Nella finale degli Internazionali BNL d’Italia, lo svizzero cercherà di sfatare la tradizione negativa al Foro Italico e il bilancio sulla terra contro Nadal, che lo vede sotto 11-2. 
Roger Federer e Rafael Nadal ai tempi di Roma 2006, anno della loro storica finale

Da Roma, Riccardo Bisti – 19 maggio 2013


Si può dire che Roger Federer in finale a Roma sia una sorpresa? Si, è possibile. Soprattutto dopo un inizio stagione difficile, il più complicato degli ultimi 10 anni. I suoi tifosi non si spaventino, ma la “Race” stagionale, la classifica valida per le ATP World Tour Finals di Londra, lo colloca in 11esima posizione. Segno che qualcosa è andato storto. Ci sarà una ragione se ha saltato due mesi di tornei e ha raccolto sconfitte contro Benneteau e Nishikori, non esattamente due top-players. Per questo c’era un filo di preoccupazione per il match contro Benoit Paire, “new-entry” nel tennis che conta. Ci aveva sempre vinto, ma i match-routine non esistono più. Specie se affronti un giocatore pieno di talento e in stato di grazia. In un match piuttosto rapido, Roger si è imposto con il punteggio di 7-6 6-4 e ha regalato al pubblico un po’ di libidine tennistica, anche se meno intensa rispetto a quella di 24 ore prima contro Janowicz. Non è stato il miglior Federer. Volendo fare i numeri, il rendimento è calato di un 20-25%. Paire non ha sofferto granchè l’impatto del centrale, ma nemmeno lui ha giocato troppo bene. I primi game hanno offerto più errori gratuiti che colpi vincenti. Federer sembrava un tantino lento, quasi abulico. Le sensazioni erano pessime, soprattutto dopo tre palle break consecutive sciupate sul 3-2, e l’inatteso break al settimo game. Ma quando stava per suonare l’allarme, Roger si è ripreso e ha firmato la parità. Il set si è trascinato al tie-break, vinto dallo svizzero grazie al minor numero di errori. Quando si è trovato sotto 5-4, ha avuto la forza di vincere tre punti di fila, decisivi per il set e per l’intera partita. Avesse perso il primo, sarebbe stata dura recuperare. Ogni volta che scende in campo, Federer deve giocare due partite. Quella contro l’avversario e quella contro il suo corpo, in una continua ricerca del risparmio energetico. Meno consuma e meglio è.

Per questo è stato fondamentale vincere il primo set e poi trovare un prezioso break sull’1-1. Lo ha conservato fino alla fine, nonostante due palle break consecutive annullate sul 3-2 (con un servizio vincente e uno scambio aggressivo). Insomma, più che la prestazione, stavolta è arrivato il risultato. I suoi sostenitori vorrebbero entrambi, ma il sapore di una finale Federer-Nadal è ancora inimitabile. In questo momento la classifica è comandata da Novak Djokovic ed Andy Murray, ma i numeri 1 – nell’immaginario collettivo – sono ancora lo svizzero e lo spagnolo. Per Federer sarà un match più importante di quanto non lo sia per Nadal. Mentre Rafa ha fatto razzia di successi a Roma (va a caccia del settimo), lo svizzero non ce l’ha mai fatta. Ci sono state sconfitte inopinate, condite da due finali: grandi rimpianti per quella del 2003, quando si arrese al barbuto Felix Mantilla, vincitore del più importante titolo in carriera. Era favorito e buscò tre set a zero, ma Roger non era ancora Federer. Rimpianti enormi per quella di sette anni fa contro lo stesso Nadal, quando gettò nel Tevere due matchpoint che avrebbero potuto cambiare l’inerzia della loro rivalità e, forse, della storia del tennis. Adesso Federer ci riprova, nell’anno in cui ne compirà 32. Parte sfavorito e bisogna essere onesti: nella strada verso la finale non ha incontrato un solo top-15. Il giocatore di più alta classifica affrontato è stato Gilles Simon, numero 17, spazzato via negli ottavi. In effetti, il percorso di Nadal è stato più complicato, non soltanto in termini numerici. Fognini, Gulbis, Ferrer e Berdych non erano certo malleabili. Ma intanto Roger c’è ancora, e grazie a questo risultato salirà almeno al numero 6 della Race, di nuovo in “Zona Masters”. Se poi dovesse vincere…