L'argentino è una figura unica nel tour: pur non essendo un top-player, si porta dietro la famiglia quasi a ogni torneo. Moglie e due figli piccoli possono essere un peso, ma lui non ne può fare a meno. La differenza tra il guerriero sul campo, baluardo dell'Argentina di Coppa Davis, e l'amorevole papà fuori.

Se Argentina-Italia di Coppa Davis è ancora in bilico, lo dobbiamo soprattutto a lui. Nel giorno del suo 34esimo compleanno, Carlos Berlocq aveva perso contro Andreas Seppi. Ma non gli hanno mai presentato la rassegnazione, così è sceso in campo in doppio e ha dato tutto quello che aveva, sia pure con evidenti limiti tecnici, risultando decisivo nella vittoria in cinque set. A fine partita, fedele alle sue abitudini, si è strappato la maglietta, a mò di Incredibile Hulk. Un anno e mezzo fa, dopo averlo osservato a (breve) distanza per un giorno intero, avevamo realizzato questo articolo, oggi è più attuale che mai.
 



“Qualcuno mi ha chiamato il nuovo Titàn, in onore a Hernàn Gumy. Me lo ricordo bene, aveva un gran fisico e gli piacevano le partite lunghe. Il paragone è benvenuto”.Come se non bastassero “Charly”, “Pantera” e “Warlocq”, Carlos Berlocq ha un nuovo soprannome. Uno per ogni ostacolo che ha dovuto superare. L'argentino si è costruito passo dopo passo, senza aiuti, nemmeno quando avrebbero dovuto trovarglieli. All'età di 17 anni, passò 6 mesi in Europa accompagnato da un coach. Avrebbe dovuto trovargli qualche sponsor, ma non c'è stato niente da fare. E così è tornato in Argentina, per anni ha giocato “per soldi”, nel senso che i guadagni gli consentivano di andare avanti. Alla fine ha vinto lui, nonostante immense difficoltà. Ma Carlos, nelle difficoltà, ci sguazza. Come se non bastassero i mille problemi di un giocatore di seconda fascia, si sobbarca quasi sempre la presenza di moglie e figli. Se ti chiami Federer o Djokovic è facile portarti dietro parentame vario, lui invece deve fare tutto da solo per condividere ogni attimo con la moglie Maria Noel e i due figli Stefania e Agustin. Quando gioca i tornei più importanti deve affittare un appartamento, ma nei più piccoli sanno accontentarsi. Dopo aver raggiunto la finale a Meerbusch, in Germania, si è presentato a Manerbio. L'Italia è il paese dove ha vinto di più, 11 dei suoi 15 titoli challenger, ormai si muove con agio. Ma nella players lounge resta una figura particolare. I giocatori smanettano con gli iphone (decisamente l'attività più gettonata), qualcuno legge il giornale, altri sfoggiano fidanzate quasi trofei…Invece Charly si presenta col passeggino e dedica ogni sguardo ai suoi amori. Quello con Maria Noel Serrano è iniziato nel 2002, quando lei era una brillante studentessa universitaria. Per lui, ha fatto una scelta di vita. Ha mollato tutto e un anno e mezzo dopo sono andati a vivere insieme. Un amore quasi da film, con il tennis sullo sfondo e tanti intoppi. Nel 2007 lei si sentì male durante il challenger di Chiasso e si presero un grosso spavento. Risolsero tutto grazie all'intervento dell'infaticabile Renata Coda, una signora brasiliana dalle mille energie e direttrice dell'evento. Ancora più grande un paio di mesi fa, quando il secondogenito Agustin, un anno e mezzo, ha avuto un grave problema di salute e lui è dovuto tornare di corsa in Argentina mentre stava giocando – guarda un po' – un torneo in Italia, a Perugia.

MA CHI GLIELO FA FARE?
Potremmo chiamarlo anche Incredibile Hulk, visto che ha mutuato un'abitudine che era di Andrew Ilie: strapparsi la maglietta dopo una vittoria. A dire il vero, la prima volta non gli era neanche riuscito. Poi ha imparato, dopo la vittoria più importante: battendo Glles Simon regalò all'Argentina la semifinale di Coppa Davis. Era il 7 aprile 2013, anniversario di matrimonio. “Se ne è completamente dimenticato, un po' ho fatto finta di arrabbiarmi, ma era normale che fosse concentrato sulla Davis” sibillò la moglie, anche lei a Manerbio. I due figli sono diventati una piccola mascotte del circuito challenger. La scorsa settimana, a Meerbusch, Agustin ha “palleggiato” con Dustin Brown. A Manerbio, mentre papà era sceso in campo, si è intrattenuto con Marco Trungelliti, giocatore di categoria dalla voce squillante, l'aria simpatica e i riccioli alla Carles Puyol. A modo suo, una scena intrisa di tenerezza. Sul campo, Berlocq diventa un animale. Ogni colpo è scandito da un urlo belluino, un grunting al maschile che esprime la sua passione. Gioca ogni colpo come se fosse l'ultimo, con quelle aperture ampie che sembrano fatte apposta, quasi coreografiche. Al Trofeo Dimmidisì gli è andata male, poiché ha perso in tre set contro Christian Garin. Ma era stanco: a 32 anni, dopo una finale e un viaggetto con famiglia a carico, non poteva rendere al top contro un ragazzino di 18 anni. Eppure ci ha provato: sul finire del secondo set, ha accompagnato il passante che gli ha dato il break del 6-5 con un urlo prolungato, da uomo delle caverne, quasi da Incredibile Hulk. Lo vedi laggiù, in un angolo di un campo della provincia bresciana, dilaniato dalle mosche e da odori non proprio delicati, quasi sdraiato per terra che si dimena come un pazzo per una partita che non cambierà una virgola della sua carriera, e il pensiero ti assale: ma chi glielo fa fare? La risposta sta nella sua storia. Non vale la pena entrare nei dettagli, bastano quelli già citati. Si possono forse aggiungere un paio di cose: nel 2009 si è operato al polso ed è stato fermo per sette mesi. Se l'era sfilacciato mentre giocava contro Maximo Gonzalez, altro operaio del tennis (ma senza prole al seguito). Dopo tanta fatica, temeva di non poter tornare quello di prima. Non che fosse un dramma, ma accidenti…

"PUOI PORTARE AGUSTIN IN BRACCIO?"
Invece ce l'ha fatta ed è rimasto per cinque anni tra i top-100. Si è tolto mille soddisfazioni, il sito ATP dice che gli hanno bonificato più di tre milioni di dollari. Ha vinto pure due titoli del circuito maggiore (Bastad 2013 e Oeiras 2014). Chi l'avrebbe mai detto. Ma nel 2010 c'è stato un altro momento terribile: il fratello Nicolas, cinque anni più grande di lui, è morto in un incidente stradale. Per lui, cresciuto nel culto della famiglia, è stato un colpo durissimo. Chi gli sta vicino dice che ha impiegato due anni per riprendersi. Erano cresciuti in sei, figli di un elettricista e di una parrucchiera di Chascomus, paesucolo non troppo distante da Buenos Aires che ha giusto un'uscita dell'autostrada. C'era un sincero mutuo soccorso, tanto che anni fa fecero una colletta per permettergli di continuare a giocare. Berlocq ha avuto il merito di non dimenticare le origini, i tornei piccoli, le sofferenze, le paure. Dopo una partita, anche persa, quando infila la testa sotto la doccia ringrazia il cielo per non essersi infortunato. Sa che potrebbe essere l'ultima volta e allora cerca di godersela a fondo. Fa altrettanto a Manerbio. Dopo la sconfitta, anziché sacramentare negli spogliatoi, ha preso in braccio i figli e si è goduto l'attimo. Negli spogliatoi aveva già dimenticato tutto mentre loro lo aspettavano fuori, cullandosi tra le braccia della mamma, vestita con un abito a fiori che privilegiava la semplicità a chissà quale scopo seduttivo, peraltro ben riscontrabile a pochi metri di distanza. La sua avventura in Lombardia non è finita, perché giocherà il torneo di doppio dove è testa di serie numero 1. Così si preparerà per l'appuntamento di Bruxelles, dove la sua Argentina giocherà un'altra semifinale di Coppa Davis. Perché Charly, o Pantera, o Warlocq, trova sempre un motivo per continuare a sognare. Anche quando è troppo stanco e per lasciare il club chiede uno sforzo alla moglie: "Puoi portare il bimbo in braccio, così metto la borsa delle racchette nel passeggino?". Permesso accordato. L'amore va oltre.