LA STORIA – Lo Us Open sarà l’ultimo torneo di Lucas Arnold Ker, l’uomo che ha battuto Federer al suo primo torneo e che poi ha dovuto lottare contro un tumore ai testicoli.
Nel 2009, dopo aver sconfitto il tumore, Lucas Arnold Ker ha potuto collezionare l'ultima presenza in Coppa Davis
Di Riccardo Bisti – 8 agosto 2013
Lucas Arnold Ker è famoso per due motivi, anzi tre. I fanatici di Federer sanno che fu il primo avversario dello svizzero; Inoltre, vinse il doppio più lungo nella storia della Davis prima che il record fosse battuto dal recente Svizzera-Repubblica Ceca. Era il 2002: in coppia con David Nalbandian battè Safin-Kafelnikov al Luzhniki di Mosca. Ma c'è una terza ragione, meno nota. L’argentino ha vinto una delicata battaglia contro un tumore ai testicoli e ha ripreso a giocare. Oggi, a quasi 39 anni, sta per tirare gli ultimi colpi. Il suo addio ricorda quello del film “Nuovo Cinema Paradiso”, quando Salvatore torna in Sicilia e osserva un filmato lasciato da Alfredo. Tante immagini, una dietro l’altra, senza sconti nè censure. Arnold non ha avuto una vita facile. C’è stato il divorzio con la moglie, la scomparsa dell’amata madre (ha deciso di aggiungere il secondo cognome in suo onore) e la malattia appena citata, per cui si è sottoposto a un duro ciclo di chemioterapia. “Mi sono sentito a un passo dalla morte. Quell’episodio mi ha fatto capire quali sono le cose veramente importanti. Adesso riesco a disinteressarmi di quello che non conta”. Da quel 2007, Arnold Ker ha spesso annunciato il ritiro, ma poi è sempre andato avanti. Stavolta la pellicola dovrebbe chiudersi allo Us Open, quando giocherà il doppio insieme a Juan Monaco. Classe 1974, non si è adattato ai ritmi frenetici di oggi, dettati dalla tecnologia. A luglio è stato un mese in Europa senza cellulare nè internet. Un’eremita dei tempi moderni. In questi giorni avrebbe dovuto giocare a San Marino, dove nel 1996 aveva vinto il suo primo titolo, ma all’ultimo ha deciso diversamente. E’ tornato in Argentina per prepararsi allo Us Open e abbracciare i due figli: Ignacio, 10 anni, e Bautista, 2 mesi, avuto dall'attuale compagna. “Stavolta sento che devo ritirarmi. E’ giunto il momento, non sono più disposto a viaggiare 8-9 mesi l’anno”.
La vita del tennista comporta rinunce, sacrifici, solitudine. Ed è ancora più doloroso se hai una famiglia e dei figli. “Quando sei giovane ti abitui facilmente a questi ritmi, poi però ti dimentichi del resto. Ti scordi i compleanni degli amici, ti perdi molte cose, fai un mucchio di sacrifici”. Dopo aver visto la morte in faccia, Arnold Ker sa bene che le parole non possono causare lo stesso danno di un tumore. E allora non si è fatto problemi a criticare i colleghi dai microfoni di una radio. Figurarsi adesso. E' stato il primo avversario di Roger Federer a un torneo professionistico, a Gstaad 1998. “Sarebbe stato bello incontrarlo nello stesso posto dopo 15 anni, ma non ci siamo incrociati. Ha perso subito ed è andato via rapidamente. Per lui è un momento difficile. In fondo tutto ha una fine. In quella partita, lui rispondeva in slice e io chiudevo il punto a rete. Aver battuto all’esordio il più grande di sempre è una sensazione spettacolare. Conservo come un trofeo la racchetta utilizzata quel giorno, però potrei regalarla per qualche iniziativa benefica”. Arnold Ker resterà legato al tennis, magari come maestro, anche per una questione personale: palline e racchette sono gli oggetti che più di ogni altro gli ricordano la madre scomparsa. Arnold può giocare i grandi tornei grazie a Juan Monaco (“L’ho aiutato quando iniziò e ora sta ricambiando: con il mio ranking non riuscirei a partecipare. E’ un ragazzo molto generoso”) e non pensa che il tennis sia diventato particolarmente fisico rispetto a qualche anno fa. “Secondo me è simile a 10-15 anni fa, anzi, prima i giocatori si allenavano di più. Nei miei primi anni di carriera, vedevo Thomas Muster che si allenava come un animale”. Il ricordo più bello è legato alla Coppa Davis, alle 14 convocazioni e ai due doppi vinti nelle semifinali (perdute) del 2002 e del 2003. Arnold Ker capì che stava emergendo una generazione di ottimi singolaristi, allora decise di dedicarsi solo al doppio (in singolo è stato al massimo n. 77). “Adoro la Davis: per questo mi spiace che Del Potro abbia rinunciato. Mi piacerebbe trasmettergli la mia passione. In fondo ce l’aveva anche lui: nel 2004 aveva fatto da sparring in Bielorussia e avrebbe voluto giocarla a tutti i costi. Dicono che in Svizzera Federer non gioca e non succede niente, ma in Argentina è diverso”.
Secondo Arnold, la Davis dovrebbe essere l’obiettivo di ogni giocatore. Non crede che Nalbandian sia un santo, ma ritiene che Del Potro stia rinunciando a qualcosa di importante. “Se lo incontrerò a New York gli parlerò e gli chiederò di reagire. Magari non quest’anno, ma il prossimo. Io sono cresciuto quando c’era la rivalità tra Vilas e Clerc: non abbiamo vinto la Davis perchè non c’era unità. Oggi è lo stesso: l’Argentina è l’unico paese di tradizione senza averla mai vinta. Credo che il tennis sia il peggio dello sport argentino. Prendi il rugby: con un mucchio di limitazioni, hanno fatto cose incredibili. Le ragazze dell’hockey su prato hanno vinto tutto. Per non parlare del calcio. Non aver mai vinto la Coppa Davis è una vergogna. Ci sono riuscite persino Croazia e Serbia! Bisogna unirci e ce la possiamo fare”. Chissà se le sue parole saranno ascoltate. Nel frattempo andrà a New York e percorrerà per l’ultima volta i 20 metri e le due rampe di scale che separano gli spogliatoi dal ristorante giocatori. Qualcuno lo saluterà, agli gli chiederanno: “Sei ancora qui?”. Stavolta dirà addio, non prima di aver dato un’occhiata al cestino della spazzatura, dove qualche anno fa recuperò un paio di scarpe di Tomas Berdych. Il ceco non le usava più e le aveva gettate, ma per Lucas erano ancora buone. Come la vita: puoi stropicciarla, ma il suo valore è sempre lo stesso. Anche se ti colpisce un tumore.
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