è sceso in campo quasi assonnato. Il match si è indirizzato già al secondo game, con Tsonga al servizio. Sulla palla dell’1-1, una risposta di Ferrer ha colpito il nastro e si è tramutata in un vincente. Jo ha perso la tramontana e ha giocato il peggior set del torneo. Errori su errori (alla fine saranno 56), uniti a una certa confusione tattica, lo hanno condannato al 6-1 finale. Il match avrebbe potuto girare nel secondo, quando il ha preso un break di vantaggio (3-0 per lui). Ferrer non si è disunito e ha trovato l’immediato controbreak con un rovescio out del francese. Lungo per tutti, tranne che per lui. Al cambio di campo, è andato a guardare il segno e si è innervosito ancora di più. E’ rimasto a galla fino al 5-4, quando si è procurato un setpoint sul servizio di Ferrer, mandando in visibilio il pubblico che nel frattempo era tornato a riempire lo Chatrier. Troppo in visibilio. Ferrer ha servito senza aspettare il silenzio, ottenendo una rispostaccia di Tsonga, che si è imbufalito ancora di più. Il match è finito lì, non c’era più l’aria dell’impresa. Tsonga è simpatico, educato, piacevole, ma non ha il carisma di Noah. Yannick si sarebbe inventato qualcosa, invece Jo ha giocato un tie-break sonnolento e si è consegnato all’avversario nel terzo set. 
 
Quando dice che il tennis non è la cosa più importante della vita, Ferrer non scherza. Forse allude al periodo in cui si era messo a fare il muratore perché non gli piaceva il regime di coach Javier Piles. Resosi conto di cosa significa spaccarsi la schiena per davvero, è tornato da lui e gli ha offerto il massimo della dedizione. A 31 anni, il valenciano è in forma strepitosa. Quando non si allena, va a farsi una corsa oppure sale in bicicletta. Al maassimo, gioca una partitina a paddle, molto diffuso dalle sue parti. “Devo contenerlo: fosse per lui, sarebbe sempre attivo” ha detto Piles, cui deve moltissimo. Anni fa, “Ferru” entrò in una profonda depressione perché era stato lasciato dalla fidanzata. Vedeva tutto nero. Poi gli hanno fatto conoscere Marta Tornel, un’amica della moglie del coach, e la luce è tornata a splendere nella sua mente. E’ la ragazza perfetta per lui: morbida, discreta, intelligente, lontana dallo stereotipo della WAG. Il segreto del nuovo Ferru, forse, più che dai muscoli e dai miglioramenti, parte dal cuore. Per lui sarà la prima finale Slam in carriera, ottenuta dopo cinque semifinali perse. Ma in passato aveva pescato Djokovic, Murray e Nadal. Ostacoli troppo grandi. Stavolta il sorteggio gli è stato amico. In finale pescherà proprio l’amico Rafa, con cui ha perso 19 volte su 23. Ma non è quello che deve spaventare. Ciò che lo rende sfavorito è l’eccessivo rispetto, la sudditanza psicologica verso il Re della Terra. Per 48 ore, David deve andare da Ernests Gulbis a prendere lezioni di spacconaggine. Non diventerà mai un Bad Boy, ma un clamoroso trionfo al Roland Garros passa per forza da lì.