FINALE COPPA DAVIS – Lo svizzero vince, da protagonista, l’unico grande titolo che gli mancava. Forse il più difficile, perchè non tutto dipendeva da lui.
Di Riccardo Bisti – 23 novembre 2014
Aveva rischiato di rimanere come Ilie Nastase e Jimmy Connors, gli unici due grandi a non aver mai vinto la Coppa Davis. Il primo le provò tutte, con 146 presenze e l’aiuto di giudici di linea carogne nella storica finale del 1972. L’altro ha sempre snobbato la Coppa Davis, forse perchè non aveva voglia di avere il Grande Nemico John McEnroe come compagno di squadra. Nel 1984 giocò la finale in Svezia e raccolse una brutta sconfitta. Trent’anni dopo, Roger Federer ha cancellato il grande buco nero della sua carriera. Deve ringraziare la sorte, che gli ha regalato un compagno valido come Stan Wawrinka. Deve ringraziare un capitano come Severin Luthi che ne ha sempre assecondato le bizze da purosangue, anche quando la Svizzera era retrocessa e si è trovata a giocare un match di Serie B, in piena estate, contro il Portogallo. Ma deve ringraziare soprattutto se stesso, perchè per un anno ha deciso di mettere la vecchia coppona davanti a tutto, persino davanti alle ATP World Tour Finals. Ha battagliato fino alla finale, poi quando ha capito che l’Insalatiera sarebbe stata a rischio ha mandato all’aria la finale di Londra. In fondo aveva già vinto il Masters sei volte, peraltro in tre città diverse. La Davis no, quella gli mancava. E ha rispettato la campagna con una coerenza appezzabile, che ha mostrato al mondo un Federer diverso da quello che collezionava uno Slam dopo l’altro. In Davis bisogna essere forgiati, con il cuore e con la testa. Per carità, in tutta l’edizione 2014 non ha battuto un solo giocatore compreso tra i top-10. Le sue “vittime” sono state gli abbordabili Ilja Bozoljac, Mikhail Kukushkin, Andrey Golubev, Simone Bolelli, Fabio Fognini e Richard Gasquet. Sei vittorie, accompagnate da due sconfitte (il doppio contro il Kazakistan e il match-dramma contro Monfils): diciamo che uno Slam richiede qualche exploit in più, ma la Davis ha qualcosa che i tornei non avranno mai: l’imprevedibilità.
UN ANNO IN PRIMA LINEA
Federer, che ama organizzarsi con grande anticipo e non apprezza le sorprese, si è chinato di fronte all’imprevedibilità della competizione e si è sobbarcato tutte le partite. Ad esempio, è andato in Serbia subito dopo l’Australian Open. Mancava Djokovic, per carità, ma giocare il primo turno subito dopo uno Slam non gli era mai piaciuto. Negli ultimi 10 anni lo aveva fatto solo una volta, peraltro in casa. Invece è andato a Novi Sad, città natale di Monica Seles, e ha fatto l’ultras durante il doppio di Chiudinelli-Lammer che ha regalato il 3-0 ai rossocrociati. Per inciso, un punto molto importante perchè ha conferito ai due vassalli il diritto di sollevare l’Insalatiera in virtù di una vittoria a punteggio non acquisito. Contro Kazakistan e Italia, nel padiglione amico del Palexpo di Ginevra, ha fatto il suo dovere senza perdere un set. Dopo la vittoria su Fognini, disse che avrebbe potuto cambiare qualcosa nella sua programmazione per dare priorità a questa finale. Poi è successo che il numero 1 ATP era sempre più vicino, si è fatto ingolosire e ha rischiato di rimanere senza nulla in mano. Venerdì sera, i brividi hanno pervaso le schiene degli svizzeri. Un Federer incapace di muoversi, con la schiena di plexiglass, ha ceduto a Monfils. E il sogno sembrava destinato a smarrirsi. Poi lo staff medico svizzero lo ha rimesso in sesto (piccolo miracolo), il doppio lo ha ricaricato e la sorte gli ha messo di fronte un Gasquet generoso ma arrendevole. Non c’è stato un solo momento in cui il francese ha dato l’impressione di poter vincere.
UN MODELLINO IN PIU'
King Roger ha avuto il merito di restare concentrato. Non si è mai distratto, si incitava con il pugnetto dopo ogni punto vinto. Mentre Gasquet boccheggiava già dopo pochi game, furioso con se stesso per le conseguenze della scarsa voglia di allenarsi, Federer ha trasformato la sua Wilson in un surf con cui solcare le sabbie mobili francesi. Uno spettacolo senza tensione agonistica, chiuso da una smorzata di rovescio che ha dato il là ai festeggiamenti e ha messo un bel punto esclamativo nella storia del tennis. Perchè – a ben vedere – tutti i grandi hanno vinto la Coppa Davis. A parte le eccezioni citate qualche riga fa, tutti hanno sollevato l’Insalatiera. Federer si nasconde dietro a un sincero spirito di squadra, dicendo che non aveva bisogno di questo trofeo, ma a ben vedere era un buco nero piuttosto importante nel suo palmares. Non aveva scuse, anche perchè Wawrinka è troppo forte e troppo attaccato alla bandiera. Se i compagni si fossero chiamati Yves Allegro, Stephane Bohli, Michael Lammer o Marco Chiudinelli, probabilmente non ce l’avrebbe fatta. La sorte gli ha dato una mano e adesso, oltre al Davis Cup Commitment Award che gli era stato consegnato in virtù di ben 66 presenze, adesso nella stanza dei trofei c’è anche un modellino dell’Insalatiera che lo rende ancor più felice. Il cerchio si è finalmente completato.
Post correlati
Essere vulnerabili, e ammetterlo, è una grande risorsa
Vulnerabili lo siamo tutti, anche e soprattutto i tennisti, in un’epoca in cui la pressione per il risultato è...