WIMBLEDON. Diciassettesimo Slam per lo svizzero: battuto in rimonta Andy Murray. Dopo l’interruzione per pioggia, lo svizzero ha dominato tecnicamente e mentalmente.
Roger Federer tornerà al numero 1 del mondo
Di Riccardo Bisti – 9 luglio 2012
Nessuno conosce un figlio come la propria madre. E Judy Murray, al di là degli atteggiamenti da invasata, è una fine conoscitrice del gioco. Quando l’hanno inquadrata nel quarto set abbiamo capito tutto. Andy non avrebbe mai vinto questa partita. Il problema di questo ragazzo risiede nel carattere. Gli manca qualcosa. Non ha quella cattiveria, quel carisma, quella rabbia che ha permesso a Rafael Nadal e a Novak Djokovic di vincere tante partite importanti contro Roger Federer, Sua Maestà del tennis. Lo ha dimostrato anche nell’intervista sul campo con Sue Barker della BBC. Si è commosso, si è messo a piangere, ha vissuto 30 secondi d’inferno in cui non sapeva cosa dire. Purtroppo per Murray, il carattere è qualcosa con cui nasci. O ce l’hai o non ce l’hai. Lui non è un vincente: o meglio, non lo è quanto i magnifici tre. Nadal e Djokovic non giocano a tennis meglio di lui, ma hanno un palmares bestiale. Lui non ce l’avrà mai. Vincerà uno Slam, prima o poi ce la farà. Federer gliel’ha augurato, ma arriverà quasi per inerzia. Quando ha dovuto lottare contro i migliori, il povero Andy è sempre stato respinto con perdite. “Ogni volta ci vado sempre più vicino – ha detto, singhiozzando – dopo la semifinale mi dicevano che sarebbe stata la mia grande occasione, che Federer è ‘morto’. Non guardo il mio clan sennò mi viene da piangere. Li ringrazio per tutto il lavoro che abbiamo fatto e ringrazio il pubblico. Grazie a voi sento molto meno la pressione di dover giocare a Wimbledon”. Frasi piene d’emozione, che piacciono alla gente, che mandano alle stelle gli indici d’ascolto. Ma non sono quelle che dovrebbe dire. Dovrebbe essere incazzato, dire che tornerà l’anno prossimo ancora più rabbioso. Schiumare sentimenti negativi, odio sportivo verso chi l’ha battuto. Invece questo Murray sembra crogiolarsi nel vittimismo, nell’incapacità di fare l’ultimo step della scala. E’ il più difficile, ok, ma non puoi affrontarlo così.
L’incapacità di vincere di Murray è solo una delle chiavi di lettura del trionfo di Roger Federer, un 4-6 7-5 6-3 6-4 che gli ha regalato il diciassettesimo Slam in carriera, il settimo a Wimbledon. Un trionfo voluto, meritato, e goduto fino all’ultimo. Tre anni fa, al dritto steccato di Andy Roddick, aveva fatto un salto in alto di dimensioni olimpiche. Stavolta si è sdraiato sull’erba, commosso ma consapevole. Sul piano tecnico resta il più grande, sul profilo mentale è troppo più forte di Murray. Su quel piano lì, solo Nadal e Djokovic hanno dimostrato di poterlo battere. Murray no, e difficilmente ci riuscirà. Ha giocato una partita fantastica, in cui ha saputo contenere la sfuriata iniziale di Murray, quando il sole baciava ancora Londra. I giornali inglesi – siamo certi – useranno la metafora. Fino a quando c’era il sole, Murray aveva in mano la partita. Si è aggiudicato il primo set e ha avuto un mucchio di occasioni per vincere il secondo. Poi, sull’1-1 del terzo, ha preso a piovere a più non posso. Gli organizzatori hanno provato ad aspettare, ma si sono dovuti inchinare al volere di Giove Pluvio. Prima finale nella storia a terminare sotto il tetto. Quando i due sono tornati in campo, Murray non era più lui. Aveva giocato su una nuvola, l’acqua gli ha restituito paure antiche e dannose. Ha provato a giocare con orgoglio, ma i punti importanti li ha persi tutti. La partita è definitivamente girata nel sesto game del terzo set. Sotto 2-3, Murray è stato avanti 40-0 e si è impelagato in un game eterno, con ben 10 parità. Alla sesta palla break, Federer è volato 4-2 e gli ha detto “Ciao Ciao, Andy”. In verità, il sorpasso era arrivato ancora prima della sospensione. Dopo aver avuto quattro palle break nel secondo set (un paio sul 2-2, altrettante sul 4-4), Murray è andato a servire sul 5-6. Dal 30-30, Federer ha giocato due punti meravigliosi, da leggenda. Li ha chiusi entrambi con due volèe smorzate, una dritto e una di rovescio, che gli hanno regalato il set e – col senno di poi – la partita.
L’esperienza gli ha consentito di gestire meglio l’attesa durante lo stop per pioggia. Quando si è tolto di dosso Murray, ha iniziato a fare quello che gli riesce meglio: fare gara di testa, deliziare il pubblico con un tennis spettacolare. Ha chiuso il terzo set tirando due ace nel nono game, poi gli è bastato un break nel quarto (al quinto game) per planare verso il successo, uno dei più belli della carriera, il primo maturato sotto gli occhi delle gemelline Charlene Rive e Myla Rose. Una vittoria che gli consente di eguagliare Sampras e Renshaw a sette Wimbledon, ma soprattutto lo riporta al numero 1 del mondo. E gli consentirà di superare le 286 settimane di Pete Sampras. Può arrivare a 300. “Il numero 1 non arriva in regalo. Ho avuto la mia chance allo Us Open l’anno scorso, ma non ho mai smesso di crederci. Ho lavorato sempre più duramente anche se ho una famiglia, e finalmente sono tornati i momenti positivi”. Ricorderemo questo torneo come quello dei 30enni. Sabato Serena Williams, stavolta Roger Federer. Martina Navratilova e Andre Agassi non sono più gli ultimi ultratrentenni a vincere un torneo del Grande Slam. Federer il Grande va celebrato, Andy Murray va egualmente bacchettato e accarezzato (ma di questo parleremo nei prossimi giorni). Wimbledon va riassettato: tra tre settimane si torna all’All England Club per le Olimpiadi. E si scriverà un’altra storia. Non ci è dato sapere quale sarà il finale.
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