Due settimane d’oro hanno cambiato le prospettive di Federico Gaio, con i successi successi a San Benedetto e Biella. “Non capisco le critiche a Tirrenia: è il miglior Centro che abbiamo in Italia. Giocare di più sul veloce? Giusto, ma non tutti sanno che…”11 luglio 2016: Federico Gaio è numero 292 ATP.
1 agosto 2016. Federico viaggia da Biella a Cortina ed è numero 158.
In tre settimane, ha raccolto tutto quello che aveva seminato in una prima parte di stagione difficile, persino frustrante. Non deve essere facile infilare qualche sconfitta di troppo quando stai giocando bene e le sensazioni sono buone. Ma gli input tecnici e mentali di Daniele Silvestre, forse il più promettente tra i giovani coach italiani, e la capacità del faentino di coglierli, sono serviti: vittorie agli ATP Challenger di San Benedetto del Tronto e Biella, battendo signori giocatori come Giannessi, De Greef, Trungelliti, Lopez Perez e i brasiliani Souza e Bellucci. Successi che rilanciano un ex finalista al Trofeo Bonfiglio, nonché top-20 ITF. E rilanciano anche un ragazzo che a 24 anni sta diventando uomo, con un bagaglio umano e culturale raro per un tennista della sua età. Parlare con Federico Gaio è interessante, perché gli piace regalare scatti di vita nel tour. Scatti interessanti, visti dalla prospettiva di chi sgomita da cinque anni e che oggi ha trovato (speriamo!) la strada giusta. Ecco il Gaio-pensiero nel momento più brillante, tra un’orgogliosa difesa del Centro FIT di Tirrenia e un’attenta riflessione sul delicato tema della programmazione.

La prima domanda è banale ma doverosa: in tutta la carriera avevi giocato una sola finale Challenger, adesso ne hai vinti due in tre settimane, con un balzo di 134 posizioni. Cosa è cambiato?
Fondamentalmente nulla. Sto cercando di migliorare sotto tanti aspetti: la tattica, la capacità di non perdere punti per strada…Stavo migliorando, però non arrivavano i risultati. I frutti del duro lavoro sono arrivati tutti insieme, nelle ultime settimane. Non è cambiato granché, se non un maggiore impegno in quello che stavo facendo. Ho proseguito su una linea che portavo avanti già da tempo.

Per tua stessa ammissione, in passato sei stato abbastanza “capriccioso” a livello di coach, cambiandone parecchi. Adesso lavori da sei mesi con Daniele Silvestre…
Mi ha dato tranquillità. Su questo punto, tuttavia, credo di essere stato bravo anch’io. Di natura sono un perfezionista, se le cose non mi riescono tendo ad arrabbiarmi con me stesso. Mi capitava di prendermela perché un punto perché non mi andava come l’avevo immaginato, e magari perdevo i due successivi perché ci stavo ancora pensando. Adesso sono molto più tranquillo, so cosa devo fare e cerco di farlo punto su punto. Io sono stato bravo, ma lui mi ha aiutato molto. Mi ha incitato a lavorare sempre, ad avere un metodo e stare sempre “sul pezzo”. Avevo già questo atteggiamento, Giancarlo Palumbo era molto focus su ordine, metodo e disciplina, ma lui ha contribuito molto a rafforzarlo. In due parole: fare le cose bene, farle al massimo, e prima o poi i risultati arrivano.

La migliore qualità di Daniele Silvestre?
Insisto: la tranquillità. Riesce a farmi stare tranquillo.

Con questo nuovo ranking al numero 158, la tua programmazione cambierà?
No, almeno fino allo Us Open. Però adesso c’è molta più tranquillità, sarò nel main draw di praticamente tutti i Challenger. Sarà più facile decidere in anticipo se provare qualche qualificazione ATP: con un ranking al numero 250 era piuttosto complicato. Non sai se entri, non sai se puoi andare….adesso è più facile programmarsi. Sicuramente proverò qualche qualificazione ATP.

A Biella c’era Umberto Rianna. Come procede il progetto Under 18, su cui la FIT sta investendo parecchio?
Molto bene. Ci sono alcuni giovani decisamente interessanti…

Ehi, non ti ritieni più un giovane?
Sì sì, stavo iniziando una riflessione sugli altri, ma mi ritengo assolutamente giovane anch’io! (ride, ndr). La FIT sta investendo molto: Umberto e Giorgio Galimberti cercano di aiutarci durante i tornei. A Biella mi sono trovato molto bene con Rianna, anche se ovviamente ho un rapporto più stretto con Silvestre. Umberto mi ha dato un’ottima mano: Daniele non poteva esserci, così lui è stato molto bravo nel farmi proseguire sulla strada che sto percorrendo. E’ un ottimo aiuto da parte della Federazione.



Qualche settimana fa abbiamo intervistato Andrea Pellegrino. Parlando del presunto fallimento di Tirrenia, ovvero l’assenza di produzione diretta di top-100 ATP, è stato molto chiaro: “Secondo me è una cazzata”, spiegando che se ci sono i mezzi si arriva comunque, e che a Tirrenia c’è davvero tutto a disposizione. La pensi come lui?
Bolelli usufruisce del Centro. Volandri anche, Lorenzi pure. Tranne Fabio Fognini (che è all’estero) e Andreas Seppi (che frequenta uno dei pochi posti extra Tirrenia dove c’è una reale organizzazione), sono tutti lì. Credo che sia molto difficile trovare un posto migliore di Tirrenia, almeno in Italia. Anzi, credo proprio che non ci sia. Non mi risulta che l’Italia abbia 50 top-100, tutti costruiti altrove…l’ho detto è lo ripeto: secondo me, è il miglior Centro Tecnico nel nostro paese. Ci sono cose che si possono migliorare, ma sicuramente avranno modo di dimostrare che si lavora bene. A volte Tirrenia viene preso di mira con un’idea sullo sfondo: “Federazione contro Resto del Mondo”. In realtà la Federazione è un aiuto. Mi è capitato di sentir dire: “A Tirrenia non fanno questo, a Tirrenia non fanno quest’altro, a Tirrenia manca quello…”. Poi approfondisci, e scopri che chi lo dice si allena in un circolo con un solo campo, magari con la palestra fuori mano. Si punta il dito contro Tirrenia come se avesse l’obbligo di produrre ogni anno un top-10. Non funziona così, ma non vuol dire che non si faccia un ottimo lavoro. Lo staff è incrementato, stanno prestando grande attenzione a un progetto come l’Over 18, ma mi piace anche la nuova impostazione per gli Under. Probabilmente farei le stesse scelte, però mi rendo conto che per un ragazzino di 14 anni potrebbe essere prematuro andare e vivere e Tirrenia. Adesso ci sono i Centri Periferici che ti consentono di restare vicino a casa….sai, a 14 anni non è semplice andare via di casa. Adesso Tirrenia ti accoglie a un’età maggiore e secondo me è un miglioramento importante. Come è aumentata l’età media dei top-100 ATP, adesso anche Tirrenia ti dà l’opportunità di crescere più tranquillamente, vicino a casa. Pellegrino è stato molto diretto, ha fatto anche bene. Ritengo di pensarla come lui.

Thomas Fabbiano andrà alle Olimpiadi. Come hai preso la notizia? C’è quel pizzico di sana invidia, oppure è solo una grande motivazione pensando a Tokyo 2020, quando avrai 28 anni?
Sono molto contento per lui, si merita tutto il bene possibile. Devo essere sincero: quando ho letto la notizia, ho pensato a due cose. La prima riguardava l’entry list: se è entrato un giocatore appena fuori dai top-100, vuol dire che ci sono davvero tante assenze. Ogni tanto si sentiva dei forfait, di Zika, ma non pensavo che ne mancassero così tanti. La seconda che ho pensato era: “Ma bisognava iscriversi? Come funziona? Prendono la lista in base al ranking?”. Insomma, più che altro mi sono posto domande di tipo regolamentare. Per il resto sono contento per lui e gli auguro di ottenere il miglior risultato possibile. Per i tennisti è un po’ diverso, avendo gli Slam, però l’Olimpiade resta un’emozione incredibile. Spero che se la goda al 100%.

La programmazione. E’ un dibattito sempre molto acceso, attuale: qualcuno pensa che i giovani italiani si affidino troppo alla terra battuta senza scegliere un percorso più complicato e ambizioso, altri difendono le scelte orientate prevalentemente al rosso. Tu come la pensi? Credi che sia meglio diversificare oppure è opportuno rinviare il problema, pensando prima a costruirsi un buon ranking?
Bisogna diversificare il più possibile, ma non è semplice come sembra. Mi spiego: in Europa, l’85% dei tornei è sulla terra. Se vai in America, magari sono 5 ore di volo tra un torneo e l’altro. In Europa è più comodo spostarsi, ma la comodità è utile per giocare meglio. Se ogni volta devi fare 8 ore di volo, magari con due scali per arrivare al Challenger successivo, diventa complicato. Può capitare di arrivare la domenica sera e giocare il martedì mattina alle 11. Davvero pensi che sia possibile giocare al 100%? Difficile. E poi c’è da tenere in considerazione la classifica: se sei numero 250 ti trovi in un limbo: a volte sei l’ultimo ammesso in tabellone, altre volte sei fuori e ti domandi che fare. A inizio anno, per esempio, non sapevo se andare in Cina o in Messico. Io avrei preferito la Cina perché i tornei erano abbastanza simili, non erano previsti grossi spostamenti interni. In Messico, al contrario, c’erano situazioni molto diverse tra loro. Ma in Cina avrei dovuto giocare le qualificazioni, mentre in Messico ero ammesso al main draw. A quel punto, cosa fai? Io ho scelto il Messico.

Insomma, tennisti ma anche ragionieri…
Anni fa mi trovavo in Brasile e scambiai qualche opinione con il coach di Diego Schwartzman: mi diceva che era numero 85 ATP, io pensavo che non avesse problemi, invece si trovava in un limbo piuttosto scomodo: era costretto a giocare quasi sempre le qualificazioni nei tornei ATP, salvo le settimane dove ce n’erano tre. Insomma, a meno di essere tra i top-50, hai problemi qualunque sia il tuo ranking. Adesso io sono 158 e sarà relativamente facile programmarsi, ma secondo me il numero 80 come il 230 hanno difficoltà mica da ridere. Può essere che noi italiani sviluppiamo poco il tennis sul veloce, ma in Europa si gioca soprattutto sulla terra. E in Europa, checché se ne dica, la qualità della vita è più alta. Si mangia bene, le condizioni sono migliori, il livello di gioco è molto alto….mi è capitato di vedere Challenger americani con il cut-off al numero 350 e in Francia, sul veloce, a 210. Insomma: a volte la classifica, a volte le situazioni contingenti ti impediscono di sviluppare il “veloce” come vorresti.

Sei un giocatore e una persona piuttosto intelligente. Pensi che adesso, a 24 anni, avere un buon bagaglio umano e culturale possa essere un’arma in più per la seconda parte della tua carriera, mentre magari agli inizi è più facile sfondare con un po’ di sana “ignoranza”?
Più cose sai e meglio è. Il punto è un altro: se sai troppo, rischi di fare casino. Esempio: se sai fare il dritto in cinque modi può essere difficile capire come tirarlo al momento giusto. Magari c’è chi tira soltanto l’incrociato, lo fa in modo perfetto, e vince di più. E’ meglio avere più opzioni, ma bisogna avere l’intelligenza e la maturità per capire cosa fare in un determinato momento. Esperienza e spessore culturale servono, ma è ancora più importante sapere COSA fare piuttosto che saperlo fare. C’è un detto che dice: “Se conosci il problema, sei già a metà dell’opera”. Questa è la base, poi prima o poi ci arriverai. Se poi hai un bel casino in testa è difficile che venga fuori qualcosa. Gli italiani sono un filo più lenti nella crescita, ma non credo che gli americani – ad esempio – siano più precoci di noi perché sono mentalmente più bravi. Probabilmente l’italiano, in generale, ha un’attitudine sbagliata. Detto questo, vedo in giro parecchi ragazzi molto intelligenti e questo mi fa ben sperare per il futuro.