Lo svizzero non mostra alcuna solidarietà verso Troicki: “I test antidoping si fanno e basta. Anzi, dovrebbero essercene di più”. E il ciclista Cavendish spara a zero contro il tennis.
Mark Cavendish ha attaccato la scarsa efficacia dell'antidoping nel mondo del tennis
Di Riccardo Bisti – 8 novembre 2013
Roger Federer è stato spesso accusato di non avere opinioni forti. Alcuni giocatori (Nadal e Stakhovsky su tutti) ritengono che non abbia mai preso decisioni scomode, in modo da non “sporcarsi” l’immagine. In effetti, le sue dichiarazioni sono spesso improntate al politically correct. Ma stavolta è tutto diverso. Lo svizzero ha detto la sua, senza nascondersi, su uno degli argomenti più scottanti: il doping. E le dichiarazioni arrivano in un momento delicato, subito dopo la riammissione di Marin Cilic e la riduzione della squalifica a Viktor Troicki. Nei giorni scorsi, Novak Djokovic aveva preso posizione a favore del connazionale, scagliandosi contro il sistema antidoping e dicendo di “non fidarsi” dei sistemi della WADA. Federer la pensa in modo diametralmente opposto. Prima è partito piano: “Non conosco bene la situazione e cosa sia effettivamente successo – ha detto lo svizzero – in questi casi è molto importante l’accompagnatore, la persona che ti segue fino alla stanza dell’antidoping. Capita spesso che io non lo conosca nemmeno. A volte sono un po’ titubanti perchè magari hai perso una partita e sembri molto arrabbiato. Per questa ragione non ti parlano. Probabilmente dovrebbero solo presentarsi e dire cosa sta succedendo”. Ma poi, raccontando cosa succede quando si sottopone a un test, ha affondato il colpo: "Bisogna andare in bagno per rilasciare il campione, ma se non c’è la necessità fisiologica diventa un problema. In quel caso, l’addetto può stare con te anche tutta la serata. Mi è successo una volta ed è molto complicato. Tuttavia, credo che quando sia richiesto un campione bisogna darlo, costi quel che costi. Non importa se se stai male. Mi dispiace”.
Quest’ultima affermazione è pesantissima. Segna un distacco, la totale assenza di solidarietà verso Troicki, e più in generale con chi si lamenta dei controlli antidoping, ritenendoli troppo stringenti a causa dei wherebabouts (l'obbligo di dare un’ora al giorno di reperibilità, 365 giorni all’anno). “Fare un test il giorno dopo, per me non ha la stessa valenza. Durante la notte possono succedere tante cose. Io non credo a nulla. Credo a quello che è stato deciso. Penso che sia fondamentale lasciare un campione quando te lo chiedono, perchè in quel momento sei davanti a loro e non puoi scappare. In quel momento bisogna essere fermi, inflessibili. Nel complesso, mi fido del sistema”. Nelle parole di Federer non ci sono accuse esplicite, ma è chiaro che il comportamento di Troicki non gli è piaciuto. E i regolamenti parlano chiaro: evitare di sottoporsi a un controllo equivale a risultare positivi. L’impressione è che Federer ma sopporti chi se la prende con il sistema antidoping, chiedendo chissà qualche cambiamento. Gli attuali controlli, in effetti, sono piuttosto invasivi. Ma è difficile pensare a un sistema migliore, anche perchè il doping sarà sempre avanti rispetto all’antidoping. Allargare le maglie dei controlli, in effetti, sarebbe un segno di resa. A quel punto – anche se sarebbe immorale, e non è auspicabile – sarebbe più opportuno abolire l’antidoping. Per quanto le statistiche dicano altro, Federer ha la sensazione che ci siano meno controlli: "Nel 2003 mi hanno sottoposto a 25 test, poi sempre meno: lo scorso anno ho vinto Rotterdam, Dubai e Indian Wells e nessuno è venuto a controllarmi".
Si è dunque creata una forte spaccatura tra chi contesta l’attuale sistema antidoping (ritenendolo troppo stringente), e chi invece vorrebbe un antidoping ancora più presente, attento e soprattutto severo. Curiosamente, le dichiarazioni di Federer arrivano subito dopo quelle del ciclista Mark Cavendish, che nella sua nuova autobiografia “At Speed” si è scagliato contro l’antidoping degli sport diversi dal ciclismo, puntanto il dito soprattutto contro il tennis. A suo dire, la situazione è diventata “frustrante”. Cavendish è furioso per la disparità del numero di controlli fuori dalle competizioni cui sono sottoposti i ciclisti e i tennisti. Inoltre, gli dà fastidio che alcuni campioni del nostro sport non riconoscano l’aiuto che il doping potrebbe dare nel tennis. “Senza contare la lentezza con cui le autorità del tennis hanno adottato il passaporto biologico”. Nel suo libro, Cavendish ha scritto: “Una delle mie peggiori frustrazioni è la discrepanza tra il ciclismo e gli altri sport. Prendiamo il tennis. La federazione internazionale ha approvato il passaporto biologico soltanto per il 2013, con cinque anni di ritardo rispetto al ciclismo. Di più: nel 2011, il tennis ha effettuato appena 21 controlli sul sangue (nel 2012 sono stati 63, ndr) al di fuori delle competizioni contro i 4.613 del ciclismo. Leggi questi dati, poi senti dire ad Agassi che il tennis ha sempre aperto la strada nella lotta al doping, o Marion Bartoli sostenere che il doping non esiste nel tennis”. Cavendish non le ha mandate a dire: “Come possiamo essere sicuri di qualcosa, quando Lance Armstrong ha sostenuto più di 100 test in oltre un decennio e non è mai risultato positivo? Il problema delle dichiarazioni di Agassi e Bartoli è che portano avanti una credenza, secondo cui il ciclismo è uno sport pieno di doping mentre gli altri sono puliti”. Sfogliando le pagine del suo libro, sembra che Cavendish abbia un conto aperto con il mondo del tennis. Non gli basta prendersela con Agassi e Bartoli: “Mi è tornato il nervoso quando ho sentito dire da Tim Henman che i tennisti possono recuperare da una partita di cinque set facendosi una flebo. Ok, va bene, nel tennis è legale. Ma nel ciclismo è una pratica vietata”. Queste affermazioni fanno ripensare – senza voler pensare male a tutti i costi – alle ragioni per cui Troicki ha chiesto di non lasciare il campione di sangue: un generale malessere e la fobia degli aghi. Senza contare alle decine di motivazioni che i vari tennisti squalificati hanno dato per giustificare la positività. La battaglia è appena cominciata. Ma davvero possiamo affermare che ne vedremo e sentiremo delle belle?
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